Patrick
Il sogno che Patrick faceva sulla moglie era sempre lo stesso. Era notte, e lei era dentro l’acqua. Lui lasciava Sean sulla sponda e si tuffava, nuotava e nuotava, ma ogni volta che arrivava abbastanza vicino da allungare la mano per prenderla, lei veniva portata via dalla corrente e lui doveva ricominciare a nuotare. Nel sogno, il fiume era più grande che nella realtà. Non era un fiume, era un mare, un oceano. Gli sembrava di nuotare per un tempo infinito, e soltanto quando era così stanco da pensare che sarebbe andato a fondo anche lui, soltanto allora riusciva ad afferrarla, a tirarla a sé. Mentre lo faceva, il corpo di lei ruotava lentamente nell’acqua, la faccia si girava verso di lui e la bocca, spaccata e piena di sangue, rideva. Era sempre lo stesso sogno, ma la notte precedente, quando il corpo era rotolato nell’acqua verso di lui, la faccia che aveva visto era quella di Helen.
Si era svegliato in preda al panico, con il cuore sul punto di scoppiare. Si era messo a sedere nel letto con la mano sul torace, cercando di negare la sua stessa paura, e il fatto che fosse mescolata a una profonda vergogna. Aveva aperto le tende e atteso che il cielo si schiarisse, da nero a grigio, prima di andare nella stanza accanto, dove dormiva Helen. Era entrato senza far rumore, aveva sollevato con cautela lo sgabello che si trovava accanto alla toletta e lo aveva avvicinato al letto. Si era seduto. Lei era voltata dall’altra parte, proprio come nel sogno, e lui aveva represso il desiderio di abbracciarla, di scuoterla per svegliarla, di assicurarsi che non avesse la bocca piena di sangue e denti rotti.
Quando lei finalmente si svegliò e iniziò a rigirarsi lentamente, lo vide e trasalì, alzò la testa di scatto e sbatté contro la parete che si trovava dietro di lei.
«Patrick! È successo qualcosa? Si tratta di Sean?»
Lui scosse la testa. «No. Non è successo niente.»
«Allora…»
«Ho… ho dimenticato qualcosa nella tua macchina?» le chiese. «L’altro giorno? Ho preso delle cianfrusaglie dal cottage e volevo gettarle via, ma poi la gatta… mi sono distratto, credo di averle dimenticate lì. È vero?»
Lei deglutì e annuì, gli occhi erano neri, le pupille dilatate avevano ridotto le iridi a schegge di un marrone pallido. «Sì, io… Nel cottage? Hai preso quella roba nel cottage?» Aggrottò la fronte, come se stesse cercando di capire.
«Sì, nel cottage. Cosa ne hai fatto? Che cosa ne hai fatto della borsa?»
Lei si mise a sedere. «L’ho buttata via. Era spazzatura, vero? Sembrava spazzatura.»
«Sì. Spazzatura.»
Per un attimo Helen abbassò lo sguardo, poi tornò a incrociare i suoi occhi. «Papà, credi che avessero ricominciato?» Sospirò. «Lui e lei. Pensi che…?»
Patrick si chinò in avanti e le accarezzò i capelli, scostandoli dalla fronte. «Be’, non ne sono sicuro. Forse. Credo di sì. Però adesso è finita, no?» Provò ad alzarsi ma si accorse di avere le gambe deboli e dovette aiutarsi appoggiando una mano al comodino. Sentiva che Helen lo stava guardando e si vergognava. «Ti preparo un tè?» le chiese.
«Ci penso io» disse lei, spostando le coperte.
«No, no. Resta qui. Faccio io.» Arrivato alla porta, si voltò di nuovo verso di lei. «Te ne sei liberata? Di quelle cianfrusaglie?» le domandò ancora. Helen annuì. Lentamente, con le gambe di legno e un senso di oppressione al petto, lui scese le scale e andò in cucina. Riempì il bollitore e si sedette al tavolo, con il cuore che gli pesava. Non gli risultava che Helen gli avesse mai raccontato bugie, ma era quasi sicuro che poco prima lo avesse fatto.
Forse avrebbe dovuto arrabbiarsi con lei, ma più che altro era arrabbiato con Sean, perché era stato il suo errore a metterli in quella situazione. Helen non sarebbe dovuta nemmeno essere in quella casa! Sarebbe dovuta stare a casa propria, nel letto di suo marito. E lui non si sarebbe dovuto trovare in quella posizione. Costretto a rimediare ai pasticci di suo figlio. E a dormire nella stanza accanto a quella di sua nuora. La pelle del braccio prudeva sotto la fasciatura e lui si grattò distrattamente.
Eppure, a essere sincero, e Patrick cercava sempre di esserlo, chi era lui per criticare suo figlio? Ricordava cosa significava essere giovani e ritrovarsi in balia degli ormoni. Lui stesso aveva compiuto la scelta sbagliata e se ne vergognava ancora. Aveva scelto una donna bella, fragile ed egoista, una donna priva di autocontrollo, in quasi tutti i sensi. Una donna incontentabile. Era votata all’autodistruzione e, a ripensarci adesso, l’unica cosa che lo stupiva era che ci avesse messo così tanto. Patrick sapeva ciò che Lauren non aveva mai capito: quante volte lei fosse andata pericolosamente vicina a perdere la vita.
Sentì i passi sulle scale e si voltò. Helen era sulla soglia, ancora in pigiama, a piedi nudi.
«Papà? Va tutto bene?» Lui si alzò in piedi, accingendosi a preparare il tè, ma lei gli appoggiò una mano sulla spalla. «Siediti. Faccio io.»
Aveva scelto male una volta, ma non la seconda. Perché Helen era stata una sua scelta. Figlia di un collega, tranquilla, semplice e una gran lavoratrice: Patrick aveva capito subito che sarebbe stata una compagna affidabile, affettuosa e fedele. Naturalmente, Sean aveva dovuto essere convinto. Si era innamorato di una donna che aveva conosciuto durante il tirocinio, ma Patrick sapeva che non sarebbe durata, e quando vide che la storia andava avanti più del dovuto vi mise fine. Guardava la nuora e sapeva di aver scelto bene per suo figlio: Helen era sincera, modesta, intelligente e completamente disinteressata ai pettegolezzi e alle vicende mondane che sembravano appassionare la maggior parte delle donne. Non sprecava tempo a guardare la tv o leggere romanzi, lavorava sodo e non si lamentava. Era di buona compagnia e aveva sempre il sorriso sulle labbra.
«Ecco qui.» Helen sorrideva anche in quel momento, mentre gli porgeva il tè. «Oh,» inspirò, a denti stretti, «non ha un bell’aspetto.» Stava guardando il suo braccio, dove si era grattato, strappandosi via la fasciatura. La pelle era rossa e gonfia, la ferita scura. Helen andò a prendere acqua calda, sapone, disinfettante e garze. Pulì la ferita e fasciò di nuovo il braccio e, quando ebbe finito, lui si chinò in avanti e la baciò sulla bocca.
«Papà» disse lei e lo spinse via con delicatezza.
«Scusami» mormorò lui. «Scusami.» Fu travolto di nuovo dalla vergogna, incontenibile, e anche dalla rabbia.
Le donne erano state la sua rovina. Prima Lauren e poi Jeannie, poi tutte le altre. Ma non Helen. Davvero lei no? Eppure quella mattina gli aveva mentito. Glielo aveva letto in faccia, la sua faccia sincera, non avvezza agli inganni, e lo aveva fatto rabbrividire. Pensò di nuovo al sogno, a Lauren che si rigirava nell’acqua, la storia si ripeteva, sempre uguale. Solo che le donne ogni volta peggioravano.