Trentatré
Alex e Nicola erano seduti in mezzo alla stanza. Sulla scrivania uno schermo e le varie cartelle dei documenti. Dietro la scrivania, in piedi, Aziz Bernardini e Giacomo Cataldo stavano parlando.
Quando entrò Max Gilardi, i due ragazzi si alzarono in piedi. «Buongiorno, avvocato».
«Sì, buongiorno. Mettiamoci seduti».
Si sedettero tutti, tranne lui.
Davanti alla scrivania restò a fissare a lungo e in silenzio i due ragazzi: Nicola che imbarazzato si guardava attorno per non incontrare quei due occhi fissi su di lui, e Alessandro a testa bassa.
«Bene, ci siamo. Io ho assunto la difesa di Tosi… sei tu?»
Alessandro con un filo di voce disse di sì.
«L’avvocato Bernardini difende Latorri, che sei tu».
«Io che cosa ho fatto?» chiese Nicola.
«In questo processo non c’entri nulla, ma quando si aprirà quello per l’omicidio di Giulia Mauri c’entrerai, eccome. Hai inquinato le prove, è un reato. Inoltre sei persona informata sui fatti. Quella mattina a casa della Mauri c’eri anche tu. E anche tu sei stato fermato per strada dal ragazzo moldavo ucciso da Tosi. Ti pare di essere qui per caso?»
«Va bene. Sì…».
«Comunque farai e dirai solo ed esclusivamente quello che ti dirà l’avvocato Bernardini: siamo intesi?»
«Sì, siamo già d’accordo».
«Bene. Il PM, per entrambi i casi, è una donna, Adriana Santini. Ma non vi illudete, è brava e feroce. Non vi perdonerà nessun errore, ripensamento, aggettivo sbagliato. Alle domande, e ora le vedremo insieme, risponderete sempre la verità per quello che ne sapete. Nessuna ipotesi, nessuna idea che non possa essere provata. Mi sono spiegato?»
«Sissignore» disse Alex.
Nicola diede un’occhiata in tralice all’amico e non rispose.
«Voi conoscevate la storia che raccontava il moldavo a proposito della mattina in cui è morta Giulia Mauri. Come l’avete saputa?»
«Ce la gridava quel ragazzo, urlando e ridendo. Ci fermava per strada e ci diceva: ‘Tu ucciso ragazza’… lo diceva a lui» aggiunse Nicola, accennando ad Alex con la testa. «Ci mostrava uno smartphone, dicendo di averci fotografato quella mattina».
«E tu hai visto quelle fotografie?»
«Ce le ha fatte vedere una mattina che eravamo insieme. Lui gli ha dato degli euro che aveva in tasca perché abbiamo pensato che volesse dei soldi».
«Non che stesse ricattandovi?»
«Con quelle foto? No di sicuro».
«Come mai? C’è la sequenza dell’arrivo di Alessandro a casa Mauri, di lui che esce e poi ritorna con la polizia…»
«Dove c’è scritto che lui esce e ritorna? Lui è arrivato quando l’ho chiamato io».
«È così?» domandò Gilardi, rivolgendosi ad Alex.
«Dovevamo trovarci a mezzogiorno, ma lui mi ha chiamato, dicendomi di andare subito da Giulia. Sono arrivato con la polizia. Mi hanno visto tutti».
«Non c’eri stato prima ed eri tornato a casa?»
«Perché avrei dovuto fare una cosa del genere? Giulia era morta, che senso ha?»
«E quelle foto che i ragazzi hanno ripreso?»
«Forse bisognerebbe chiederlo a loro».
Strafottente, pensò Gilardi. Ma con Adriana Santini non avrebbe attaccato. «Non rispondere mai con questo tono» disse. «Ricordati che dall’altra parte hai una persona che vuole riuscire a trovarti colpevole, non spiritoso».
«Non lo so».
«Bene. È probabile, ma non ne siamo sicuri, che il PM non abbia queste foto. Tuttavia, semmai ne fosse a conoscenza, guardiamole dal suo punto di vista».
Sulla lavagna luminosa apparvero, prima in sequenza poi tutte insieme, ordinate come erano state nell’apparecchio dei ragazzi moldavi, le foto di quella mattina.
«Sono queste» disse Gilardi. «Come potete spiegarle?»
Alex si portò una mano sugli occhi. «Ancora quelle foto?» mormorò.
«Lo so. Ma dovete essere preparati. Allora, come le spiegate?»
Bernardini, che manovrava lo schermo, domandò: «Intanto, siete voi?»
«Sì, siamo noi. Non c’è dubbio».
«Questo sei tu?» domandò ad Alex, che era ritratto nel primo scatto.
«Sì, sono io».
«Ma non quella mattina» lo interruppe Nicola.
«Lascia parlare lui, sarete interrogati separatamente. Perché non quella mattina? Lo confermi?»
«Sì, non quella mattina… ha ragione. Appoggiato al muro c’è il suo motorino».
«Come sai che si tratta del suo motorino?»
«Lo riconosco dalle manopole, sono speciali, rosse, e lui ci ha attaccato la catena che gli aveva regalato Giulia. Lui quella mattina è arrivato in bus perché dovevamo andare al mare con la mia macchina» disse Alex.
«Come fai a saperlo, se sei arrivato dopo di lui?»
«Ci eravamo messi d’accordo, tutti e tre. Io sarei arrivato a mezzogiorno con la mia macchina».
Gilardi scosse la testa. «Questo non toglie che lui possa essere arrivato con il suo motorino prima di te».
«Allora io sarei già stato dentro casa quando è arrivato lui?» intervenne Nicola. «E allora chi è quello che arriva nella seconda foto, dopo di lui? Da dove sono uscito?» Aveva alzato la voce, con l’orgoglio di averlo messo a disagio. A quelle foto aveva pensato a lungo ed era sicuro di essersi costruito una difesa inattaccabile.
«Quello che indossate lo riconoscete?»
«No, anche quello… ma Alex, vuoi parlare anche tu? Guarda che in tribunale non ci sono io a tenerti la coda, accidenti. Io del motorino posso dire un’altra cosa. Doveva tornare mio fratello dal mare con moglie e figlio appena nato, e mio padre per far posto alla sua macchina e ai bagagli aveva sistemato il garage: il mio motorino era stato messo dietro a tutto, un casino… Tanto è vero che domenica sera per uscire ho chiesto il suo motorino, è vero o no?»
«È vero» confermò Alex.
«Quindi domenica mattina il mio motorino non poteva essere lì. Io sono arrivato in bus e a piedi. Alle dieci spaccate. Questo è il biglietto del bus, c’è data e ora».
Gilardi prese il biglietto e lo mise sul tavolo. «Come mai l’hai tenuto?»
«Per caso. Era nel portafogli e c’è rimasto. Quando ho visto le foto di quel ragazzo ho riso, io sapevo che il mio motorino non poteva essere lì. Ho creduto che stessero scherzando. Quella foto l’hanno fatta giorni prima, non so perché. E questo sì, forse, bisognerebbe chiederlo a loro: perché ci fotografavano? Che cosa volevano da noi?»
«Sì, certo. Eviterai di chiederlo al PM… è cosa sua. I vestiti, invece?»
Alessandro si mise gli occhiali. «Nella prima foto, che non è stata fatta quella mattina…»
«Lascia perdere, non è affar tuo. Rispondi e basta: i vestiti?»
«Ho una T-shirt bianca. E i jeans chiari. Nella terza foto, quando secondo loro esco da casa di Giulia, ho una T-shirt bianca. Di solito se ci sono righine colorate sono sul colletto e sui polsi, ma nella foto non si vedono. E quando torno con la polizia ho una ancora una T-shirt bianca…»
«’Na sfilata…» lo interruppe Nicola.
«Vai avanti».
«Ho finito. I jeans sono sempre quelli o uguali. Io li ho tutti chiari come quelli. Per il resto sono io, che cosa devo dire?»
«Tu sapevi che Giulia faceva l’amore con Nicola?»
«Sì e no… credevo che lo dicessero per farmi dispetto. Lui sapeva che io la volevo sposare, dopo la laurea».
«Tu, invece» disse Gilardi rivolgendosi a Nicola, «sei arrivato dopo di lui, in queste foto».
Il ragazzo fece di no con la testa. «Se c’è il mio motorino, sono arrivato prima di lui. Se invece la prima foto non conta, perché dovrei trovare delle spiegazioni per le altre? Sono tutte balle. Io sono arrivato alle dieci, perché Giulia mi aspettava alle dieci. L’ho trovata in terra, morta, con un paio di forbici infilate nel petto. Che altro devo sapere?»
«Ora ci arriviamo. Comunque questo sei tu» disse, indicando il secondo scatto. «Ti riconosci… eri vestito in questo modo?»
«Non me lo ricordo proprio».
«Te lo ricordo io» disse Bernardini, mettendo sullo schermo la foto della polizia che lo ritraeva in terra, con il corpo di Giulia sulle ginocchia. «Te la ricordi?»
«Sì…» Aveva abbassato la testa. «Sì, avevo quella camicia».
«Che è la stessa che c’è nella seconda foto. Sarebbe come se Alessandro fosse arrivato prima, avesse ucciso la ragazza, e tu fossi arrivato dopo di lui e preso il suo posto. Lui è tornato a casa, si è cambiato…»
Bernardini lo interruppe. «C’è il resoconto dell’ispettrice che l’ha accompagnato a casa: ha fatto l’elenco dei capi che erano nella lavabiancheria. Guardi, avvocato».
Gilardi prese il foglio e fece di sì con la testa. «Due lenzuola e due federe, quattro paia di calze, due jeans e tre magliette non specificate e un paio di scarpe da tennis. Non dice niente».
«Appunto». Bernardini riprese i fogli e li rimise nella cartelletta. «Non sono specificati. Perché facevi il bucato di domenica mattina, a casa da solo?»
«Perché mia madre mi ha insegnato così. Che c’è di strano? Quando lei non c’è lo faccio io, delle mie cose. Per averle pulite. Che male fa?»
«Quindi ti riconosci in queste foto».
«Certo. Ma di quella mattina c’è soltanto l’ultima foto, quando sono arrivato con la polizia. Non so quando hanno fatto le altre, noi andavamo in quella casa tutti i giorni a qualsiasi ora, la signora Pina ve lo dirà».
«Di quella mattina c’è l’ultima foto di quando tu arrivi con la polizia».
«E la mia di quando arrivo con la camicia a maniche corte» lo interruppe Nicola. «Il resto se lo sono inventato, non so a che scopo».
«Chiaro, mi sembra. Vi stavano ricattando».
«Per quegli spiccioli?»
«I ragazzi a noi hanno detto che tu, Alessandro, gli avevi promesso altri soldi a casa».
«Altri soldi a casa? E quali?»
«Ma no» lo interruppe Nicola. «Quelli se le rigirano come vogliono le cose. Un po’ non capiscono l’italiano e un po’ ci fanno. Una volta gli ha dato pochi euro. E quando sono venuti a raccontarci ’sta storia, li abbiamo fatti correre e lui gli ha detto che i soldi li aveva lasciati a casa, non aveva spiccioli».
Max Gilardi restò a fissarlo. Se non era vero, era ben studiato. Quel ragazzo gli sembrava troppo sveglio. «Questo lasciaglielo dire a lui».
«Sì, se parla…»
«I ragazzi a me hanno detto che Alessandro aveva invitato Nicolae ad andare a prendere i soldi a casa, quella sera…» disse Bernardini.
«Ma quando?» fece Nicola.
«Lascia rispondere lui!»
Alessandro era arrossito. «Sì, è così. Gli ho detto che non avevo soldi, che li avevo lasciati a casa. Non può aver capito di venire a prenderli a casa. Comunque… non so».
«La tua porta di casa, quella sera, non era chiusa con il chiavistello?»
«No, perché i miei erano fuori. Non sapevo i loro programmi. Se fossero ritornati, a volte mio padre torna tardi per non trovare traffico, non potevo mettere il chiavistello. Avevo soltanto chiuso a chiave con un’unica mandata. Ma ladri non ne sono mai venuti… Non ci ho pensato».
Max Gilardi si girò verso Bernardini e gli fece un cenno con il capo: non c’era dubbio, li aveva preparati bene. «Altro?»
«Direi di no, avvocato».
Gilardi si avviò verso la porta. «Noi ci vediamo lunedì mattina alle nove e un quarto in tribunale. Vestiti come per una comunione» disse a Nicola.
«Che cosa? Dovrei mettermi la cravatta?»
«Tra la cravatta e quella felpa che indossi con ‘I Love’ e lasciamo perdere il resto, forse una via di mezzo la trovi. Bene, quella. Ciao». E richiuse la porta alle sue spalle per non sentire la risposta.
In mano stringeva le foto a colori che gli aveva portato Giacomo Cataldo.