Dieci

Si fermò davanti alla casa e controllò il numero civico dal biglietto che gli aveva scritto Aurora, in studio.

«Cerca qualcuno?»

Aziz Bernardini girò la testa verso il giovanotto che era appoggiato con le spalle al portone chiuso a metà. Stava fumando.

«Lei chi è?»

«Lavoro qui, pulisco le scale». E con il mento indicò la scopa, lo spazzolone, il secchio e gli stracci che erano accostati al muro.

«È qui che abitano i Tosi?»

«Sì, terzo piano e mansarda. L’ultimo».

«Li conosce?»

«Certo che li conosco. È stato proprio lui ad assumermi. Faccio le scale quando tocca a sua moglie; gli altri inquilini, a turno, se le fanno da soli».

«Ho telefonato, la signora mi aspetta» tagliò corto Aziz.

«Guardi che in fondo al corridoio a destra c’è l’ascensore: terzo piano».

«Grazie».

Quando uscì sul pianerottolo, sulla porta di fronte vide una figura grigia e magra che si stringeva le braccia contro il petto come se avesse freddo.

«La signora Tosi?»

«Sì, entri». E mentre si faceva da parte per farlo passare, la donna diede un’occhiata circospetta alle scale, per accertarsi che nessuno stesse spiando. Aveva acconsentito a ricevere quell’avvocato, ma non voleva che se ne sparlasse.

«Mio figlio non c’è» disse, accendendo la luce in corridoio.

«Lo so, gli ho fatto ottenere io il permesso per la gara di golf a Roma».

«Ah, giusto… entri, si accomodi. Va bene qui?» Si trovavano in un soggiorno luminoso, arredato con mobili moderni di legno chiaro e qualche poltrona a fiori. «Dove vuole, avvocato».

«Sì, grazie». Aziz Bernardini attese che la signora Tosi prendesse posto su una poltrona davanti alla finestra, e le si sedette di fronte. «Mi scusi, so che è un brutto momento».

«Certo. Ho anche tenuto chiuso il negozio, per fortuna è estate… ancora per poco. Chiacchiere se ne fanno tante. Mio marito non voleva neppure che la incontrassi, e non so davvero che cosa posso dirle che non sia già sui giornali. Ma sono qui, se vuole».

«Sto verificando che rapporti c’erano fra i tre amici. Cercheranno di attaccarli, di sollevare dubbi».

«Che genere di dubbi? Erano amici. Più che se fossero stati fratelli. Alex… mio figlio, era con Giulia dall’ultimo anno dell’asilo, da quando ci siamo trasferiti qui. Sono sempre stati insieme, poi si è aggiunto anche quell’altro, Nicola. Dalla prima elementare, si rende conto? A volte io facevo tardi, e Alex andava da Giulia, mangiava là, faceva i compiti. La madre di Giulia era maestra, ma ha smesso quando la bambina ha terminato le elementari. Da allora non lavora, fa qualche lavoretto in casa, accorcia pantaloni, qualche orlo… insomma, si arrangia a far passare il tempo».

«In pensione?»

«Ma no, è giovane per la pensione. Il marito ha voluto che stesse dietro alla bambina».

«E la bambina com’era? Vivace?»

A Bernardini sembrò che la donna avesse sorriso, abbassando la testa. «Vivace, sì», disse sottovoce. «Mio figlio ne era innamorato».

«Da bambini?»

«Sì, fin da allora». Sorrise di nuovo, muovendo appena la testa. «Un sentimento che era cresciuto con loro».

«Ma ora si erano lasciati?»

«No, no. Alex ci aveva detto che voleva sposarla e mio marito… sa, gli uomini».

«Non voleva?»

«Per carità, sono cose d’altri tempi. Oggi ai figli è tanto se riesci a parlare. No, gli aveva detto che prima doveva venire la laurea. Poi il golf: l’avrebbe mandato a Londra ad allenarsi».

«Mi hanno detto che è un campione».

La donna fece un altro sorriso. «Degli juniores. Ma ora deve passare alla categoria successiva. Gare più impegnative. Insomma, non era una cosa, il matrimonio, dico, che si potesse fare presto».

«La ragazza lo sapeva?»

La signora Tosi restò a guardarsi le mani che aveva appoggiate sulle ginocchia per un tempo che a Bernardini sembrò eccessivo. Come se cercasse una risposta.

«Credo di sì» disse infine a bassa voce. «Anche se…» Sollevò la testa di colpo. «Lo beve un caffè?» Si era alzata, fissandolo, come se si aspettasse di essere seguita. «Andiamo in cucina, faccio presto».

In cucina si sedettero uno di fronte all’altra, ai lati opposti del tavolo che era al centro della stanza. La signora Tosi aveva sistemato le tazzine e azionato la macchina elettrica, con le cialde. «Scusi, questo si fa presto e viene buono. Lei non è di Napoli».

«Sono nato qui, invece. Mio padre era napoletano, è morto in Afghanistan».

«Oh, mi dispiace, scusi». Gli allungò la tazzina con il caffè e la zuccheriera. «Le va bene lo zucchero di canna?»

«Benissimo, grazie». Rimasero in silenzio mentre sorseggiavano il caffè.

Fu Bernardini ad appoggiare per primo la tazzina sul piattino che era rimasto sul tavolo. «La ragazza lo sapeva che avrebbe dovuto aspettare per il matrimonio?» domandò.

«Non vorrei che questo diventasse il solito discorso sulla suocera gelosa. Io non sono mai stata gelosa, ma questo matrimonio non l’ho mai visto. Insomma, per me era lui che se l’era messo in testa».

«La ragazza non voleva?»

«Solo un’impressione, non è un pettegolezzo. Ma lei mi sembrava… insomma, parlandone da viva, lei aveva voglia di divertirsi».

«Litigavano?»

«Con Alex? Non conosco ancora una persona che sia riuscita a litigare con lui. Non si può. Cede subito, non so da chi abbia preso. No, non litigavano. Ma Alex faceva sempre e soltanto quello che volevano gli altri due».

«Però Nicola è un buon amico di Alex».

«Non sono più serena dopo aver letto sui giornali tutta la storia. Nicola faceva l’amore con la ragazza del suo miglior amico… Che amico era?»

«Magari era davvero un buon amico. Forse era lei a istigarlo».

«Sì, forse. Ma guai a parlarne con Alex, li difende tutti e due. Io non so che carattere abbia, quel ragazzo. Nel gruppo Nicola ha sempre comandato. Tutti facevano soltanto quello che decideva lui. Alex è sempre stato timido, debole. E Giulia, l’abbiamo saputo con poche delicatezze dalla tv e dai giornali, se la faceva con entrambi. Tempi moderni, che le devo dire? Non so niente, non ci capisco. Mio figlio non parla. E allora sto zitta anch’io».

«Che cosa direbbe se potesse parlare?»

«Non lo direi in tribunale certamente, se è questo che teme».

«Nessuno glielo chiederà».

«Quel Nicola non mi piace. Non mi sembra sincero, ecco. Ma come? Entra, vede la ragazza morta in terra e le toglie le forbici dal petto, neanche fosse un povero sprovveduto. Ma non sa che non si toccano le prove? Quindi questa storia non mi convince». Sollevò la testa di colpo. «E a lei, avvocato?»

«Io mi devo far convincere dalle prove. E non ne ho». Si alzò facendo scivolare la sedia all’indietro. «La ringrazio, signora. Non mi ha detto niente di nuovo, ma la sua opinione mi servirà a guardare con più attenzione i fatti».

«Ecco, con più attenzione, avvocato».

«Conosco la strada, non si disturbi, signora. Buongiorno e grazie».

Sul portone incontrò ancora il giovanotto delle pulizie.

«Le ha parlato?» gli chiese quello.

«Certo, mi aspettava».

«Sconvolta anche lei, vero?»

«Chi altro?» Conosceva la risposta, ma voleva sentirla da lui.

«Sono andati via da casa, non parlano con nessuno. Come si fa a vivere in una casa dove ti hanno ammazzato una figlia? E poi ci hanno messo anche i sigilli».

«E lei sa dove sono andati?»

L’altro allungò il braccio verso Bernardini facendo un gesto con la mano che non ammetteva dubbi. Allora Aziz gli allungò cinquanta euro.

«Dove sono andati?»

«Ma tu sei della polizia?» chiese il ragazzo passando dal lei al tu.

«Sono un avvocato».

«E da che parte stai?»

«Dalla parte della giustizia, te ne hanno parlato?» Ora lo stava fissando.

«Sono andati a vivere per un po’ in casa di una sorella di lei, della madre. In fondo a quella strada, diritto davanti al tuo naso, svolti alla prima a sinistra e ti trovi un palazzone di sei piani, è l’unico. Lì devi chiedere. Mi sembra che si chiami Ludovisi. Non so a chi è intestata la casa né a che piano stanno. Ma loro sono lì, li ho aiutati a caricare la macchina. Ludovisi… Te lo scrivi?»

«Me lo ricordo. C’è altro che sai di quel giorno?»

«No, non ero qui quando è successo. Era domenica ed ero al mare, faccio il bagnino sulla spiaggia comune».

«Ti chiami… se avessi bisogno di te?»

«Renato. Solo Renato, mi conoscono tutti».

«E domenica mattina non c’eri. A chi lo posso chiedere?»

«Ehi, ti ho detto che non c’ero. Chiedilo a chi vuoi. Io non c’ero».

«Va bene, Renato».

«Va bene, sì. A essere gentile… Va’ al diavolo, va’!» Raccolse i suoi arnesi da pulizia e gli girò le spalle.

Mentre si allontanava, Bernardini lo sentì brontolare contro i piedipiatti che fanno sempre domande. Per cinquanta euro che altro voleva sapere da lui?