Venti
Oppure…
Aziz fece il numero alle otto del mattino, sicuro che quel tale, Ermi, avrebbe risposto.
«Sì… chi è?»
«Sono l’avvocato Bernardini, posso vederla?»
«Neanche per sogno, che cosa vuole da me?»
«Le chiedo la cortesia di incontrarla e di parlarle, non è un interrogatorio. Io non sto indagando, non è il mio ruolo. Io sostengo la famiglia Mauri e mi sarebbero preziose alcune informazioni riservate che soltanto lei può darmi. Se vuole. Altrimenti la faccio convocare in questura e se la vedrà con il commissario capo. Non è la stessa cosa, scelga lei».
«Chi le ha dato questo numero?»
«Sono un avvocato, so mantenere un segreto».
«Vabbè, che cosa vuol sapere?»
«Per telefono? Non è meglio prendere un caffè insieme?»
Lo sentì sbuffare. «Se pesco il cornuto che dà in giro il mio numero, lo strozzo. Vabbè, ormai ci sono. Un caffè… diciamo alle dieci al bar Roma, sa dov’è?»
«A Napoli ci sono almeno cento bar Roma, ma suppongo che lei intenda quello che è davanti a casa sua».
«Sa dove abito? Accidenti… Vabbè, a questo bar Roma alle dieci».
«Alle dieci».
Mentre aspettava l’orario dell’appuntamento, Aziz entrò nel portone del palazzo in cui abitava questo giovanotto, Ermanno Zorillo, di Napoli. Si informò se c’erano uscite secondarie. Seppe che abitava al terzo piano e che c’erano un’unica scala e un unico ascensore. La casa era un condominio e il ragazzo viveva da solo.
«Si fa per dire» aggiunse uno degli operai che stavano sistemando la facciata. «Qui da solo non ci sta nessuno». E con un gesto molto esplicito gli fece capire che c’era un gran passaggio di femmine.
«Anche di giovanotti» disse un altro, mentre mescolava la calce in un secchio. «Qui se la spassano… e poi dice che non c’è lavoro».
Bernardini non capì il nesso, ma non voleva prolungare quella conversazione: aveva già appreso tutto ciò che gli serviva sapere. «Grazie» disse allontanandosi.
«Lei aspetta il biondino del terzo?»
Al cenno affermativo di Bernardini, l’uomo continuò, senza fermarsi: «A quello le ragazze non mancano di certo, anche se non sa che farsene, eh?»
La battuta fu accolta con una risata.
«Fa il ballerino, eh? So io che cosa gli balla, a quello!»
Altre risate degli operai, mentre muovevano le mani e le gambe.
«Eccolo che arriva, è quello lì vestito d’azzurro».
Accidenti, aveva cercato di imbrogliarlo, erano soltanto le nove.
Bernardini gli si parò davanti. «Sono l’avvocato Bernardini» disse, a denti stretti.
«Ah, bene». Ma si capiva che non gli andava bene per niente. «Il bar Roma è quello» disse Ermanno, indicandoglielo.
«Un caffè».
Si sedettero in un angolo del bar dopo aver ordinato al banco i due caffè e l’acqua minerale. Aspettarono che il cameriere li servisse, e mentre vuotava due bustine di zucchero nella tazzina il giovanotto domandò: «Ma da me che cosa cazzo vuole?» E prima che gli arrivasse la risposta aggiunse: «Guardi che io non so niente. Un provino, le piaceva cantare, voleva andare a uno di quei programmi…»
«Quale? Non ci sono provini di quel genere in questo momento».
«Ci sono, certo. Una tv privata, molto seguita perché è qui a Napoli, alla fine di settembre seleziona i migliori e poi li propone a X Factor, Amici, Tú sí que vales o a quello della Carrà». Lo guardò perplesso. «Ma lei capisce quello che dico?»
«Che cosa le fa pensare che io possa non capire quello che dice: perché sono di colore o perché sono avvocato? Le assicuro che capisco benissimo, non si preoccupi. Come ha conosciuto Giulia?»
«Che cos’è, un interrogatorio?»
«No, non tocca a me farlo. È solo un colloquio investigativo: cerco di avere tutte le notizie che possono essere utili alla difesa. Non potrò servirmi in tribunale di quello che mi sta dicendo, nel caso lei decidesse di cambiare versione. Come vede, la giustizia lavora dalla sua parte».
«Meno male. E allora?»
«Come ha conosciuto Giulia Mauri?»
«Io cercavo voci e lei si è presentata a un provino. L’abbiamo sentita cantare…»
A quel punto sembrava che non volesse più smettere, evidentemente quella storia l’aveva molto spaventato e ora sentiva il bisogno di raccontarla a qualcuno. Disse di quando aveva visto Giulia la prima volta e di come gli era sembrata decisa a cambiare vita; della maestra di canto che li aveva rassicurati sulla sua voce; di lei che era bellissima anche se avrebbe dovuto cambiare look, e trovare un abito adatto, una nuova pettinatura e un trucco che la facessero sembrare meno bambina. E poi la sua morte.
Bernardini fu sicuro che stesse asciugandosi gli occhi, nascondendo il viso dietro il tovagliolino di carta.
«Qualcuno ci ha detto che vi vedevate spesso».
«Sì, ci parlavamo spesso. Temeva che la mollassi. Figurarsi, io ci credevo».
«Sul cellulare di Giulia non hanno trovato traccia del suo numero».
«Lo so, non gliel’avevo dato, non volevo che mi scocciasse troppo, le davo soltanto degli appuntamenti di persona».
«Quando è stata l’ultima volta che l’ha vista?»
«Al funerale» disse in fretta. «C’ero anch’io, non siamo bestie anche se facciamo un lavoro di merda».
«Che lavoro è?»
«Quello che le ho detto. Cerchiamo e prepariamo giovani promettenti ai provini di queste trasmissioni. Non ci riusciamo quasi mai, di solito quelli che si presentano hanno già lavorato e conoscono tutti. Però qualche volta ci capita. A quelli delle trasmissioni basta il numero. Ogni tanto nel mucchio pescano la perla».
«Giulia?»
«Faccio questo mestiere da due anni, era la migliore che mi fosse capitata. Una voce alla Mannoia, ma con più scatto… lei non ne capisce, vero?»
«Vero. Quando l’ha vista viva l’ultima volta?»
«Quando sono passato a prenderla dalla maestra di canto. Lei ci è stato? Sì? È una seria lei, anche se ha quell’imbecille che vuol sempre mettere il naso. La Maestra mi ha detto che Giulia ce l’avrebbe fatta. Eccola lì» aggiunse con un sospiro.
«L’ha accompagnata a casa?»
Scosse la testa prima di rispondere. «Non voleva farsi vedere con me, aveva sempre quei due alle calcagna, non so se li ha conosciuti. E aveva paura di suo padre».
Se non era vero, era almeno plausibile. «Che progetti aveva?»
«Quello che diceva a me. Voleva smettere l’università e girare il mondo cantando. Questo voleva».
«Ci sarebbe riuscita?»
«Secondo me, sì. Io l’avrei presentata a un agente… ma se escono da quelle trasmissioni hanno soltanto l’imbarazzo della scelta, gli agenti se li trovano sotto casa».
«E lei che cosa ci avrebbe guadagnato?»
«Quando presento qualcuno a quei provini vengo pagato, se vale. E con Giulia avrei preso dei bei soldi». Lo guardò con un’aria strafottente. «Capisce perché non posso averla ammazzata io?»
«Non è così tassativo, non ci conti. Probabilmente è stato un gesto d’impulso, e lì i vantaggi materiali contano poco».
«Bella consolazione. Allora secondo lei che cosa dovrei fare?»
«Andare da un avvocato a raccontare quello che ha detto a me».
«E lei, non è un avvocato?»
«Io non posso. Le assegneranno un avvocato d’ufficio, e se le cose stanno come mi ha detto sarà un avvocato disoccupato. Le consiglio di farlo prima che loro arrivino a lei, mi capisce?»
«Sì, certo. Dove vado?»
Gli spiegò di andare da Silvestri a raccontare quello che sapeva, e alla fine gli strinse la mano. «La ringrazio, ora ne so di più».
«Che non sono stato io, vero?»
«Speriamo».
Gli girò le spalle e chiamò Aurora. «Non è lui» disse in fretta. «Oltre tutto mi arriva alla spalla».