Sette

Al funerale di Giulia, quando la polizia aveva finalmente dato il via libera, subito dietro la bara c’erano i genitori e i due ragazzi.

Alex accanto alla madre che gli stringeva la mano. Piangevano entrambi.

Dall’altro lato Nicola e il padre di Giulia a muso duro.

Alex aveva gli occhiali neri e non se li tolse neppure in chiesa. Nicola curava le telecamere per avere un atteggiamento adeguato ogni volta che intuiva un flash. Era serio, compreso. Adulto. L’altro sembrava un ragazzino, e nessuno riusciva ad aver pietà di lui e delle sue lacrime. La storia che Giulia l’avesse scaricato per preferirgli Nicola era ormai di dominio pubblico. E il gesto, da parte di Nicola, di togliere quelle forbici dal petto, che nessuno considerava criminoso, era stato interpretato come un atto d’amore e di coraggio.

Nicola era per tutti un eroe. Alex un ragazzo debole e per giunta cornuto.

Questi i commenti che infastidivano la polizia.

A un certo punto della cerimonia Aziz Bernardini si trovò faccia a faccia con il commissario capo Severino Silvestri.

«È vero quel che mi dicono, che lei si occupa dei due ragazzi?»

«Non dovrei, dottore?»

Era quel tono che irritava Silvestri. «Non lo so. Il Latorri deve render conto di un reato».

«A disposizione, dottore. Anche se mi sembra che ci sia poco da aggiungere a quanto già acquisito».

«Vedremo. Stiamo facendo delle verifiche. Le faremo sapere».

«Grazie, dottore».

«La saluto, avvocato».

‘A presto’ pensò tra sé il commissario capo Silvestri.

Quel Latorri gli sembrava un po’ troppo furbo. E l’altro un po’ troppo piagnucoloso.

Alex e Nicola si erano dati appuntamento a Marina, nel posto dove andavano sempre con Giulia, anche quando non era stagione. La sabbia era umida e scura. Le due cabine spalancate e senza chiavi. Un gruppo di ragazzi giocava sulla riva, sollevando acqua e sabbia.

«L’esame?» chiese Nicola.

«Bene, ventinove. Avrebbe potuto anche lasciarmi andare un trenta, ma quello mi odia. Va bene così. E tu?» rispose Alex.

«Rimandato a fine mese. Meglio, così me lo riguardo… Adesso che cosa vuoi fare?»

Alex si guardò a lungo le mani, prima di rispondere. «A fine settimana, se mi lasciano, vado al Parco de’ Medici, a Roma, per il campionato regionale…»

«Tu e il golf. Non ho mai capito da dove ti viene ’sta mania…»

«Mio padre, lo sai. Fa qualcosa al Golf Club e mi ci portava fin da ragazzino. Ho cominciato così… Quest’estate, se mi lasciano, voglio andare anche a Londra».

«E sei pure campione regionale negli juniores… ma come fai? Io lo trovo noioso».

«Non è noioso, ti aiuta a pensare».

«Meglio se non pensi».

«Già…» Alex buttò all’aria un pugno di sabbia. Poi, cambiando discorso, disse: «Da bambini… ma te la ricordi Giulia com’era?»

«Me la ricordo, sì».

Un buffo cappello di paglia in testa, calato sugli occhi, troppo grande per lei. E il grembiule a quadretti rosa.

«Ciao, bambino. Come ti chiami?»

«Nicola».

«Ohoh, io ho uno zio che si chiama Nicola». L’aveva guardato con il naso arricciato perché Nicola non aveva il grembiulino. «Ma tu non sei di qui».

«No, abito al Vomero».

«E perché vieni qua?»

«Mi accompagna mio padre quando va al lavoro e passa a riprendermi».

«Non hai la mamma?»

«Sì che ce l’ho, la mia mamma lavora ed esce tardi. Così viene papà».

«Che lavoro fa il tuo papà?»

Nicola non aveva risposto, non lo sapeva. Aveva alzato una spalla e guardato da un’altra parte.

«Allora stai con noi, così non sei solo». Allungando il braccio lei gli aveva preso la mano quasi di forza. «Io mi chiamo Giulia e lui è Alex. Noi siamo insieme dall’asilo».

Da quel primo giorno di scuola erano stati insieme per sempre. Qualche volta mangiavano tutti e tre a casa di Giulia. Facevano i compiti. E se il padre di Nicola tardava, lui lo aspettava con la merenda e i compiti già fatti.

«Spero, signora, che non sia un disturbo».

«Ma no, s’immagini. Tutti e tre… fanno i compiti, giocano. Il suo bambino è molto vivace, ma è intelligente».

«Vuole volare».

«Tutti i bambini volano, con la fantasia. La mia Giulia vuole cantare».

«Te lo ricordi che voleva cantare?» chiese Alex. «Saliva sullo sgabello con una scopa a mo’ di microfono, e cantava muovendosi come una scemetta della televisione. Te la ricordi?»

«Me la ricordo, sì. Poi aveva cambiato idea, voleva fare la hostess».

«Questo lo diceva a te. Invece aveva scritto a una di quelle trasmissioni dove vai a cantare e a ballare».

«Amici

«Forse, non ne ho idea. Ma tu non dovevi saperlo, perché eri geloso».

«E l’avevano presa?»

«Non lo so, forse stava aspettando la risposta. Infatti era un po’ nervosa ultimamente. Credo che avesse trovato uno…»

«Avanti, sei scemo? Aveva anche un altro?»

«Non so se ce l’aveva e come, ma certo è che si vedevano spesso. E lei diventava nervosa… Doveva essere uno legato a quella trasmissione».

«E tu? Tenevi il moccolo?»

Nicola prese un sasso e lo lanciò in acqua. «È che, a differenza di te, a me non m’importava niente. Mi divertivo e basta».

«Accidenti, io invece l’amavo».

«Tu sei stato sempre esagerato. Comunque dillo a Bernardini che vuoi andare a Roma, vedrai che se la sbriga e ti ci fa andare. Contro di te non c’è niente, perché dovrebbero trattenerti a Napoli?»

Alex si era alzato e stava passandosi le mani sui calzoni per togliere la sabbia. «Che cosa devo fare per ringraziarti?»

«Non fare lo stronzo… tu non l’avresti fatto per me?»

«Forse no, non avrei saputo come».

«Bene, io sì. Vai tranquillo, non sapranno mai com’è successo. E a Roma…» Alzò il pugno con il pollice diritto. «Ti voglio vincitore!» gridò. E stava ridendo.

Come sperato, Aziz Bernardini ottenne dal questore il permesso per Alessandro Tosi di recarsi a Roma, al Parco de’ Medici, per partecipare al foursome maschile di golf.

Alex sarebbe tornato dopo due settimane, e sarebbe tornato da vincitore.