Ventiquattro
Era da cinque giorni che Nicola passava a prendere Alex a casa e insieme, a piedi, avevano raggiunto il garage dove lui teneva la sua auto.
Quel giorno stavano scendendo nella strada che passava davanti alla villetta di Giulia. Si fermarono due palazzi più avanti e girarono a sinistra.
«Li hai visti? Ci sono?» chiese Alessandro.
«No, la strada è deserta. Comunque non ho mai capito perché tieni qui la macchina!»
«Quante volte te lo devo dire: quando mio padre ha costruito quella casa ha messo un solo garage per ogni appartamento. Nel nostro ci sta la sua, a me ha regalato questo».
«Però, la notte quando torni a casa… Io avrei paura a fare questa strada da solo».
«Infatti quando arrivo tardi la lascio nel nostro cortile. Ci pensa poi mio padre a rimetterla a posto».
Nicola si guardò alle spalle. «Per me hanno capito che non è aria, non si faranno più vivi. Vengo ancora domani».
«Grazie, sì. Anche se penso che quando mi vedranno da solo torneranno».
«E tu futtatenne! Hai visto, no? Ci siamo stati mille volte in quella casa, avanti e indietro, da quando eravamo piccoli. Stanno bluffando per fare gli spiritosi. Dagli duecento euro perché si tolgano dai piedi, poi minacciali di andare alla polizia. A loro non conviene. Di sicuro meno che a te…»
«Sì, grazie. Dove ti lascio?»
«Dietro alla stazione, poi vado a piedi».
Cinque giorni.
Al sesto, mentre scendevano a piedi per quella stessa strada, Alex e Nicola finalmente li videro. Tutte e tre, come la prima volta. Il più grande davanti, i due ragazzini dietro.
Il giovanotto rideva, mostrando lo smartphone.
«Allora, pensato?»
«Certo, ora chiamo la polizia» rispose duro Nicola.
«Polizia polizia… tu ucciso ragazza…» Quello stava mostrando ad Alex l’apparecchio aperto, agitandolo. «Strillava… strillava. Tu ucciso ragazza… qui… qui… polizia».
«Ma togliti dai piedi, avanti. Dammi quell’affare. Su, dammelo. Quanto vuoi? Duecento biglietti e ti togli dai piedi? Duecento biglietti? Su, dammi quell’affare, fammelo vedere…»
Alex estrasse dal portafogli quattro banconote da cinquanta euro e le mostrò al ragazzo. «Ecco, dammi quell’arnese e non farti più vedere».
«Tu dai a me e io distruggo. Tu dai a me…» E fu più veloce di Alex: gli strappò i biglietti dalla mano e corse via, attraversando la strada. Stava ridendo, e i due ragazzini con lui.
«Scemo, ora vado a denunciarti, sei un ladro. Anche quell’accidenti di telefono l’hai rubato».
Erano tutti e tre sul marciapiede opposto e stavano ridendo, ancora con quei soldi in mano. «Polizia… polizia… tu ammazzato ragazza… tu ammazzato ragazza».
Dalla finestra al pianterreno avanzò una testa spettinata di donna. «Io ammazzo te, la volete piantare? Sempre qui dovete stare? Ladri! Via, via… Chiamo la polizia… Ladri!».
I tre ragazzi si misero a correre e sparirono dietro l’angolo della casa. Nella strada rimasta deserta si sentivano ancora gli strilli della donna dietro le persiane. «Ladri! Chiamo la polizia…» Poi uno sbattere di persiane che si chiudevano con forza. «Ladri».
Alex e Nicola raggiunsero il garage. Alex stava tremando.
«E piantala, avanti. Sono andati. Vedrai che non si faranno più vivi. Duecento cocuzze per loro sono soldi».
«Ne vorranno degli altri».
«E tu non glieli dare. Dieci euro… tanto per fargli capire che se durano loro, duri anche tu. Si stancheranno, sono ragazzi. Poi hai sentito la vecchia?»
«No, quale?»
«Quella che abita lì, te la ricordi? Al pianterreno, proprio di faccia a Giulia… sempre a guardare noi, a gridare se arrivavamo con le motorette accese. Ma te la ricordi? La matta».
«Sì, la matta. Era lì?»
«Sì, è lei che li ha mandati via. Li ha chiamati ladri… hanno più paura di lei che di te». Stava ridendo.
«Dove vuoi che ti accompagni?»
«No, grazie, scendo a piedi. E… senti. Non vengo più, ormai hai capito. Innocui. Vogliono solo spillarti qualche spicciolo. Non sempre, ma ogni tanto… dieci, venti euro. Non ti sbilanciare e soprattutto non tremare. Accidenti, Alex. Che uomo sei?»
«Va bene, grazie. Ciao, ci sentiamo».
Nicola fece qualche passo e si fermò girandosi verso Alex. «Se dovessero alzare il prezzo, minacciali. Hai capito? Prendi il cellulare e fingi di chiamare la polizia. Non ci tengono a trovarsi davanti la polizia, sono clandestini. Hai capito? Li rimandano al loro paese, hanno più paura di te. Spiccioli e levateli dai piedi, non hanno niente in mano. Niente».
«Va bene. Vorrei essere come te».
«Io vorrei avere i tuoi soldi». Stava ridendo. «Ciao, tira diritto, mascalzone… Siamo invincibili!» aveva urlato, alzando le braccia al cielo. Un gesto che faceva anche da ragazzino.
Due giorni dopo erano lì. Anzi, c’era soltanto il ragazzo più grande. E non rideva.
Aveva appoggiato le spalle al cancello della casa di Giulia e aveva un’espressione seria.
«Ferma» gli disse mettendogli una mano davanti al petto per non farlo proseguire. «Parlo. Tu ammazzato ragazza, ero qui».
«Non dire scemenze» rispose Alex.
«Tu ammazzato ragazza, noi visto. Ti do telefono e tu paghi».
«Quell’arnese non vale niente». Gli sembrò di essere stato convincente.
«Vale… duemila» rispose l’altro abbassando il tono di voce.
«Tu sei pazzo».
«No, pazzo. Tu paghi e io do telefono. Polizia, do telefono polizia. Tu ammazzato ragazza».
«Ma figuriamoci, sono arrivato dopo».
Il ragazzo scosse la testa violentemente. «No vero. Tu arrivato, ragazza strillava… Tu uccisa… tu gridavi. Lei gridava… tu uccisa».
«Senti…» Alex stava cominciando a sudare, e temette che il ragazzo se ne potesse accorgere. «Parliamone con calma. I soldi io li ho a casa… ne parliamo e la facciamo finita».
«Finita…»
«Io abito…»
«So».
«Bene. Sabato sera sono solo a casa, capito?»
«Solo, sì».
«Allora vieni, mi dai questo affare e la facciamo finita».
«Duemila…»
«Vedremo. Tu vieni e ne parliamo. Capito?»
«Capito».
«Alle undici e mezzo. Capito?»
«Capito, sì. Undici e mezzo» e picchiettò con due dita sull’orologio che aveva al polso. Probabilmente rubato anche quello.
Si dissero ancora qualcosa e poi si salutarono.
«Sabato».
«Sì, sabato. Serio… se no polizia».
«Ci vado io alla polizia» lo minacciò Alex rispondendogli con una risata. «Polizia» gli ripeté, mostrandogli il pugno, mentre l’altro si allontanava di corsa.