Undici

Aziz riconobbe subito la casa, dalla descrizione del lavascale. E riconobbe lei, la madre di Giulia. Che in quel momento stava uscendo dal portone, attaccata al braccio di una donna che le somigliava, probabilmente la sorella.

«Signora Mauri…»

«Non ho niente da dire, mi lasci in pace». Mentre parlava, strattonava la sorella per farla tornare indietro, verso il vestibolo.

«Sono l’avvocato Bernardini, non sono un giornalista. Mi scusi».

Le mostrò il tesserino dell’Ordine, ma la donna guardò lui, in faccia. E fece di sì, con la testa. Su alcuni giornali, e anche in televisione, era apparso l’avvocato dei due ragazzi coinvolti nell’omicidio di Giulia. Fece di sì con la testa perché l’aveva riconosciuto.

«Lo so chi è lei, ma non ho niente da dire. Non so niente. Nessuno capisce che cosa prova una madre che lascia una figlia che cinguetta per casa e se la ritrova all’obitorio». Si passò una mano sugli occhi. «Nessuno può capirlo…»

«Io ho due figli, signora. Posso capirlo invece».

«Ma la stampa, come avvoltoi…»

«Meglio che sia la stampa a fare cronaca seria, signora. Sono peggiori i pettegolezzi di quartiere. È un dolore che ha coinvolto tutti».

La sorella stava spingendola per farla uscire, biascicando a labbra strette: «Andiamo, vieni… su».

La signora Mauri restò immobile a fissare Aziz Bernardini. Sembrò decisa. «Lei ha due figli? E si sta occupando di Alex e Nicola?» Avuta una doppia risposta affermativa, girò le spalle. «Venga, saliamo in casa. Che cosa vuol sapere?»

Entrarono in un appartamento al primo piano e dal corridoio sentirono distintamente due voci maschili che discutevano animatamente.

«Siamo venuti a stare qualche giorno da mia sorella» spiegò la donna. «Ora ci trasferiremo da un’altra parte, mio marito sta cercando una soluzione». Scosse la testa. Era rimasta diritta in mezzo al corridoio, come se non sapesse dove andare. «Stiamo perdendo la testa. Venga». Aprì una porta e immediatamente le voci tacquero, come a un segnale convenuto. «Questo è l’avvocato dei ragazzi» disse la signora Mauri.

Dei due uomini, uno si alzò di scatto. «Non abbiamo niente da dire».

«Lo so, lo immagino. Ma ogni piccolo indizio è importante. Come lei, anch’io voglio la verità» rispose Aziz.

«A lei che cosa importa? I due ragazzi sono puliti… da noi che cosa vuole?»

«Lascia perdere, Ugo: a rispondere che male facciamo? È un avvocato e ha due figli anche lui. Io mi fido».

«Fa’ come vuoi, io esco».

Anche l’altro uomo si era alzato. Era piccolo e tondo come un uovo al quale avessero messo in testa, a caso, un ciuffo grigio. «Niente, niente… Niente so. Non voglio entrarci, arrangiatevela voi. Niente so…»

La sorella, che disse di chiamarsi Carla, si sedette su una sedia accanto al tavolo. «Quello che brontolava è mio marito, Giovanni Ludovisi. Gli uomini per lavarsi le mani sono campioni… Mi scusi, sa?» Fece un largo gesto con le mani. «Sediamoci qui, non sarà cosa lunga, stavamo andando in chiesa».

Quando furono seduti, la signora Mauri si ricordò del caffè. «Ce lo fai, Carla? Lo prendo anch’io, così mi calmo».

Restarono in silenzio, guardandosi di sottecchi, ognuno pensando a chi dei due sarebbe toccato cominciare.

Fu Aziz Bernardini a dire per primo: «La ringrazio, signora».

«I due ragazzi?»

«Sono a posto, ma è meglio essere precisi in queste situazioni. Sentire tutte le campane. Per questo mi sono permesso di avvicinarla».

«Sì, ha fatto bene. Non ci sto più con la testa… I due ragazzi li ho visti crescere, come figli. Li avevo sempre per casa… Alex» e sorrise, «era innamorato della mia Giulia. Io glielo dicevo che la vita è lunga, che aspettasse… Innamorato proprio. Oh, ecco il caffè, grazie Carla. Se non avessi avuto mia sorella…»

«Avanti, siamo sorelle. Siamo sempre andate d’accordo. Io e mio marito non abbiamo figli e io avevo questa nipote bellissima… mah, mi chiedo se il Padreterno qualche volta non si distrae: come possono accadere… lo zucchero è lì, va bene? Insomma, non doveva succedere, e nessuno ci dirà mai perché».

«Questo non è giusto» la interruppe Aziz. «Forse ci vorrà tempo, ma la giustizia farà il suo corso e si arriverà a mettere le mani sul colpevole. Anche noi stiamo aiutando la giustizia dimostrando la completa estraneità ai fatti dei due ragazzi».

«Così non perdono tempo, sì… che cosa vuole sapere che non sia già stato detto e pubblicato in lungo e in largo? Insieme a un sacco di fandonie».

«Quali, per esempio?»

«Che voleva cantare. Le piaceva, certo. Ma aveva l’università, voleva fare la hostess… cantare era solo un gioco».

«A noi risulta che fosse in contatto con un produttore di una piccola televisione per partecipare a un provino di canto».

«Ma guarda!» La donna era arrossita, e con un gesto rapido si passò la mano sulla fronte. «Risulta a lei e a me, sua madre, no? Le sembra possibile?»

Bernardini depositò la tazzina sul tavolo. «Sinceramente, sì. Mi sembra possibile. Non sempre i figli raccontano tutto ai propri genitori».

«E chi era ’sto produttore?»

«Ho avvertito la polizia, lo stanno cercando. Anche ad Alex Giulia non aveva detto niente: solo Nicola sapeva qualcosa, ma nulla di preciso, soltanto che ogni tanto lo vedeva».

«Non se lo sta inventando?»

«Lo scopo?»

«Per chiacchierare con i giornalisti. Per farsi vedere informato. Se mia figlia avesse avuto questa intenzione, io l’avrei saputo».

«Sicura, signora, che Giulia le dicesse proprio tutto?»

«Che cosa ancora non sapevo?» Lo guardò e sembrò smarrita, come se all’improvviso si fosse resa conto che forse Giulia le aveva nascosto altro della sua vita. «Che cosa? Per un provino in televisione avrebbe avuto bisogno di un vestito adatto… non me ne ha mai parlato». Stava piangendo e Bernardini, attraverso il tavolo, le prese una mano.

«Vedremo anche questo. Magari voleva fare una sorpresa, a cose fatte e a provino riuscito».

«Sì, forse è così».

«Andava d’accordo con tutti e due i ragazzi? O aveva qualche preferenza, che lei sappia?»

«No, nessuna preferenza. Ma Alex era più serio, l’amava con rispetto. Nicola era più casinista, la divertiva. No, nessuna preferenza, ma avrebbe sposato Alex, se glielo avesse chiesto una volta finiti gli studi. Lo diceva sempre: ‘Sposerò Alex perché è più serio’. E poi lui aveva già una posizione pronta, dopo la laurea… è anche campione di golf, lo sapeva?»

«Sì, lo sapevo. Anche a noi ha detto che voleva sposare Giulia, dopo la laurea».

«Chissà come è ridotto quel figliolo. Lei non immagina la delicatezza… quando Giulia è stata malata e non voleva mangiare, veniva ogni giorno a imboccarla, a farla ridere. Non sono state le medicine a guarirla, è stato lui… non sa che ragazzo sia, povero figliolo. Io l’ho visto crescere, come quell’altro. Ma Nicola è più forte, sono sicura che lui non perde la testa. Mi fa pena, invece, Alex. Lei li tirerà fuori da questa storia, vero?»

«Sì, ho parlato con il pm Adriana Santini, è una donna e ha capito. Possono stare tranquilli, sono praticamente già fuori. Al fascicolo aggiungerò le sue impressioni e chiuderò la faccenda che li riguarda. Verranno sentiti, ma a ripetere quello che sappiamo. È una formalità dovuta, niente di più».

«Sono contenta, avvocato. Almeno loro. E speriamo che si riprendano presto, sono ragazzi… la vita è ancora lunga per loro». Si alzò a fatica, come se fosse improvvisamente stanca. «Abbiamo finito?»

«Sì, signora. La ringrazio». In un gesto che gli venne spontaneo, pur non avendolo mai fatto, si chinò a baciarle la mano. «Lo troveranno» disse sottovoce.

«Sì, ma la mia Giulia non tornerà…»

Volle accompagnarlo alla porta, mentre la sorella rigovernava le tazzine del caffè in cucina.

Sull’uscio, però, lo trattenne con un gesto. «Mi scusi… forse mi sbaglio, io non capisco nulla di queste cose. Ma è vero quello che dice mio cognato che noi siamo parte civile contro chi ha ucciso Giulia?»

«Sì, potete costituirvi parte civile in un processo contro l’assassino o contro ignoti».

«E a che scopo?»

«Risarcimento dei danni morali… Dovrete affidarvi a un avvocato penale».

«Lei?»

«Non posso, mi dispiace. Difendo i due ragazzi, sarebbe incompatibile».

«Conosce qualcuno che potrebbe…»

Aziz sorrise sotto i baffi che da qualche mese si era fatto crescere, completi di pizzetto sul mento. «Massimo Gilardi» disse con eccessivo entusiasmo. «Io lavoro nel suo studio, è considerato uno dei maggiori penalisti italiani».

«Sarà troppo, per noi».

«Ma niente è mai troppo per lui. Anche lui ha due figli, si appassionerà alla vicenda e sono sicuro che arriverà alla soluzione. La dottoressa Santini lo tiene in grande considerazione. Collaborano, anche se sono su due fronti diversi. Ma è già successo in casi come questo». Dal portafogli trasse un biglietto dello studio. «Ecco, se vuole, questo è il numero dell’avvocato: decida lei».

Aziz scese le scale quasi di corsa e stava ancora sorridendo. Un sogno che si avverava: ora avrebbe finalmente potuto collaborare con Max Gilardi.

Sarebbe stata la prima volta.