Quindici
Furono gli strilli di suo marito, i pianti di Carla e le bestemmie di suo cognato a convincerla.
Pina Mauri era arrivata a casa con il pacco del vestito e la cappelliera. Li aveva mostrati, con le mani che le tremavano. Li aveva distesi sul letto, anche i sandali. E suo marito con una sola manata glieli aveva gettati per terra.
«Mia figlia, una puttana! E tu che le davi corda. Se l’hanno ammazzata è anche colpa tua».
«Non ne sapevo niente!»
«Neanche che quei due scioperati se la spassavano? Se rivengono qui li strozzo con le mie mani, porci degradati! Ti rendi conto di che cosa hanno scritto i giornali di tua figlia? Una puttana! Questa era tua figlia… e tu che facevi finta di non sapere. Io mi vergogno. In azienda sparlano tutti di lei, si passano le fotografie, se la guardano sul computer e in televisione, una trasmissione dopo l’altra. E tutti a sparlare sparlare sparlare, porca troia! Mi dici chi gliele ha date le fotografie in costume da bagno? Un bikini da vergogna! Le tette all’aria… Sempre tu. Senza testa, questo sei. Senza testa e senza cuore».
Senza testa e senza cuore.
«Ma porca puttana… a casa nostra!» aveva rincarato il cognato rivolto alla moglie. «I fotografi e le tv sotto casa… Sono lo zimbello della fabbrica, io non ce li voglio più in casa mia. Diglielo, porca puttana, è tua sorella! Che se ne vadano!»
Le urla di Giovanni Ludovisi arrivavano anche alla casa di fronte.
E Carla piangeva, strofinandosi gli occhi con il fazzoletto.
«Tu dovevi essere più dura, con tua figlia» disse alla sorella. «Sei stata debole. Lo senti mio marito, non ce la faccio più. Sei stata debole, con tua figlia. Troppo debole…»
Sei stata debole, troppo debole.
In quel momento Pina Mauri si era ricordata del biglietto che le aveva dato quell’avvocato giovane, dalla pelle scura. Era ancora nella tasca dell’abito che aveva indossato quel giorno. Lo prese, lo guardò come a chiedersi se doveva farlo. Ci pensò un attimo e, andando nell’altra stanza, compose il numero.
«L’avvocato Gilardi, per favore: sono Giuseppina Mauri».
«Per un appuntamento, signora?» le rispose una voce femminile all’altro capo.
«Sì, ormai è urgente che io gli parli».
«Attenda, prego». Un minuto, forse due. Al telefono, con la mano che le tremava. Avrebbero gridato anche per quello, ma ormai doveva farlo. «Signora Mauri? L’avvocato Gilardi può riceverla domani alle tre e mezzo. Per lei va bene?»
«Va bene, grazie».
«Conosce l’indirizzo, signora?»
«Conosco l’indirizzo, grazie».
Ci sarebbe andata. L’indomani, alle tre e mezzo. Un avvocato come quello sapeva di certo che cosa bisognava fare.
Forse anche lui le avrebbe detto che era stata colpa sua.
L’avvocato Gilardi si alzò in piedi e le andò incontro.
«Buongiorno, signora».
«Lei sa chi sono?»
«Sì, leggo i giornali. E l’avvocato Bernardini si sta interessando dei due ragazzi». Le aveva stretto la mano, una mano piccola, scarna e fredda, come se non vi arrivasse il sangue. «Sediamoci qui» le disse, accostando due poltroncine sullo stesso lato del tavolo. «Posso offrirle un caffè o qualcosa da bere?»
La donna scosse appena la testa. «Grazie, un po’ d’acqua. Ne avrò bisogno».
Max Gilardi attese che Aurora portasse la caraffa con l’acqua e il ghiaccio e i due bicchieri. «Per lei il caffè, avvocato?»
«Vediamo dopo».
«Devo avvertire l’avvocato Bernardini?»
«Dopo. Dopo anche quello, grazie».
Mentre Aurora richiudeva la porta, le arrivò l’ordine che si aspettava: «Nessuna telefonata, grazie».
L’avvocato guardò finalmente la donna che gli sedeva accanto, aggrottando la fronte. «Perché si è rivolta a me, signora?»
«Prima di tutto perché faccia smettere tutta questa porcheria di chiacchiere intorno a mia figlia. Giornali, televisione… parlano solo di questo».
«Impossibile, signora. È diritto di cronaca e né la polizia né tanto meno un avvocato possono opporsi. A meno che non si esca in modo inconfutabile dai confini della cronaca…»
«Le chiama cronaca, lei, le fotografie in bikini? E la descrizione dei rapporti con i suoi amici? Questa sarebbe cronaca?»
«Spiacevole, certo: ma questa è cronaca. Anche le supposizioni, i pettegolezzi… se c’è qualcuno che parla e se ne assume la responsabilità. È una battaglia perduta, se è ciò a cui vuole andare incontro».
«Quindi non possiamo fare niente, è questo che mi sta dicendo?»
«Se si rimane entro i limiti consentiti dalla legge, è proprio così. Non possiamo fare niente. Opponendoci, peraltro in torto, non faremmo altro che alimentare queste chiacchiere. Possiamo far capire ai giornalisti che li teniamo d’occhio, pronti a intervenire. Ma, mi creda, sono preparatissimi. Non si lasceranno sorprendere. Non sbaglieranno mai».
«Quindi mio marito continuerà a vergognarsi, in azienda, per le foto di sua figlia e per quello che raccontano… E nessuna pietà per me, che sono sua madre. Ma che coscienza hanno?»
«La loro coscienza non è sotto processo, signora. Ognuno risponde alla propria. Mi dispiace, era questo che voleva da me?»
«No, non soltanto questo. Il suo… quell’avvocato Bernardini… mi ha detto che posso chiedere di costituirmi parte civile in un processo, anche contro ignoti. Voglio difendere mia figlia. Voglio che trovino chi l’ha ammazzata e che lo condannino. Questo voglio per mia figlia».
«Forse dovremo chiarirci un po’ le idee». E questa volta le sorrise. «Davvero non lo vuole un caffè?»
«Ma sì… grazie!» E Pina Mauri sospirò, come se stesse togliendosi un peso dal cuore: quell’avvocato così bello e rassicurante le stava restituendo fiducia. «Un caffè, sì… se lo beve anche lei».
Aurora – che aveva portato il caffè in un attimo – aspettò che finissero di bere, raccolse le tazzine e si avviò alla porta. «Altro, avvocato?»
«No, va tutto bene, grazie».
Giuseppina Mauri restò a fissare la porta che si era richiusa alle spalle della ragazza. «Perché non poteva essere così anche mia figlia? Questa è giovane…»
«Ventitré anni, è venuta da noi che ne aveva diciotto, subito dopo la maturità. Un genio in informatica, l’abbiamo mandata a scuola noi. Molto brava».
«Ha ragione mio marito, è colpa mia se Giulia ha fatto quella fine… la mia bambina».
Stava passandosi le mani sugli occhi, non voleva piangere. Non davanti a quell’avvocato così importante.
«Lasci questi pensieri a quelli della cronaca, signora. Lei l’ha amata. E ora vuole costituirsi parte civile in un eventuale processo anche contro ignoti: ho capito bene? È questo che vuole?» Non attese risposta. «Bene, bisognerà aspettare che istruiscano il processo, devono avere qualche elemento. Per ora non ne hanno. So dal procuratore che stanno cercando quel giovanotto che le aveva proposto il provino, non lo conosce nessuno, nessuno l’ha visto…»
Giuseppina Mauri gonfiò il petto e rizzò la schiena: lei ne sapeva di più della polizia. E glielo raccontò, con tutti i particolari che conosceva. I nomi, il parrucchiere e la sartoria teatrale. La compagna di università, quella Martina, che sapeva del provino.
«Se vuole, a casa ho l’abito che si era ordinata per il provino, sandali e parrucca. Li ho pagati, ho gli scontrini».
«Una firma sull’ordine?»
«Uno scarabocchio di Giulia e il suo indirizzo, ma non scritto da lei».
«Quindi sapevano dove abitava, e anche il giovanotto… questo particolare non è noto alla polizia. Informerò il commissario Silvestri, li torchieranno per saperne di più. Sì, dovrei avere quegli scontrini con firma e indirizzo. Li consegneremo alla polizia… vede, signora? Si prosegue a piccoli tasselli. E questi sono importanti se trovano riscontro». Alzò la testa dall’agenda dove aveva annotato i particolari che gli aveva appena detto Giuseppina Mauri, e domandò: «Dei due ragazzi è sicura?»
«Alex e Nicola? Per carità, avvocato, non perda tempo con loro. Due fratelli, mi creda. Quando andavano a ballare, io stavo tranquilla più che se ci fossi andata io. Le facevano il vuoto attorno. La proteggevano. Ma si rende conto, si conoscevano dalla prima elementare… sempre insieme. Sempre a casa a nostra, sì, come fratelli».
«Eppure, non so se dar corda alle chiacchiere… ma pare che i loro rapporti non fossero soltanto fraterni».
«Forse… e chi lo sa se è vero? Giulia mi diceva che era vergine, e che voleva sposarsi vergine…»
«Infatti gli esami autoptici… insomma, gli esami di laboratorio sulla vittima lo confermano. Giulia era vergine. Tuttavia…»
«Tuttavia… cose da ragazzi, creda a ’mme. Niente di serio. Lei voleva sposare Alex. Quello aveva la posizione già pronta dopo la laurea. I suoi stavano bene, lo mandavano in Inghilterra d’estate per il golf… Si amavano fin da ragazzini. Lui la adorava».
«E l’altro, Nicola? Non era geloso?»
«Geloso, quello?» Gli sorrise. «Si vede che non lo conosce, avvocato mio. È uno sbruffoncello, molto simpatico. Ha tutte le ragazze che vuole. Ma è un tipo leale, se ha fatto qualcosa con Giulia, ed è ancora da dimostrare, è stato un gioco, niente di serio. Non avrebbe mai tradito Alex. Mai, io li conosco bene».
«Da quella parte, infatti, non hanno trovato niente. Invece mi sembra interessante questa pista dei provini. Mi faccia avere quegli scontrini, sono importanti».
Si erano alzati, e ai saluti era entrato nella stanza anche Aziz Bernardini.
«La signora vuole costituirsi parte civile nell’eventuale processo per la morte della figlia».
«Sì, certo».
«Cerca di incontrare la Santini, ho bisogno di parlarle, forse c’è una pista».
«Certo, avvocato. Signora…»
Non era colpa sua, l’aveva detto anche quell’avvocato.
E ora, forse, lei aveva in mano la soluzione del caso. Quei maledetti provini, che Giulia aveva scelto da sola, di nascosto da tutti, persino dai suoi due amici.
Quei maledetti provini. Chi l’aveva accompagnata sapeva dove abitava. Magari Giulia gli aveva dato appuntamento a casa per mostrargli che abitava in una villetta, che non era una poveraccia. Che poteva fidarsi.
Perché era nuda? Forse quel tipo era arrivato troppo presto, l’aveva sorpresa. Forse l’aveva circuita – si diceva così, vero? – e lei si era ribellata. Per paura di essere smascherato, l’aveva uccisa. Sì, forse le cose erano andate proprio così. Una storia del genere c’era in tutti i film, in tutti i libri gialli che leggeva la sera, prima di spegnere la luce e di rannicchiarsi sotto le coperte perché le rimaneva la paura.
Anche l’avvocato era sicuro che quegli scontrini fossero importanti. E li aveva lei. Li aveva recuperati lei, seguendo soltanto il suo intuito e il suo amore straziato.
Avrebbe voluto, nella vita, perdere qualunque cosa. Mai sua figlia.
‘Giulia, amore mio. Ora avrai finalmente giustizia. La tua mamma…’