Dodici
Max Gilardi alzò la testa dal fascicolo che stava consultando e si sollevò gli occhiali sulla fronte: aveva ceduto agli occhiali, da qualche settimana, ma soltanto per leggere.
«Che cosa c’è?»
«Mi scusi, avvocato: posso parlarle?»
«Certo, vieni. È per la faccenda della ragazza? Che cosa non ti convince?»
«No, non è quello». Aziz si era seduto e aveva appoggiato sulla scrivania il tablet che portava sempre con sé. «È la madre…»
«Di chi?»
«Della vittima. Tale Giuseppina Mauri. Mi ha chiesto se può costituirsi parte civile in un eventuale processo».
«Contro ignoti, credo. Ho parlato con Adriana Santini, mi ha detto che sono nel buio più profondo. Non hanno niente, soltanto i due ragazzi, ma senza alcuna probabilità di incriminarli. Comunque, sì. È nel suo diritto. La famiglia può costituirsi parte civile in un eventuale processo anche contro ignoti».
«Vorrebbe lei…?»
«Lei… io? Ma è pazza? Che cosa c’entro? Mettete in piedi questo processo, cercate il colpevole e poi, semmai, se ne parla. Parte civile di che?»
«Però potrebbe parlarle, avvocato. Se va in un altro studio ci troviamo tra i piedi un avvocato che non conosciamo, che magari ci complica la faccenda… Solo per parlarle. Le ho detto di chiamarla».
«Va bene, la tranquillizzerò. Ma non ti far venire altre idee del genere, in questo momento io e Ricky siamo impegnati con il processo Viscardi. Non ho tempo».
«Non è urgente se non hanno ancora istruito il processo. Ma parlarle…»
«Va bene, le parlerò. E intanto speriamo che la polizia ne venga a una. Tu a che punto sei?»
«Ho scoperto che la ragazza si stava preparando per un provino come cantante. Non lo sapeva quasi nessuno, neppure sua madre. Ora sto cercando di capire chi erano questi che la volevano sentire».
«Non una rete regolare, immagino».
«No, infatti. Non c’è nessun concorso in vista, in questo momento. Deve essere una truffa, una delle tante. Ma lei voleva cantare, sto partendo da lì».
«Ma non dovrebbe essere compito della polizia? Il commissario Silvestri che cosa fa, dorme?»
«No, è fin troppo sveglio. Sta facendo molto rumore a vuoto».
«La mouche du coche…»
«La mouche de che?»
«Te la spiego un’altra volta. Se preferisci: Tanto rumore per nulla. Ora vai, lasciami lavorare. Le parlerò, va bene. Poi facciamo due chiacchiere noi, su questa faccenda, dovrai mettermi al corrente».
«Con piacere, avvocato».
Aziz si alzò dalla sedia e l’accostò al tavolo. Quando richiuse la porta alle sue spalle, alzò le braccia con una smorfia: ce l’aveva fatta, ora avrebbe finalmente lavorato con Massimo Gilardi.
Giuseppina Mauri quella notte non riuscì a addormentarsi, dormire ora le era sempre più difficile. Voltandosi e rivoltandosi nel letto, ripensava a quel giovane avvocato dalla pelle scura che molto educatamente le aveva chiesto di aiutarlo.
Non era vero, come diceva sua sorella Carla, che l’aveva offesa dicendole che non aveva saputo ascoltare le confidenze di sua figlia. Le aveva detto che, forse, sua figlia non le diceva tutto. Anche se lei era sicura di averla educata alla massima libertà, forse…
«Mamma, io so perché Alex fa la pipì in piedi. Ha un ditino in mezzo alle gambe che gli esce la pipì… io l’ho visto. E gli ho fatto vedere la mia rosellina. Che stupido, è diventato rosso come un papavero».
«Sì, i maschietti hanno quel dito in mezzo alle gambe… noi abbiamo la rosellina».
«Anche tu e papà?»
«Sì, anch’io e papà».
«Anche quando sarò grande?»
«Anche quando sarai grande…»
«E i bambini nascono dall’ombelico, che le mamme hanno la pancia grossa grossa?»
«I bambini sono un miracolo del buon Dio, ma te lo spiegherò quando sarai più grande».
Ecco, quando aveva sbagliato? Sapeva di madri che facevano crescere i figli con la massima naturalezza, di qualsiasi sesso fossero: il bagno insieme, girare nudi per casa… Giulia non aveva fratelli, ma solo quei due amici della stessa età.
Dove aveva sbagliato?
Aveva letto che faceva l’amore con tutti e due: le solite esagerazioni dei giornali. Avrà avuto molta confidenza, magari, ma Giulia voleva sposare Alex: l’aveva deciso fin da quando era ragazzina.
«Oggi Alex mi ha portato al Circolo La Piana. Vedessi, mamma, che lusso. E che merenda. Mi ha detto che quando saremo sposati potrò andarci tutti i giorni, anche con i bambini piccoli. Invece che al parco, dove ci vanno tutti. Vedessi che bello, non te lo immagini…»
Questo diceva. E lo diceva a lei, che era sua madre.
Capitava che affrontassero insieme anche problemi da donne.
«Com’è che questo mese sei in ritardo?»
«Mi tieni il calendario, forse?»
«No, ma eravamo insieme e invece, questo mese… Tanto per chiedere».
«Cambio di stagione. Comunque, perché tu lo sappia, io sono vergine. E ci rimango, hai capito? Voglio sposarmi in chiesa e voglio sposarmi vergine, l’ho promesso a don Costantino. Io sono vergine. Quindi verranno».
Poi avevano riso, come di uno scherzo.
E ora quella storia del provino. Forse voleva farle una sorpresa.
I due ragazzi erano venuti a trovarla, in casa di sua sorella: una volta soltanto, per non farsi seguire dalle telecamere. Appena entrati l’avevano abbracciata. Alex aveva pianto. Nicola, no: lui era sempre il più forte.
‘Ma è vero quello che scrivono…’
‘Non dia retta, mamma Pina. Non dia retta a nessuno, devono venderli i giornali. Si inventano tutto per farsi pubblicità. L’avvocato ci ha detto di non parlare con nessuno’.
L’avvocato, lo stesso che era venuto a trovare lei.
Un provino per una casa di produzione che poi l’avrebbe presentata a una trasmissione importante, forse alla Rai. Chi poteva saperne qualcosa di più? Alex era all’oscuro di tutto, e Nicola ne sapeva pochissimo.
Si ricordò di una compagna di università, che qualche volta era venuta a casa a studiare con Giulia. Si chiamava… Martina, sì. Martina Varzi. O Solzi… Martina.
Aveva i capelli rosso fiamma con l’henné e le unghie a brillantini. Portava delle minigonne mozzafiato con gli stivali al ginocchio e si truccava la bocca e gli occhi. I suoi erano ricchi, a diciotto anni aveva avuto già la prima automobile.
A lei non piaceva, ma piaceva a Giulia che la trovava ‘figa’ – per quel che poteva significare.
Sarebbe dovuta andare a casa a frugare tra le carte di sua figlia per recuperare un numero di telefono.
No, non ci sarebbe andata. Ancora quel sangue sul pavimento. I segni del gesso. Il nastro adesivo. Polverina bianca dappertutto…
Era morta subito? L’esame autoptico aveva detto di sì, che era morta all’istante. Aveva guardato con occhi sbarrati il suo assassino, ed era morta. Senza soffrire.
Sì, questo gliel’avevano detto: non aveva sofferto, la morte era stata istantanea.
No, non ci sarebbe andata in quella casa. Lì era passato il diavolo.
Forse quello del provino. Forse… il diavolo era lui. E lei voleva saperlo.