Trentasei

La brina notturna aveva trasformato il campo di golf in una lastra di ghiaccio lucida e uniforme. Irrigidite dal gelo anche le piante intorno e i rigagnoli, a scaglie immobili, sotto un cielo denso di nubi.

«Non può star lì» gli gridò un caddy da bordo campo.

«Lo so».

Mentre raggiungeva la palazzina del golf le sue scarpe di gomma lasciavano sul prato il segno scuro dei suoi passi. «Buongiorno…»

«Lei è socio?»

«Sì, sono Alessandro Tosi».

«Ah, è lei… mi scusi. Ma deve aspettare almeno sino alle undici, signor Tosi».

Era arrivato in Inghilterra subito dopo la sentenza. Suo padre si era rassegnato al fatto che non sarebbe mai diventato architetto e che mai avrebbe lavorato con lui nella sua azienda di costruzioni. Era arrivato con le sue medaglie e la sua aria da bravo ragazzo.

L’ultimo saluto a Nicola, che avrebbe volato.

«Grazie» gli aveva detto. Senza abbracciarlo, ormai non ne erano più capaci. «Vai avanti?»

«Sì, mi butto dietro le spalle tutta ’sta storia. Io voglio volare». E avrebbe volato.

Aveva lasciato una madre debole, sola e in lacrime. Con il suo negozietto d’abbigliamento senza fantasia, dove avrebbe lavorato come sarta la madre di Nicolae. Lei, con Lara e i due ragazzini, non avrebbe più abitato nelle baracche ai Sempioni ma in un appartamentino in una delle costruzioni a schiera di Tosi, verso la collina.

Lara avrebbe lavorato per il padre, in fabbrica e nel suo letto.

Napoli restava quel mondo che tutti gli ricordavano con una pizza, una risata e un trullalà.

Un brivido gli percorse la schiena.

«S’iscrive alla gara di oggi?»

«Sì, mi sono già iscritto».

«Io sono il suo caddy, oggi: mi chiamo Thomas».

«Grazie, Thomas. Ci alleniamo un po’ alla quinta buca, appena sbrina».

L’avevano già conosciuto, sapevano che lui era il campione italiano da battere.

Sapevano che era il ragazzo italiano con una brutta storia alle spalle.

Sapevano che giocava bene a golf.

È tutto finito?

Sei sicuro?