73

Vaughan chiamò l’intero Dipartimento di polizia di Hope per arginare la folla. Mezz’ora dopo aveva schierato tutti i quattro ausiliari, il collega, il comandante e l’addetto alla reception lungo il confine occidentale dell’ultimo isolato di Despair. Nessuno aveva il permesso di passare. Poi arrivò la Polizia statale: nel giro di un’ora tre macchine, altre cinque giunsero nelle quattro ore successive. Avevano preso la strada lunga. Sapevano tutti che nell’impianto c’era uranio. La Polizia statale confermò che i poliziotti militari avevano bloccato la strada a ovest, lungo un perimetro di otto chilometri. Era quasi l’alba e stavano già fermando i camion in arrivo.

Questa spuntò, la pioggia infine cessò, il cielo divenne di un blu intenso e l’aria cristallina. Come i nervi dopo il dolore, aveva letto Reacher una volta in una poesia. La mattina era troppo fredda perché dal terreno si levasse vapore. Le montagne sembravano lontane migliaia di chilometri, ma ogni particolare era visibile: le sporgenze rocciose, i boschi di pini, la linea degli alberi, i canali innevati. Reacher prese a prestito il binocolo dal comandante di Vaughan e salì al secondo piano dell’ultimo edificio a ovest. Litigò con una finestra bloccata, si accovacciò, posò i gomiti sul davanzale e guardò in lontananza.

Non c’era molto da vedere.

Il muro metallico bianco era scomparso. Restavano soltanto alcuni pezzi e brandelli di metallo dilaniato, lanciati in aria e atterrati centinaia di metri più in là, in ogni direzione. L’impianto stesso era ridotto a una voragine nera e fumante con le gru e le incastellature rovesciate, fracassate e piegate. I frantumatori erano stati divelti dalle basi di cemento. Ogni cosa più piccola era stata ridotta in frammenti troppo minuscoli per poter essere identificati con certezza. Le sedi degli uffici erano svanite. Il comprensorio residenziale di Thurman cancellato. La casa era un mucchio di pezzi di legno. Il muro di sassi si era trasformato in una distesa di pietre che si perdevano a sud-ovest, simili a granelli di sale rovesciato su un tavolo. Le piante non c’erano più. Tutto ciò che restava degli alberi era qualche ceppo di una trentina di centimetri. Il capannone dell’aereo era stato demolito. Del Piper nessun segno.

Un danno immenso.

Meglio qui che da qualche altra parte, pensò Reacher.

Scese e si ritrovò in una situazione cambiata. Erano arrivate le agenzie federali e le voci si rincorrevano. Un radar dell’aeronautica a Colorado Springs aveva rilevato metallo a quattromilacinquecento metri d’altezza. Era rimasto lì per un lungo istante prima di ricadere sulla terra. Erano stati inviati droni in grado di captare le radiazioni, che si stavano avvicinando lungo ampie traiettorie circolari. La pioggia era stata considerata una benedizione. In base a quanto si riteneva, la polvere di uranio impoverito era fortemente igroscopica. Il vento non avrebbe sparso niente di brutto. Erano state contattate tutte le ditte presenti nel raggio di centocinquanta chilometri, in Colorado, in Nebraska e in Kansas. Era necessario costruire una recinzione lunga trenta chilometri. Il sito sarebbe stato interdetto per sempre per un raggio di cinque chilometri. Al recinto sarebbero stati fissati cartelli di rischio biologico ogni due metri. Le agenzie ne erano già dotate, ma mancava ancora la rete metallica.

La cittadinanza non fornì volontariamente informazioni chiare e le agenzie non fecero domande chiare. La parola sulle labbra di tutti era incidente. Un incidente all’impianto. Era un atteggiamento acquisito, insito nella cultura dei luoghi dove la vita era dura. Un incidente in fabbrica, un incidente in miniera. In linea con la storia. Se le agenzie avevano dubbi, sapevano bene che non era il caso di esprimerli. Il Pentagono aveva cominciato a fare ostruzionismo prima ancora che si raffreddassero gli ultimi frammenti.

Arrivarono i funzionari statali con i piani di emergenza. Bisognava portare acqua e cibo con i camion, predisporre i pullman per chi avrebbe dovuto cercare lavoro nelle cittadine vicine, fornire assistenza per i primi sei mesi. Nell’immediato avrebbero erogato aiuti di ogni genere, dopodiché gli eventuali sbandati si sarebbero dovuti arrangiare.

Reacher per primo e poi anche Vaughan furono spinti verso est dalle attività ufficiali. A metà pomeriggio si ritrovarono seduti nel Chevy di fronte all’emporio di tessuti senz’altro da fare. Diedero un’ultima occhiata a occidente, poi partirono imboccando la strada per Hope.



Andarono a casa di Vaughan, si fecero una doccia e si rivestirono. «L’ospedale di David chiuderà», disse Vaughan.

«Subentrerà qualcun altro», osservò Reacher. «Migliore.»

«Non lo abbandonerò.»

«Non devi farlo.»

«Anche se non lo saprà mai.»

«L’ha sempre saputo, fin dall’inizio. Per lui è stato importante. »

«Tu credi?»

«Lo so. Conosco i soldati.»

Reacher tirò fuori dalla tasca il telefono preso a prestito e lo buttò sul letto; fece lo stesso con il libretto prelevato dal cassetto del cruscotto del vecchio Suburban e chiese a Vaughan di rispedire entrambe le cose senza indirizzo del mittente sul pacco. «Sembra l’inizio di un discorso d’addio», disse lei.

«Lo è», ammise Reacher. «È anche la parte centrale e la conclusione.»

Si abbracciarono in modo un po’ formale, come due sconosciuti che avevano condiviso molti segreti, poi Reacher se ne andò. Percorse il sentierino tortuoso, camminò per quattro isolati a nord fino alla First Street. Trovò molto facilmente un passaggio. Un flusso di veicoli si stava dirigendo a est: operatori chiamati per l’emergenza, giornalisti, uomini in giacca e cravatta con berline senza insegne, imprenditori. L’eccitazione li aveva resi socievoli. C’era un vero spirito comunitario. Reacher viaggiò con un impresario del Kansas che realizzava fori per piantare pali e che aveva firmato un contratto per scavare alcuni dei sedicimila buchi ritenuti necessari per il nuovo recinto. Era allegro. Aveva davanti a sé mesi di lavoro garantito.

Reacher scese a Sharon Spinngs dove c’era una bella strada che portava a sud. Calcolò che San Diego era a sedicimila chilometri di distanza, o anche più, se avesse fatto qualche deviazione.

Child Lee - 2008 - Niente da perdere: Un'avventura di Jack Reacher
titlepage.xhtml
part0000.html
part0001_split_000.html
part0001_split_001.html
part0001_split_002.html
part0001_split_003.html
part0001_split_004.html
part0001_split_005.html
part0001_split_006.html
part0001_split_007.html
part0001_split_008.html
part0001_split_009.html
part0001_split_010.html
part0001_split_011.html
part0001_split_012.html
part0002.html
part0003.html
part0004_split_000.html
part0004_split_001.html
part0005.html
part0006.html
part0007.html
part0008.html
part0009.html
part0010.html
part0011.html
part0012.html
part0013.html
part0014.html
part0015.html
part0016.html
part0017.html
part0018.html
part0019.html
part0020.html
part0021.html
part0022.html
part0023.html
part0024.html
part0025.html
part0026.html
part0027.html
part0028.html
part0029.html
part0030.html
part0031.html
part0032.html
part0033.html
part0034.html
part0035.html
part0036.html
part0037.html
part0038.html
part0039.html
part0040.html
part0041.html
part0042.html
part0043.html
part0044.html
part0045.html
part0046.html
part0047.html
part0048.html
part0049.html
part0050.html
part0051.html
part0052.html
part0053.html
part0054.html
part0055.html
part0056.html
part0057.html
part0058.html
part0059.html
part0060.html
part0061.html
part0062.html
part0063.html
part0064.html
part0065.html
part0066.html
part0067.html
part0068.html
part0069.html
part0070.html
part0071.html
part0072.html
part0073.html
part0074.html
part0075.html
part0076.html
part0077.html
part0078.html