Otto

Bernardini si portò il cellulare all’orecchio senza abbandonare il suo posto.

«Chi è?» chiese sottovoce.

«Sono il ragazzo del delitto di Giulia…»

«Quale dei due?»

«Nicola Latorri».

«Sì?»

«Avrei bisogno di parlarle, posso venire?»

«Sono in tribunale. Domani pomeriggio alle tre e mezzo».

«Grazie, domani alle tre e mezzo». E chiuse la comunicazione.

Aveva deciso di ‘dare una mano’ alla polizia.

Il giorno dopo erano seduti, uno di fronte all’altro, nello studio di Aziz Bernardini.

«Ci hai ripensato?»

«Non come crede lei… Mi scusi una domanda: ma la polizia… ha trovato soltanto le impronte delle nostre scarpe in quella stanza?»

«Perché?»

«Ci hanno preso i calchi delle scarpe…»

«Sì, eravate in quella stanza. È normale».

«Non c’erano altre impronte, oltre le nostre che eravamo lì?»

«Non me ne hanno parlato, posso informarmi. Ma devo avere una ragione».

«Quando sono arrivato, io ho avuto l’impressione di non essere solo in quella stanza».

«Oltre alla ragazza?»

«Giulia doveva essere in bagno. Lo faceva sempre quando andavo a trovarla. Usciva dal bagno nuda e cominciavamo a divertirci un po’».

«Quando sei entrato lei era già morta… vuoi cambiare versione?»

«No, no. Lei era già morta e io mi sono chinato su di lei… non mi sono subito reso conto. Ma ho avuto l’impressione che qualcuno camminasse alle mie spalle e uscisse dalla casa».

«Non ti sei voltato?»

«In quella situazione? No di certo. Ho pensato a lei, con quelle forbici nel petto, quelle macchie di sangue. Davvero, come uno stupido, ho creduto che fosse ancora viva, che potessi salvarla…»

«E l’altra persona? Un ladro?»

«Non c’era niente da rubare in casa di Giulia. Doveva essere qualcuno che aveva qualcosa a che vedere con lei».

«Per esempio?»

«Hanno controllato il cellulare di Giulia? C’era uno… che si vedevano spesso».

«Tu non sai chi fosse».

«Di sicuro no, ma ho un indizio».

Bernardini sorrise a fior di labbra: Max Gilardi gli aveva insegnato a non fidarsi mai di quelli che volevano rubargli il mestiere, i dilettanti. Pericolosissimi, gli aveva detto. E ora stava sorridendo: ecco un dilettante che giocava a fare il poliziotto.

«Per esempio?» lo incalzò.

«Era un tale che lavora per una trasmissione di aspiranti cantanti. Sa, Giulia voleva cantare».

«Sai qual era la trasmissione?»

«No, Giulia non me l’ha mai detto. Ma questo tizio le aveva fatto molte promesse, voleva aiutarla, diceva che aveva talento. Oro in gola, così le diceva. E Giulia ci credeva. Ma penso che tra loro ci fosse qualcosa di più».

«Qualcosa tra di loro?»

Nicola fece di sì, con la testa.

«Significa che Giulia ne teneva sulla corda tre, tutti insieme?»

«Significa» disse, orgoglioso che l’avvocato ci fosse cascato: ora erano in tre.

«Non è molto, per un’indagine, ma avvertirò il commissario Silvestri. Probabilmente dal cellulare e dalle carte di Giulia che stanno esaminando, qualcosa salterà fuori. Comunque questo mi sembra importante: tu hai avuto l’impressione, mentre eri chinato su Giulia, che qualcuno stesse uscendo di casa?»

«Sì… ci ho ripensato dopo».

«Tu ti rendi conto che avrebbe potuto anche essere Alex?»

Nicola sollevò la testa di scatto. «Ma no, l’ho chiamato ed era a casa sua».

«Come fai a esserne sicuro? Lui abita dietro la casa di Giulia, poteva esserci arrivato mentre tu strappavi le forbici dal corpo di Giulia e la prendevi tra le braccia. Un tempo più che sufficiente. O avrebbe potuto risponderti mentre era ancora per strada. Stiamo parlando di un cellulare, come fai a saperlo per certo?»

«Perché io conosco Alex e lei no».

«Credo che in tribunale questa frase farà effetto, ma non basterà». Si alzò, a intendere che il colloquio era terminato. «Altro, in proposito?»

«Sì, cercate quell’uomo. Lei ne era innamorata».

«Non è sufficiente».

«Lui non voleva una cosa seria».

«Giulia… sì? Come fai a esserne sicuro? Te ne aveva parlato?»

«Solo qualcosa, ma niente di preciso. Però la vedevo agitata… Io la conoscevo bene».

«D’accordo, riferirò al commissario le tue impressioni. Se non trovano un serio riscontro, però, credo che non serviranno. Tuttavia, se ti venisse in mente qualche altra cosa, io sono qui».

«Sì, ma se lei non mi crede… che cosa ci torno a fare?»

«Tu intanto torna e raccontami. Io penserò a che cosa credere. Come vanno gli esami?»

«A fine mese. Okay».

Due ore più tardi Aziz Bernardini era nello studio di Max Gilardi.

«Se la sente, avvocato, di intentare una causa a Mediaset?»

«Non mi spaventare, che cosa hanno fatto?»

Gli raccontò del suo colloquio con Nicola Latorri. «Ho parlato con Silvestri, sembra che abbiano trovato riscontri alle impressioni di Latorri. Giulia Mauri aveva fatto domanda per partecipare a una serie di provini canori».

«Per Mediaset?»

«No, stavo scherzando. Da quel che ho capito, si tratta di un’emittente fantasma, acchiappa-citrulli. Con la scusa dei provini, di foto e qualche appuntamento, imbroglia le persone. Adesso stanno rintracciando uno che a quel che sembra Giulia vedeva spesso. Ora bisogna vedere se quella mattina era in casa di Giulia e che cosa ci faceva. Dal cellulare e dai tabulati telefonici, però, non risulta: forse si vedevano e basta».

«Senza mai telefonarsi?»

«Sembra…»

«Impronte?»

«Difficile, avvocato. Una casa dove tutti andavano e venivano. Ci proveranno. Intanto devono trovare questa emittente fantasma e, se possibile, questo tale che conosceva la ragazza. Poi metterlo in relazione con l’omicidio. Certo che il cerchio si allarga».

«Questa fanciulla così vivace non aveva amiche? A volte le ragazze sanno cogliere meglio di un maschio certe sfumature».

«A volte?» chiese Aziz sorridendo. Ora era in piedi davanti alla scrivania di Gilardi. «Vorrei andare a fare due chiacchiere con alcuni che conoscevano questa Giulia e la sua famiglia. Permesso accordato?»

«Certo, ma non esporti troppo: è pericoloso».

«Lo so, avvocato. Lo so».