Tre
«Adesso apri le orecchie…»
«Ma tu e lei… da quando?»
«Smettila con ’sta storia, non farla lunga. Adesso devi salvarti il culo, accidenti. Stammi a sentire. Ora tu vai a casa, abiti qua dietro quindi ci metti due minuti. Prendi calzoni, maglietta e scarpe e butti tutto in lavatrice insieme con le lenzuola del tuo letto».
«Le lenzuola… perché?»
«Perché diventa un bucato, scemo. Fai come ti dico, e sfregaci con l’aceto sulle macchie, che cancella il sangue. Mi stai a sentire?»
«Sì, sono disperato…»
«Vabbè, a questo ci pensiamo poi. Tra dieci minuti ti telefono, dicendoti di venire qui e tu mi rispondi… stammi bene a sentire, testa di… ascolta. Mi dici: ‘Ma non dobbiamo trovarci a mezzogiorno? Sto studiando…’, e apriti un computer o quel che vuoi, il tecnigrafo… insomma, come se stessi studiando davvero. Io ti dico di venire e tu dici di sì. Ti rivesti con roba pulita e arrivi. Io intanto chiamo la polizia e vi faccio arrivare insieme. Hai capito come funziona?»
«No… sì, va bene… ma tu?»
«Io li aspetto qui. Non sono stato io. Qualunque verifica vogliano fare, non sono stato io. Quelle impronte non bastano a incriminarmi. Vattene, va’. E ricordati tutto. L’aceto, mi raccomando… vattene e lascia la porta socchiusa».
«Ma io…»
«E vattene!»
Rimasto solo Nicola osservò finalmente il corpo di Giulia, sdraiato in modo scomposto sulle sue ginocchia. Il sangue aveva cominciato a rapprendersi. Era morta. Ed era nuda. Quegli occhi spalancati ora fissavano proprio lui.
Guardò l’ora e chiamò la polizia. Gli tremava la voce mentre dava l’indirizzo.
Aspettò ancora e chiamò Alex, sapendo che se avessero controllato i loro cellulari avrebbero ricostruito i loro movimenti secondo il suo piano.
«Vieni… da Giulia, vieni subito».
«Ma dobbiamo trovarci a mezzogiorno, sto studiando».
«No, vieni subito… vieni subito».
Come aveva previsto, Alex e la polizia arrivarono insieme.
«Tu chi sei, stai fuori… Dove?»
Nella villetta erano entrati in sei o sette, alcuni in divisa con i giubbotti antiproiettile, altri in borghese. Quello dall’aria più importante, l’ispettore Ivo Guglielmi, si piantò a gambe larghe davanti a Nicola, che era rimasto in terra con quel corpo seminudo sulle ginocchia, gli occhi chiusi e le spalle appoggiate al muro. Prima di rivolgergli la parola, girò appena la testa sopra la spalla. «Chiamate la Scientifica. Voglio il dottor Pasinotti, è di servizio». Poi, a Nicola domandò: «Come ti chiami?»
Dall’altro lato della stanza si sentivano i singhiozzi di Alex. «Non è possibile… non è possibile. Eravamo amici, perché l’hai fatto?»
«Lo volete far tacere a quello lì? Non sono stato io, accidenti a te. Ero così fesso che chiamavo la polizia? Fatelo tacere».
«E allora chi è stato?»
«E che ne posso sapere? Sono entrato, lei era qui. L’ho sollevata sperando che fosse ancora viva. E ho chiamato Alex e voi».
«Alzati, avanti. Senza muovere il corpo… Attento. Come ti chiami?»
«Nicola Latorri. E quello scemo che piange è Alessandro Tosi. Eravamo tutti e tre amici dalle elementari. Siamo cresciuti insieme, ve lo diranno tutti». Era in piedi davanti all’ispettore, adesso, e con la mano si fregava il naso. «Lo sapevano tutti».
«Tutti, chi?»
«I nostri genitori, i compagni di scuola. Loro due dall’asilo…» aggiunse mettendo una mano sulla spalla di Alex. «Avanti, smettila di piangere…». Aveva usato un tono tenero, da fratello maggiore. «Su, Alex… avanti, parla».
Due uomini con le tute bianche si occuparono del corpo di Giulia.
Alex, intanto, non smetteva di piangere.
«La vuoi piantare? Non sono stato io, accidenti. Eravamo amici da quando andavamo a scuola… vengo qui e l’ammazzo? Ma sei scemo?»
Ivo Guglielmi si rivolse a loro senza cambiare espressione.
«Allora ricominciamo: come vi chiamate… perché siete qui?»
«Un colpo inferto con una certa forza, presumibilmente in piedi». La voce pacata e nasale del dottor Pasinotti.
«Ora della morte?»
«Meno di due ore fa, il corpo è ancora tiepido».
«L’arma?»
«E che ne posso sapere? Certo un’arma aguzza, molto appuntita».
«Poco sangue…»
«Sarò preciso dopo l’autopsia. Potrebbe aver colpito il ventricolo sinistro. Vedremo, ora lasciatemi andare».
«Ispettore» li interruppe un giovanotto che stava segnando con il gesso il contorno del corpo. «Qui c’è l’arma del delitto… delle forbici da cucina sporche di sangue». Raccolse le forbici in un sacchetto di plastica e le mostrò all’ispettore.
Questi guardò Nicola. «Se ci trovo le tue impronte…»
«Ce le trova di sicuro. Le aveva infilzate nel petto, e io gliele ho tolte».
«Tu che cosa hai fatto?» Ora stava urlando. «Gliele hai tolte?»
«Che cosa dovevo fare? Le aveva infilate lì… e io gliele ho tolte, non ci ho pensato. Io speravo che fosse ancora viva».
«Roba da pazzi, due deficienti… e questo che continua a piangere. Mi volete dire chi siete e che cosa ci fate qui? Chi ha ammazzato questa ragazza? Chi era? Dove vive… Di chi è questa casa? Adesso fate tutti silenzio, voglio capire. Avete preso le foto?» chiese agli agenti della Scientifica. «Le impronte…»
«Qui ce le trova di sicuro» disse Nicola, «noi praticamente abbiamo vissuto in questa stanza da quando eravamo ragazzini. Siamo amici da allora, sempre insieme. Ecco perché quando ho trovato il corpo…»
«Dove? Che ora era? Andiamo per gradi… Nomi, accidenti. Voglio i nomi!»
Se n’erano andati tutti. A Nicola e Alessandro avevano tolto le scarpe e ne avevano preso le impronte. Poi li avevano caricati su due macchine diverse e li avevano accompagnati in questura per interrogarli in due salette separate, cercando di incastrarli. Ma le loro deposizioni non facevano una grinza.
«Io sono arrivato con voi, non ne sapevo niente» disse Alessandro. «Nicola al telefono mi ha detto di venire a casa di Giulia, anche se io non volevo perché stavo studiando. Poi sono arrivato e c’eravate voi… non so altro».
«Io sono entrato, mi aspettava, l’aveva fatto altre volte» raccontò Nicola. «Mi lasciava la porta socchiusa e quando arrivavo si faceva trovare nuda, appena uscita dalla doccia. Facevamo l’amore dove capitava».
«Era la tua ragazza, e l’altro non era geloso?»
«No, lei non era la ragazza di nessuno, ma faceva l’amore con me. Era un gioco, in realtà, vedrete che era ancora vergine. Era un gioco, sì, ma ci volevamo bene. Tutti e tre».
Cercarono di metterli l’uno contro l’altro, di riferire frasi che li indispettissero.
Alla fine, però, dovettero lasciarli andare. I due amici continuarono a ripetere le stesse cose nello stesso modo: con calma Nicola, affannosamente e tra le lacrime Alex. Ma sempre coerenti alla prima versione: Giulia era già morta e Nicola aveva strappato le forbici dal suo cuore in un gesto insensato ma forse comprensibile.
Tutto finito.
«Restate a disposizione».
I due ragazzi avevano dato il nome e il cellulare del padre di Giulia. «La famiglia è a Roma per un funerale. Questo è il numero del padre, ce l’aveva lasciato in caso di bisogno. Povera, sua madre, stravedeva per questa figlia» aveva detto Nicola.
Li avevano lasciati soli in una stanzetta senza finestre. Le mani sporche d’inchiostro e gli occhi rossi.
Si guardarono intorno, prima di parlare. E lo fecero quasi bisbigliando.
«Ci sono le tue impronte sulle forbici» disse Alessandro, bisbigliando.
«Gliel’ho detto io. C’eri anche tu. È stato un impulso irrefrenabile. L’hanno capito. Ora stai attento a te, mi raccomando».
Parlava a labbra serrate, guardandosi attorno.
«Io… non so che cosa dirti».
«Zitto… Lei è morta, noi siamo qui».
Quando furono per strada, mentre aspettavano gli agenti che li avrebbero riaccompagnati a casa, si salutarono senza stringersi la mano. «Cerca di non perdere la testa. Io mercoledì ho un esame, vado a casa a studiare. I tuoi quando tornano?»
«Domani».
«Stai abbottonato anche con loro, mi raccomando. Non perdere la testa. Cercheranno senza trovarlo il ladro che l’ha uccisa… così hanno detto. Un ladro sorpreso…»
«Ma era tutto in ordine, non mancava niente».
«Io sono entrato e lei era già morta, posso giurarlo anche in tribunale. Capisci la storia?»
«Un delitto perfetto?» chiese Alex, passandosi una mano sugli occhi.
«Non troveranno mai l’assassino, a noi basta questo. Ciao, stai su».
«Sì, grazie… però un giorno vorrei parlare con te».
«Di Giulia? Dimenticatela, fammi ’sto piacere. Non era come te l’immagini, è morta e noi siamo qua. Gli esami, accidenti!»
Gli diede una manata sulla spalla in un gesto che gli era abituale. Nicola era sempre stato così, concreto e positivo. Quanto Alex era stato ed era ancora fragile e insicuro.
«Ciao, allora. Chiamami».
«Sì, ma non parlare al telefono, hai capito? Stai attento. Una volta ci sono riuscito, a salvarci, due sarebbe impossibile. E non vorrai marcire in galera per Giulia. Lei non c’è più. Quindi stai attento, hai capito? Anche con i tuoi».
«Sì, d’accordo. Tranquillo. Buon esame». Alessandro sorrideva, ma gli tremavano le mani mentre le agitava davanti alla faccia per salutarlo.