Sei

Aziz Bernardini entrò nel suo studio e l’uomo che era seduto davanti alla sua scrivania si alzò con una premura persino eccessiva.

«Bernardini, tu…»

«Ciao, Latorri. Come stai? Siediti, siediti. E scusa, sono un po’ in ritardo».

«No, figurati. E alla fine sei diventato avvocato, eh?»

«Sì, sono cresciuto in questo studio, sono molto contento. E tu?»

«Vicedirettore al Banco di Ceriola. Insomma, non mi lamento. E… sei sposato?»

Aziz aveva accostato una poltroncina al tavolo e si era seduto dalla stessa parte di Marco Latorri, come aveva visto fare molte volte a Max Gilardi quando riceveva qualcuno in confidenza e non per lavoro.

«Sì, e ho due figli. E tu?»

«Sposato anch’io, mio suocero è Mario Cerrani, quello delle barche. E abbiamo appena avuto il primo figlio, è un maschio».

«Ma bene. Bevi un caffè?»

«No, grazie». Marco si passò una mano sui capelli che sulla fronte si stavano diradando. «Mi sono laureato anch’io, in Scienze della comunicazione. Una materia interessante».

«Immagino di sì. E questa visita?»

«Mio fratello…»

Bernardini corrugò la fronte, non ricordava che Latorri avesse un fratello.

«Sì, non te lo puoi ricordare perché abbiamo dieci anni di differenza, e non faceva la nostra scuola. Ora sta studiando Ingegneria. Si chiama Nicola».

«E che cosa ha fatto?»

«Mi piacerebbe, se hai tempo… ma professionalmente, si capisce… ci tengo».

«Raccontami in che guai s’è cacciato, lascia perdere».

«Hai letto di quella ragazza uccisa in casa sua con un paio di forbici?»

«Sì, qualcosa… è stato lui?»

«No, no. Lui l’ha trovata già morta».

«Ah, certo. Ora che mi ci fai pensare sì, Latorri… non l’avevo collegato a te per via dell’età. È il ragazzo che le ha tolto le forbici dal petto, giusto?»

«Sì, lui. Un gesto insensato, ma si può capire… tu che cosa dici?».

«Non sono nella testa del titolare dell’inchiesta, speriamo che consideri le attenuanti. L’hanno già interrogato?»

«Sì, il giorno stesso. In questura: impronte e quel che segue… ma l’hanno lasciato tornare a casa. Ora è un continuo carosello di fotografi e televisioni, e lui ha gli esami. Che cosa posso fare?»

«Contro le cavallette dell’informazione, poco. Invece possiamo vedere a chi passa l’inchiesta e come possiamo proteggerlo». Si alzò per andare a consultare l’agenda che aveva sul tavolo. «Ma non era solo…»

«Sì, c’era anche l’altro amico, erano sempre insieme. Ma Alessandro Tosi è arrivato solo con la polizia: è stato mio fratello ad avvertirlo. Quindi è fuori da tutto. Però se vuoi parlare anche con lui…»

«Sì, sarebbe meglio. Non credo che gli inquirenti si fermeranno all’atto criminoso, vorranno scandagliare il passato di questa ragazza, e i due amici saranno interrogati su questo. Separatamente, ma entrambi».

«C’è pericolo per Nicola?»

«Non so risponderti, non conosco gli atti. Mi informerò in questura, vedrò a chi è passata la pratica e poi ti farò sapere. Purtroppo è noioso anche provare la propria innocenza, sono procedure lunghe ma indispensabili per arrivare alla verità. Che da quel che ho letto mi sembra abbastanza confusa. Lui ha inquinato le prove ed è reo confesso. Vediamo… potrei parlare con i ragazzi…» Aziz alzò il viso verso Latorri. «Ragazzo anche l’altro, vero?»

«Sì, erano insieme a scuola, tutti e tre, anche la vittima, dalle elementari. Sono sempre stati insieme. Lui studia Architettura, si laurea l’anno prossimo. Posso avvertire suo padre».

«Lascia stare i padri, di solito fanno soltanto confusione protettiva». E sorrise. «Parlerò volentieri con loro domani pomeriggio alle quattro. Confermami l’ora. Poi vedremo che cosa fare, va bene?»

«Ti ringrazio tanto. Ma vorrei che tu lo considerassi parte del tuo lavoro, l’amicizia…»

«Senti, Marco: la cosa più importante ora è tirarli fuori dal caso, puliti e in fretta. Per il resto c’è tempo, parlerò io con Gilardi» aggiunse, per fargli capire che questo non dipendeva da lui.

Si alzarono insieme e Aziz lo accompagnò alla porta. «Allora sei padre anche tu».

«Sì, sono ancora emozionato».

«Complimenti e auguri. Ciao, Marco».

«Ciao, avvocato. E grazie».

Quando chiuse la porta alle spalle dell’amico, Aziz Bernardini entrò in segreteria.

«Aurora, che cosa mi sai dire di quella ragazza uccisa a forbiciate in casa sua? Mi tiri fuori tutto quello che hanno detto e scritto? Chi conduce l’indagine?»

«Questo glielo posso già dire, avvocato: è su tutti i giornali. Il commissario capo Severino Silvestri, che come al solito non rilascia interviste».

«Vedremo. Grazie… e ho premura».

«Ma davvero?» Rise, scuotendo la frangia che si era fatta fare da poco per nascondere in parte una fronte che le sembrava eccessiva. «Ci avrei scommesso, avvocato».

I due ragazzi si presentarono insieme e puntuali il giorno dopo, alle quattro.

«Io sono Nicola, il fratello di Marco, e lui è Alessandro Tosi».

«Bene, sedetevi. Chi mi racconta i fatti?»

«Io, avvocato. Perché Alex non ne sa niente, è entrato con la polizia e io ero già lì».

«Bene. Siete amici da quando?»

«Abbiamo cominciato le elementari insieme. Lui e Giulia erano insieme anche all’asilo, l’ultimo anno».

«Quindi avevate la stessa età».

«Sì. Noi tre eravamo sempre insieme, dalle elementari alla maturità. Promossi tutti e tre e iscritti all’università: io Ingegneria, lui Architettura e Giulia a Lingue, cinese e inglese».

«Siamo cresciuti, abbiamo giocato e studiato sempre insieme. Ci siamo anche innamorati insieme» aggiunse Alex, abbassando la testa.

«Tutti e tre?»

«No, io per primo. Mi sono innamorato di Giulia in prima elementare, per me era una cosa seria».

«Ma non per lei… te l’eri messo in testa tu, lei pensava a divertirsi, capire che cosa voleva» lo interruppe Nicola.

«Voleva te?»

Nicola guardò Bernardini senza simpatia.

«Sì, ora voleva provarci con me» rispose sicuro. «E andavamo benissimo. Avevamo soltanto l’idea che dovevamo dirlo a lui, che era cotto e non ragionava».

«E tu lo sapevi?» Alex scosse la testa. «Te l’aspettavi?»

«No, no di certo. Io volevo sposarla… e lui era mio amico».

«E ora?»

«Ora lei è morta, e lui è ancora mio amico».

«Capisco» disse Aziz cercando davvero di comprendere in che modo questo strano ragazzo avesse inghiottito un rospo simile. «Vai avanti» disse rivolgendosi a Nicola. «Solo i fatti».

E Nicola li raccontò, come aveva fatto con la polizia. Preciso, meticoloso, a partire dalla porta socchiusa.

«Perché entrando l’hai lasciata ancora socchiusa? Non è normale».

«Perché? L’ho chiamata e non mi ha risposto, poteva essere in giardino, magari a stendere l’accappatoio. E quando sono entrato ho visto subito il suo corpo in terra, chi pensava più alla porta?»

«Bene, vai avanti. Non ti stupire se alcune mie domande ti sembreranno ovvie: gli interrogatori sono pieni di domande ovvie. Ma si procede così. Vai avanti».

«L’ho vista in terra, nuda, con quelle forbici…»

«Hanno scritto che erano delle forbici da cucina, ma non è vero: quelle sono forbici da sarti» lo interruppe Alex. «Un paio di forbici da sarti, lunghe e sottili, e molto taglienti».

«Le avevate già viste?»

«In casa, dice? Sì, le avevamo usate qualche sera prima per tagliare i cartoni».

«Quali cartoni?»

«Una delle manie di Giulia: prima di buttarli nel cassonetto tagliava gli scatoloni che arrivavano a casa con le bottiglie del vino che ordinava suo padre».

«Io, no. Stavo guardando la boxe in televisione».

«Quando, di preciso?»

Alex scosse la testa. «Due sere… no, aspetti. Giovedì sera. Sì, era giovedì sera. I suoi erano appena partiti per Roma».

«L’avete detto alla polizia?»

«Non ce l’hanno chiesto».

«Ho letto che i genitori hanno dichiarato che le forbici erano loro e che ogni tanto le usavano, ma che erano in un cassetto» disse Bernardini. «Dopo averle usate le avete rimesse a posto?»

«No, non mi ricordo. Io le ho lasciate sul tavolo».

«Quindi si presume che fossero rimaste sul tavolo e che fossero ancora lì domenica mattina. Andiamo avanti» e furtivamente guardò l’ora sul suo orologio da polso.

Nicola continuò il racconto con l’arrivo della polizia, le impronte, il trasferimento in questura, l’interrogatorio, il rilascio.

«Noi non abbiamo fatto niente».

«Non direi, tu hai estratto le forbici dal petto della vittima, alterando le prove. È un reato, non lo sapevi?»

«Mi manderanno in prigione per un gesto istintivo, che avrebbe fatto chiunque in quelle condizioni? Non ci credo».

«Non sarei così fiducioso, ci proveranno».

«E ora?» domandò Alex, alzandosi.

«Aspettiamo che vi convochino. Vorranno interrogarvi come persone a conoscenza dei fatti».

«Di nuovo? Per dire sempre le stesse cose?»

«Sì, e spero che siano davvero sempre le stesse cose. Se avete taciuto qualcosa, è meglio che lo diciate a me, ora. Poiché io sono necessariamente dalla vostra parte, è meglio che con me siate sinceri. Mentire alla polizia è endemico, mentire al proprio avvocato è da coglioni. Quindi, c’è altro che dovrei sapere?»

«No, non c’è altro. Troveranno il mascalzone che l’ha uccisa?»

«Lo troveranno. Voi sapevate di altri che questa Giulia frequentava, oltre voi?»

«No» risposero insieme.

«L’avremmo saputo» aggiunse Nicola abbassando lo sguardo. «Anche se non ce l’avesse detto, l’avremmo capito. No, frequentava soltanto noi».

«Forse no» disse Aziz Bernardini alzandosi. «Sapete se i genitori avevano una cassaforte, quadri di valore, gioielli…»

«Macché, avvocato. Non ci siamo mai curati di queste cose. Io non credo, e tu?» disse Nicola rivolto ad Alex.

«No, non ne abbiamo mai parlato. La madre era insegnante, ci aiutava a fare i compiti, da piccoli. E il padre…»

«Sì» lo interruppe Bernardini. «Ha un’azienda di trasporti. Che ora non va benissimo. Niente di grandioso». Si avviò alla porta. «Va bene, quando sarete convocati dalla questura, dovete avvertirmi: da questo momento io sono il vostro avvocato. Vi è chiaro il nostro rapporto? Avete domande?»

«No, è tutto chiaro. Spero che finisca in fretta» disse Nicola.

Alex fece soltanto un cenno affermativo con la testa, e a fior di labbra disse di sì.