Ventinove
Tu ucciso ragazza.
Per prima era arrivata la dottoressa, ma mentre questa le palpava delicatamente le gambe stese su un pouf ricoperto da un asciugamani rosa, e lei faceva smorfie con la bocca, suonò il campanello.
«Aspetti qualcuno?» chiese la dottoressa.
«Oh, misericordia… mi va ad aprire, per favore? È l’avvocato, l’ho chiamato io e me ne sono scordata».
I due si guardarono sulla porta. Lui con la pelle ambrata, quell’accenno di baffi e barba, elegante nel suo impeccabile impermeabile blu. Lei bionda, minuta, nei pantaloni stretti, il golfino rosa e i capelli raccolti alla nuca. Ognuno stupito dell’altro.
«Sono la dottoressa Gianna Pascali».
«Mi dispiace, la signora Cuotolo è malata? Mi ha telefonato ieri… sono Aziz Bernardini. Posso ripassare se…»
«No, venga… piacere. Chissà che cos’ha nella testa, venga».
Amalia Cuotolo intanto si era rimessa a sedere e aveva coperto le gambe. «Venga, che testa ho! La dottoressa è…»
«Sì, ci siamo già presentati. Vuoi che vada?»
«No, no… le mie gambe. Quelle mi fanno male davvero. Avvocato, mi dispiace… non so se quello che devo dirle è importante. Io ci ho pensato».
«Oggi niente caffè, che c’è anche l’avvocato? Non me l’hai preparato, eh? Anche per lei, avvocato? Il caffè più buono di Napoli si beve da Amalia. Ci mette anche…»
«…’Nu pizziche ’e cacao amaro, comme faceva mio padre, buon’anima. Quello vero».
«Vado di là a prepararlo» disse la dottoressa. «Anche per lei, avvocato?»
«Sì, grazie». Non capiva dove fosse capitato, ma si fece coraggio. «Allora, signora Cuotolo? Che cosa voleva dirmi?»
Lei gli mostrò il giornale, per fargli capire che sapeva di ciò di cui stava parlando. Ci passò sopra le mani, a lisciarlo. Poi un sospiro. «Io non so se è importante, ma giorni fa…»
E gli raccontò, con parole sue, della prima volta che aveva cacciato quei ragazzini da davanti la finestra, delle cose che aveva sentito. E dell’altra mattina, e di quel grido: ‘Tu ucciso ragazza’.
«Capisce, avvocato, perché l’ho chiamata? Hanno detto: ‘Tu ucciso ragazza’. Non era il fratello? Moldavo, che male è?»
«No, significa che è nato in Moldavia, vengono da là».
«Ah… ma era omme ’o vero. Che cosa mi significa che lo chiamano ‘ragazza’? Io non ci capisco… ho fatto male a chiamarla, avvocato?»
«No, cercherò di capirci qualcosa anch’io. Non me lo spiego. Avevano in mano un arnese… un telefonino?»
«Così mi pareva. Glielo mostravano ridendo. ‘Polizia polizia…’ gridavano, quando li ho fatti smettere. Io…» S’interruppe, la dottoressa era appena rientrata con le tazzine e la caffettiera.
«Sentirà, avvocato, il caffè dell’Amalia. Lei è napoletano?»
«Sì, sono nato a Napoli. Anche mio padre».
«Il vero caffè io lo bevo soltanto qui da lei». La dottoressa lo guardò mentre stava sorseggiandolo. «Come lo trova, eh?»
«Buonissimo davvero».
«E le cose che le ho detto io? Come le trova, avvocato nato a Napoli?» disse la signora Cuotolo.
«Ci devo pensare. Comunque, sì… ha ragione, sono strane».
«Ecco, ci pensi. ‘Tu ucciso ragazza…’, che era invece il fratello. Mah, questi stranieri non ci stanno con la testa, non ci stanno…» E rivolta alla dottoressa: «E con queste gambe che ci faccio?»
«Continua le cure che ti ho dato, stai con le gambe stese, quando puoi, e strapazzati poco. Mi hai sentita? Ora ti scrivo la ricetta per le pastiglie… non le paghi, ma le prendi. Mi stai a sentire? Ora che ti sei messa a fare l’investigatrice, curati, benedetta donna. Stai seduta con le gambe in aria… mi stai a sentire?»
«Ho sentito, sì. Ho sentito… se non si può fare altro, che devo fare? Dica lei, avvocato: che devo fare?»
Si salutarono in fretta, e Bernardini e la dottoressa si ritrovarono bloccati sotto il portone, aveva cominciato a piovere.
«Posso darle un passaggio, dottoressa?» La sua macchina era parcheggiata male sul marciapiede.
«Grazie, sì, se non è un disturbo. Fino al posteggio coperto, in piazza Leonardo, lì dietro».
«Salga, avanti. Ci mancava la pioggia».
Avanzavano un metro per volta, la pioggia aveva acuito il traffico.
«Le è utile quello che le ha detto Amalia?»
«Sinceramente non lo so. Temo che abbia sentito male, ma cercherò di approfondire quello che mi ha detto. Mi sembra strano… comunque siamo abituati a sciogliere rebus, noi».
«Le piace il suo lavoro, avvocato?»
Lui le sorrise. «A lei piace il suo lavoro, dottoressa?»
«Sì, a me piace. Hai contatto con la gente, parli, li capisci. È il volto umano della mia professione. Certo, da studentessa sognavo la clinica, lo studio… ma sono contenta di quello che faccio per la Asl. E spero di farlo bene. E lei? Difende sempre innocenti?»
«Quasi mai. Ma facciamo tutto quello che possiamo, e a volte è davvero difficile».
«La giustizia è giusta?»
«Quasi sempre, sì». Le sorrise. «Io devo crederci».
Lei lo guardò per un attimo. «Ecco, grazie, sono arrivata».
«Niente, ce la fa a scendere?»
«Sì, ciao avvocato…» e scese, correndo verso la pensilina. Quando si girò stava ancora sorridendo.
Quella sera si fermò a Napoli.
D’accordo con Gioia, sua moglie, Aziz aveva affittato un monolocale nelle vicinanze dello studio: gli serviva quando finiva troppo tardi per tornare a casa, a Capodimonte.
«Non torni?» gli chiese Goia al telefono.
«No, tesoro. Tutto bene, lì?»
«Sì, ci mancherai… Grane?»
«No, un dubbio. Mi hanno detto una cosa, oggi, che voglio verificare. Sto riguardando alcuni documenti. Sono ancora in studio».
«Mangia, hai capito?»
«Certo che mangio. Tranquilla, amore… Torno domani sera».
«Ciao, bacio».
«Bacio, anche ai miei tesori».
Tu ucciso ragazza.
Con un telefonino in mano. Ma forse era un apparecchio più sofisticato. Forse avevano ripreso qualcosa.
Stavano ricattandolo? Perché ‘ragazza’, se il biondino gli aveva ammazzato il fratello maggiore? Si chiamava Nicolae, veniva con la famiglia dalla Moldavia, stava nelle baracche ai Sempioni con la madre, una sorella e due fratelli più piccoli. Gli investigatori avevano diramato notizie certe sull’accaduto. Un colpo di mazza da golf alla testa. Morte casuale.
Legittima difesa.
‘Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio contro il pericolo attuale di un’offesa sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa…’
E ancora: ‘Deve sussistere un pericolo attuale…’
‘La reazione deve essere necessaria per salvare il diritto minacciato…’
‘… al fine di difendere la propria o altrui incolumità…’
‘… che la legittima difesa sia operata attraverso un’arma o altro strumento di coercizione legittimamente detenuto da chi la adopera…’
Stava ripassando il codice. Alessandro Tosi si era difeso al buio da una minaccia effettiva, di cui ignorava la portata eventuale – ignorava, cioè, se il ladro fosse o no armato.
Bernardini a quel punto scosse la testa: i ladri di solito non sono armati perché se vengono colti sul fatto l’accusa non è più di rapina, ma di tentato omicidio. Infatti quando uccidono usano armi improprie che trovano sul posto. Comunque il Tosi poteva non saperlo. E seguitò con il codice:
‘… usando senza l’intenzione di uccidere, un’arma impropria di sua proprietà e uso.’
Tutto regolare.
Con l’attenuante, di cui il tribunale avrebbe potuto tener conto, che la recente aggressione mortale a Giulia Mauri aveva certamente modificato la percezione di Alessandro nei confronti dell’intruso penetrato al buio in casa propria.
E allora? Nicolae viveva nelle baracche ai Sempioni: perché ‘Tu ucciso ragazza’?