Trentuno
Giacomo aveva stampato a colori le foto tratte dallo smartphone dei ragazzi. Le allineò in sequenza sulla scrivania di Gilardi.
«Che cosa dici?»
Gilardi fece una smorfia. «Che non rappresentano niente». Con una sola occhiata aveva rilevato che quelle foto non dimostravano la colpevolezza dell’uno o dell’altro, anche con il racconto che facevano i ragazzi. «Sono insignificanti» aggiunse, scombinandole con un gesto. «Sapete se la polizia ha queste foto?»
«La sorella dice di no. La stampa non ha mai rivelato l’esistenza di queste foto. Io ci sono arrivato per caso grazie a quella vecchia che li sentiva gridare in strada. Direi di no».
«Bene, vedremo. Le avete mostrate a Latorri?»
Bernardini, anche lui nello studio, gli rispose di no.
«Allora preparatelo anche su queste foto, caso mai saltassero fuori».
«Adesso lo difendi tu?» domandò Cataldo.
«Io ho assunto la difesa di Alessandro Tosi, per la morte del moldavo in casa sua, Bernardini si occupa solo di Nicola Latorri, per inquinamento delle prove, nella morte della ragazza – tutto un altro processo però».
«Come mai non sono in galera, in attesa di giudizio?»
«Non sussistono esigenze cautelari. Non esiste pericolo di fuga e sottrazione al processo, pericolo di reiterazione del reato, turbamento delle indagini. I due ragazzi, che si dichiarano innocenti, hanno il divieto di espatrio e non possono lasciare Napoli. Vediamo al processo che cosa succede».
«Innocenti? Il moldavo l’ha ucciso lui con una mazza da golf: che innocente sarebbe?»
«Molte attenuanti. L’effrazione, il buio, il recente delitto di Giulia Mauri, la casualità del bastone da golf di sua proprietà e a portata di mano… Un gesto involontario. Si potrebbe invocare la legittima difesa o l’eccesso colposo».
«Ma tu che cosa pensi?»
«Che ogni tanto vorrei essere dall’altra parte».
«Pubblico ministero? Li ritieni colpevoli?»
«Li difendo».
«Accidenti, Max! E se hanno davvero ucciso una ragazza di vent’anni e un poveraccio venuto qui dal suo paese per sopravvivere? Come fai a difenderli?» disse Giacomo.
«È una scelta che ho fatto diversi anni fa, sono un avvocato».
«Ma fammi il piacere… lascia che l’autorità giudiziaria chieda l’ergastolo, è quello che si meritano».
«Non posso. Sarebbe deontologicamente scorretto. La difesa nel processo penale è un diritto costituzionalmente garantito».
«Bella giustizia, va’…»
Aziz fece un gesto spazientito, gli sembrava di perdere tempo. «Comunque, io non credo che i due ragazzi abbiano commesso questo delitto. Fuori da ogni ragione. Io sono convinto della loro innocenza».
«Vedi?» Gilardi mise una mano sulla spalla di Giacomo. «Queste cose riguardano anche te, e lo sai benissimo. Comunque è quello che farò e li tirerò fuori dai guai. Non sono la loro coscienza, ma il loro avvocato».
«Affare tuo. Dove vai a Natale?»
«Già, Natale… Stiamo qui con i bambini. A fine anno Olga mi riporta in Sicilia: ho ancora molto da scoprire».
«Avvocato, prepariamo un incontro con i ragazzi dopo il dieci di gennaio?»
«Sì, il processo per la morte del moldavo inizia il ventitré. Pensaci tu. Per gli auguri ci vediamo dopo».
Aziz Bernardini raccolse le foto e le carte che riguardavano il processo e si avviò alla porta. «Ci vediamo» disse. Soprattutto a Giacomo.
«Bravo ragazzo» disse l’investigatore.
«Sì, sono stato fortunato anche con lui. Forse tra qualche anno sarà più prudente».
«Tutto bene, allora».
«E tu?»
«Bene… sì, tutto bene anch’io. Anche a casa. Non ridere…»
«Perché dovrei ridere?»
«Perché mia moglie aspetta un figlio». E si portò le mani sul ventre.
Max non riuscì a trattenere una risata e gli diede uno scappellotto dietro la nuca. «Ma comm’ hai fatto?»
«Lo sai anche tu comme se fa. Successe e ce lo teniamo. Questa volta è femmina. Ciao, allora. Se hai ancora bisogno… noi stiamo qua e ti aspettiamo».
Max lo seguì con lo sguardo mentre si avviava alla porta. Grande e grosso, sempre arruffato, con quel terribile dolore in fondo agli occhi che niente avrebbe potuto cancellare: quella sua ragazzina di sedici anni che un delinquente gli aveva ammazzato, solo perché era bella.
Strinse i pugni.
Si ricordò che una volta Giussani gli aveva raccomandato di non perdere mai fiducia nel percorso giudiziario. In quella partita a scacchi lui avrebbe sempre cercato di vincere con il cervello, senza metterci il cuore.