Ventitré
Arrivato in fondo al corridoio, davanti alla porta della dottoressa Santini, il commissario Silvestri batté la pipa contro il tacco della scarpa, una carezza per ripulirla, e se la infilò nel taschino della giacca. L’immancabile giacca blu con i bottoni a stemma, i polsini della camicia azzurra appena risvoltati sulla manica, i pantaloni grigi di vigogna leggera. La sua divisa. A volte rischiarava quella monotonia con una cravatta colorata, spesso a righe trasversali. Quella mattina ne aveva una, allentata al colletto slacciato, in maglia di seta viola.
Bussò due volte con le nocche e aprì la porta. «Sei sola?»
«Adesso no, sono con un rompicoglioni. Che cosa vuoi?»
«Possiamo parlare?»
Adriana Santini gli mostrò la scrivania ingombra di carte disordinate. «Scegli». Passava e ripassava la mano sulle carte, aumentando il disordine. «Scegli, avanti… da che parte?»
«Giulia Mauri».
«Mi mancava. Ci sono novità?» Il commissario Silvestri scosse appena la testa. Prese dal taschino la pipa e gliela mostrò. «Posso? Ti dà noia?»
«No, siediti. Da quando ho smesso di fumare, sette giorni precisi precisi, correrei dietro a tutti quelli che hanno una sigaretta accesa almeno per sentirne l’odore. Accidenti, non credevo che ne avrei sofferto fino a ’sto punto. Fuma, va’… almeno questa volta la puzza non la faccio io». Aspettò che Silvestri accendesse la pipa e si sdraiò sulla sedia allungando le gambe sotto la scrivania. «Che cosa pensi?»
«Di Giulia Mauri? Un casino. Non so davvero dove dirigermi. Eppure qualcuno quelle forbici, maledizione, gliele ha infilate nel petto. Non ci sono arrivate da sole. E non è neppure un suicidio, il patologo lo ha escluso. Sembra una barzelletta, ma sono arrivato a chiedere persino questo: per caso si è ammazzata? No, accidenti. Non si è ammazzata. Mi ha fatto una testa tanta. L’inclinazione, la forza… accidenti a lui. L’hanno ammazzata. Capisci? L’hanno ammazzata. Ma chi?»
«C’è un’altra domanda: perché?»
«E qui andiamo a nozze… perché? Perché si ammazza una ragazza di vent’anni, che sembra una come tante, con quel sogno bizzarro nella testa di voler cantare. Non vuole andare sulla luna…» Tirò una lunga boccata dalla pipa e fece uscire il fumo lentamente, come se quel ritmo pigro lo aiutasse a pensare. Rimise la pipa tra i denti. «Voleva cantare… un provino. Ma si può morire ammazzati per un sogno così stupido?»
«Sposta la testa…»
«Che?»
«Sposta la testa, forse Giulia a qualcuno dava fastidio».
«Andiamo a rovistare in quell’ambiente? Norcia e la Carlisi lo stanno già facendo. Non la conosceva nessuno. Quando hanno letto di questi provini, gli addetti alle varie trasmissioni e nelle case di produzione sono caduti dalle nuvole. Nessuno ne aveva sentito parlare. Il suo nome non compare da nessuna parte».
«E il biondino?»
«Andiamo bene. Non hai visto il materiale che ti ha portato la Carlisi? Uno stanzone con un’orchestrina, si fa per dire, oltre La Roggia. Hai presente? Lì le avrebbero fatto incidere un disco, una cosa che somiglia a un disco. Due foto vestita e in parrucca, che lei avrebbe dovuto pagare…»
«Con quali soldi?»
«Non ce ne volevano pochi, mi pare che m’ha detto sui mille euro, almeno. Forse di più, a operazione terminata. Con quel materiale la mandavano a bussare alle porte dei concorsi: se vinceva, le chiedevano altri soldi. Altrimenti… peccato, arrivederci e grazie. Mascalzoni».
«Non possiamo fare niente?»
«Che gli vuoi fare? Mica rubano».
«E non ammazzano la gallinella scema dalle ovette d’oro…»
«No, li abbiamo controllati. Ora sono spaventati, ma ricominceranno. Una maestra di canto, un suo tirapiedi pettegolo e maligno, questo biondino che fa lo stilista o qualcosa che ci somiglia. Li abbiamo rivoltati, non abbiamo trovato niente».
«Come ci siete arrivati?»
«A questi? Il tuo adorato avvocato Gilardi».
«Ma no».
«No, infatti. È stato quell’avvocato Bernardini del suo studio. Ha la difesa dei due ragazzi. Mi ha dato tutte le informazioni, le abbiamo soltanto controllate. Preciso come un orologio svizzero».
«Lui, Gilardi, è proprio speciale. Gli è rimasto il pallino dell’investigatore. In una causa, a me…»
«Eh, l’algoritmo… me l’hai raccontata, ’sta storia, almeno dieci volte. Ma perché non te lo sei sposato?»
«Perché lui non voleva me».
«E tu?»
«Mi sono innamorata della persona sbagliata». Lo guardò con l’intenzione di ridere, ma le riuscì una smorfia. «Parlaci, va’».
«Volevo chiedertelo. Due chiacchiere, sentire se ha un’idea. Magari, chissà, uno che viene da Milano».
«Non fare lo scemo. Sei il migliore, qua dentro. Ma in due…»
«Già, in due». Si alzò e rimise a posto la sedia. «Poi ti dico. E il caso Ferrero?»
Adriana Santini fece una smorfia. «Il giudice ci sta pensando. Io spero che ci ripensi: non luogo a procedere. Sarebbe un sollievo».
Silvestri allungò il braccio attraverso la scrivania, per toccarle la spalla. «Allora vado da Gilardi… statti bene, statti. E calmati, sei tesa come ’na corda ’e violino».
«Ma vattenne, va’! Violino… al massimo ’nu viuluncello».
Quando Silvestri richiuse la porta sentì che Adriana Santini aveva smesso di ridere.