Ventisei

Alex guardò ancora l’orologio. Le undici meno dieci.

Si cambiò la maglietta e si infilò una felpa pulita. Blu. Con la sigla di un golf club americano. Ci sarebbe andato. Subito dopo la laurea ci sarebbe andato, negli Stati Uniti, e non sarebbe più tornato.

Le undici.

Scese nuovamente, giusto in tempo per rispondere al telefono: era sua madre.

«Sei a casa…»

«Sì, ho mangiato».

«Buone, vero?»

«Buone, sì…»

«E ora che cosa fai?»

«Un po’ di tv, poi studio e vado a letto. Stai tranquilla».

«Sì, Alex. Buonanotte. Qui c’è un disordine e una polvere… ma quando tuo padre si mette in testa ’na cosa… lo sai anche tu. Buonanotte, caro. Domani torniamo tardi, ma andiamo a mangiare la pizza da Giosuè… ti va la pizza da Giosuè? Sì? Bene, dormi che domani è domenica. Buonanotte…»

«’Notte».

’Notte… Le undici e dieci.

Accostò le due controporte di legno e chiuse la porta interna. Staccò la luce. Al buio salì la scala che conduceva alla sua camera. E inavvertitamente sfiorò la sua sacca da golf, che era al solito posto ai piedi della scala. Ancora umida.

In camera si gettò sul letto, stropicciò le lenzuola come se ci avesse dormito.

Le undici e venticinque.

Alle undici e trenta era nuovamente in piedi in cima alla scala.

Guardò l’ora, il suo orologio aveva le ore e le lancette che si illuminavano al buio. Undici e trentuno.

Non viene. Quel cretino fa il furbo e non viene. Peggio per lui, non gli do una seconda occasione.

Undici e trentadue…

Camminò sul breve ballatoio sino al bagno. Tornò indietro e si fermò nuovamente in cima alle scale.

Undici e trentaquattro.

Non viene. Peggio per lui. Se domani lo incontro gli dico che avevo i soldi, ma…

Sentì chiaro un rumore alla porta. Trattenne il fiato.

La porta esterna, appena urtata, si era aperta. Per quella interna dovette fare più sforzo e più rumore. Gli aveva detto che doveva spingerla per dire ai suoi che era entrato un ladro.

‘… E i soldi dove lasci?’

‘Sul tavolo… ma tu spingi la porta, hai capito? Devi essere un ladro’.

‘E tu dove?’

‘Io vado fuori… hai capito? Prendi i soldi e te ne vai… te li lascio sul tavolo. E mi lasci lo smartphone… hai capito? Non fare il furbo perché ti denuncio. Polizia, capito?’

‘Sì, polizia… capito’.

‘Tu rubato miei soldi. Polizia.’

Lo sentì muovere, tra la poltrona e il tavolino del salotto. Lo sentì annaspare verso il muro per cercare l’interruttore. Inciampare nella poltrona con un’imprecazione tra i denti.

Alex stava scendendo a piedi nudi. In fondo alla scala con due dita sollevò dalla sacca uno dei suoi bastoni, lo riconobbe al tatto: lo shaft in acciaio. Avanzò verso il punto dove intuiva che il ragazzo si fosse fermato. Lo intravide con la poca luce che filtrava attraverso la porta che era rimasta socchiusa. Anche il ragazzo si accorse di lui.

«Dove?» Si riferiva ai soldi. «Qui?»

Alex alzò il bastone, lo bilanciò tra le mani e fece partire il colpo con una mossa precisa e circolare. Sentì la testa del bastone colpire con forza un corpo duro. Un grido soffocato e un rumore di vetri rotti. Poi il silenzio.

Alex corse a richiudere la porta e alzò la levetta della luce. Quando si rigirò verso la stanza vide il corpo del ragazzo in terra, tra il divano e il tavolino. Frammenti di vetro accanto al corpo. Trattenne un conato di vomito e chiuse gli occhi.

Quando li riaprì si rese conto che doveva agire in fretta. Le undici e quarantasei…

Senza muovere il corpo, frugò nelle tasche del giubbotto e dei calzoni. E poi nelle scarpe, sapeva che poteva essere un buon nascondiglio. Nel berretto di lana. Palpò le maniche del giubbotto e della canottiera.

Non c’era. Lo smartphone non c’era. Gli aveva mentito, non c’era!

Fu allora che si rese realmente conto di averlo ammazzato. Il cuore gli pulsava alle tempie come se qualcuno lo battesse con forza da dentro.

Uscì sul pianerottolo e si sedette sull’ultimo gradino della scala. Con le mani che gli tremavano estrasse il cellulare dalla tasca.

Non aveva paura, era soltanto arrabbiato. Ma non volle chiamare Nicola.

Chiamò Bernardini. Era mezzanotte.

«Alex? Che cosa è successo?»

«Un ladro in casa… credo di averlo ammazzato».

«Che significa ‘credo’? È morto? E chi è?»

«Non lo so…» mentì «ed è morto, sì… al buio, con una mazza da golf, non ho visto dove colpivo…»

«Io sono a Capodimonte, vivo qui. Aspetta, non toccare niente. Mi stai a sentire? Non toccare niente. Ora chiamo Gilardi».

«La polizia?»

«Ci pensa lui, tu non toccare niente. Mi hai capito? Stai fermo, ora chiamo Gilardi».

Alex si guardò intorno. La luce delle scale si era spenta. Era al buio ed era scalzo. Da una finestra entrava sbilenco il riflesso di un lampione che gli permetteva di intuire il pianerottolo, il corrimano di legno sulla ringhiera di ferro a foglie grandi.

Faceva freddo.

In casa c’era un ragazzo morto. E l’aveva ucciso lui.