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Superarono volando il rilievo che faceva sembrare di nuovo vicine le Rockies, dopodiché Vaughan alzò il piede dall’acceleratore e impiegò quasi tutto il chilometro e mezzo successivo per rallentare e fermarsi. Allungò il collo e passò un lungo minuto a fissare dal lunotto. Si trovavano ancora nel territorio di Despair, ma alle loro spalle tutto era tranquillo. Parcheggiò sul ciglio con due ruote nella sabbia e lasciò che il motore girasse in folle.

A quel punto si accasciò sul sedile e abbassò le mani sulle ginocchia.

«Ci serve la Polizia statale», disse. «Laggiù abbiamo una sommossa e una ragazza scomparsa. E qualsiasi cosa Ramirez rappresentasse per loro, non possiamo presumere che tratteranno meglio la fidanzata.»

«Non possiamo presumere niente», obiettò Reacher. «Non sappiamo con certezza se sia lì. Non sappiamo con certezza nemmeno se il morto fosse Ramirez.»

«Ha davvero qualche dubbio?»

«La Polizia statale ne avrà. Finora sono solo congetture.»

«Allora che si fa?»

«Verifichiamo.»

«Come?»

«Chiamiamo Denver.»

«Cosa c’è a Denver?»

«L’auto verde», rispose lui. «E l’uomo che la guidava. Cinquecento chilometri, un viaggio di sei ore, facciamo sette con una sosta per il pranzo. È partito stamattina verso le otto, ormai sarà là. Dovremmo chiamarlo, chiedergli se abbia dato un passaggio a Maria e in tal caso dove con precisione l’abbia lasciata. »

«Sa il suo nome?»

«No.»

«Il suo numero?»

«No.»

«Ottimo piano.»

«È venuto a trovare tre nipotini a Hope. Lei dovrebbe tornare in città e verificare le famiglie con tre nipotini. Chieda se il nonno sia appena venuto a trovarli con la sua Mercury verde. Una di loro dirà di sì. A quel punto avrà il numero della sua prossima tappa. Sarà quello di un fratello o di una sorella a Denver, dove il nonno ha altri quattro nipotini da andare a trovare.»

«Lei che farà?»

«Torno a Despair.»



Scese dall’auto alle cinque e trentacinque, un po’ più di dodici chilometri a ovest di Hope, un po’ più di dodici chilometri a est di Despair, proprio nel cuore della terra di nessuno. Guardò Vaughan allontanarsi, si girò e si incamminò. Restò sulla strada per andare più spedito e fece qualche calcolo mentale. Questo è quello che sai. Duemilaseicento abitanti, forse un quarto di loro erano troppo vecchi o troppo giovani per risultare utili. Di conseguenza ne restavano più di milleottocento con una disponibilità massima dopo le sei di sera, quando l’impianto chiudeva al termine della giornata lavorativa. Neonominati, neoschierati, insicuri di sé, inesperti. Grazie alla visibilità diurna si erano potuti disporre in una grossa massa; al buio sarebbero stati costretti a sparpagliarsi costituendo una sorta di perimetro umano, ma avrebbero voluto rimanere piuttosto vicini per tirarsi su di morale, essere più efficienti e aiutarsi a vicenda. Quindi, niente persone isolate né sentinelle. I bambini sarebbero stati tenuti accanto ai gruppi familiari. Ogni elemento del perimetro avrebbe voluto essere in contatto visivo con il seguente. Il che significava che i gruppi o gli individui non sarebbero stati più lontani di tre metri gli uni dagli altri. Qualcuno avrebbe avuto una torcia, qualcuno un cane. Tutto sommato, nel caso peggiore, avrebbero potuto formare una catena umana lunga quasi cinquemilacinquecento metri, la circonferenza di un cerchio con un diametro di un po’ più di un chilometro e mezzo.

Un cerchio con un diametro di un chilometro e mezzo avrebbe a stento racchiuso la cittadina. Non sarebbe riuscito a comprendere cittadina e impianto. Inoltre, si sarebbero raggruppati sulla strada in uscita e su quella in entrata, soprattutto su quella in entrata da Hope. Altrove la copertura sarebbe stata più rada, probabilmente molto di più. Forse nella vegetazione ci sarebbe stato qualcuno con un furgone, magari i Tahoe della sorveglianza dell’impianto si sarebbero aggirati in caccia. Gli adolescenti sarebbero stati imprevedibili: eccitati dall’avventura, bramosi di un po’ di gloria ma facili alla noia. In realtà, tutti avrebbero finito per annoiarsi, stancarsi e abbassare la guardia. L’efficienza sarebbe stata massima nella prima ora, ridotta nelle due o tre successive, scarsa prima di mezzanotte e inesistente nelle ore prima dell’alba.

Qual è la tua conclusione?

Non era un grosso problema, pensò Reacher. Il sole era calato dietro le montagne lontane. All’orizzonte c’era una luce arancione tenue e lui puntò verso di essa.



Alle sette immaginò Vaughan che iniziava il turno di notte a Hope. Alle sette e quindici era a un chilometro e mezzo dal punto in cui la folla si era radunata in precedenza, a Despair. Stava facendo buio. Non vedeva nessuno in lontananza, perciò nessuno poteva vedere lui in lontananza. Lasciò la strada e si addentrò nella vegetazione verso sud-ovest, piegando di lato e affrettandosi, restio a rallentare. La cittadina davanti a lui era buia e silenziosa. Molto silenziosa. Alle sette e trenta era in mezzo alla distesa di sabbia, a seicento metri di distanza, e si accorse di non aver sentito l’aereo decollare. Nessun motore di velivolo, nessuna luce in cielo.

Perché?

Si fermò nel silenzio e si immaginò due possibili scenari, poi proseguì mantenendo un ampio raggio, silenzioso e invisibile nel buio.



Alle otto stava per fare la prima mossa. Lo aspettavano da est, pertanto lui arrivava da sud-ovest. Non era una garanzia di sicurezza, ma sempre meglio di un pugno in un occhio. I soggetti più esperti erano distribuiti qua e là, ma non egualmente. Aveva già aggirato gran parte delle persone di cui doveva preoccuparsi. Aveva visto un furgone, un pick-up scassato con quattro luci in fila sul tetto. Si era mosso lentamente sobbalzando sul terreno irregolare, allontanandosi da lui.

Lo seguì in mezzo alla vegetazione e si fermò dietro una roccia. Era a cinquanta metri dal retro di una lunga fila di alloggi operai: costruzioni basse a un piano, ben distanziate lateralmente perché la terra desertica costava poco e i sistemi fognari non funzionavano in caso di densità eccessiva. Gli spazi tra le case erano larghi tre volte queste ultime. In cielo c’era una minima luminosità grigia e la luna era dietro le nubi. C’erano guardie nei tratti fra le abitazioni. Da sinistra a destra, Reacher distinse un individuo, un gruppetto, un altro individuo e un altro ancora. Avevano bastoni, randelli o mazze. Insieme costituivano una catena: guardia armata, casa, guardie armate, casa, guardia armata, casa, guardia armata.

Credevano che le case fossero un elemento difensivo.

Si sbagliavano.

Sentiva i cani abbaiare in lontananza, eccitati e turbati da quell’insolita attività serale. Non erano un problema. I cani che abbaiavano troppo non erano più utili di quelli che non abbaiavano affatto. Il secondo uomo da destra tra le case aveva una torcia. L’accendeva a intervalli prevedibili muovendola ad arco sul terreno davanti a lui e poco dopo la spegneva per risparmiare le batterie.

Reacher si spostò a sinistra.

Passò dietro una casa completamente buia. Si appiattì sul terreno e vi si diresse strisciando. Il record dell’esercito per un avvicinamento di cinquanta metri compiuto strisciando era di circa venti secondi. All’estremo opposto, un cecchino poteva impiegare tutto il giorno per coprire tale distanza e mettersi in posizione. In quel caso Reacher preventivò cinque minuti: sarebbe stato abbastanza veloce da raggiungere l’obiettivo e abbastanza lento da farlo in sicurezza. In genere il cervello umano coglieva velocità e discontinuità. Una tartaruga che si muoveva verso l’interno non preoccupava nessuno. Un ghepardo che lo facesse a balzi attirava l’attenzione di tutti. Reacher perseverò, lento e costante, puntando gomiti e ginocchia e tenendo la testa china. Non si fermò, niente stop-and-go. Percorse dieci metri, venti, poi trenta, quaranta.

Dopo quarantacinque metri sapeva di non essere più visibile dagli spazi tra le case. L’angolazione era inadeguata. Rimase tuttavia basso per l’intero tragitto fino a raggiungere il portico posteriore. Allora si alzò e si mise in ascolto per captare eventuali reazioni, fuori o dentro la casa.

Niente.

Era davanti alla porta della cucina. Il portico era una semplice struttura di legno alta quanto tre gradini. Reacher salì lento con i piedi divaricati, caricando il peso là dove i gradini erano fissati alle sbarre laterali. Se una scala cigolava, novantanove volte su cento lo faceva in centro, dove era più debole. Posò la mano sulla maniglia della porta e la sollevò. Se una porta cigolava, novantanove volte su cento lo faceva perché si era abbassata sui cardini. Una forza verso l’alto aiutava.

Spinse la porta verso l’alto e verso l’interno, superò la soglia, si girò e la richiuse. Si ritrovò in una cucina buia e silenziosa. Pavimento di linoleum consumato, odore di cibo fritto. Banchi e armadietti, spettrali nel buio. Un lavandino e un rubinetto con una rondella rovinata. Ogni ventitré secondi perdeva una grossa goccia. Reacher immaginò la goccia perfetta esplodere e scagliare goccioline più piccole verso l’esterno in un cerchio perfetto.

Avanzò in cucina fino alla porta del corridoio. Sentì un odore di moquette sporca e di mobili vecchi provenire dal soggiorno a destra. Avanzò in corridoio fino alla parte anteriore della casa. La porta d’ingresso era una semplice lastra con una modanatura rettangolare dipinta. Girò la maniglia e la sollevò. L’aprì silenzioso.

Dietro c’era una zanzariera.

Reacher rimase immobile. Non c’era modo di aprire una zanzariera senza far rumore. Mai. Struttura leggera, cardini di plastica ben fissati, meccanismo a molla rozzo. Avrebbe prodotto un’intera sinfonia di stridori e schiocchi, garantito. La porta aveva una barra orizzontale nel mezzo, concepita per rafforzarla e contrastare la deformazione. Lo spazio in alto era inferiore al metro, quello in basso pure. Entrambi avevano una rete di nylon, chiaramente piuttosto vecchia: era sporca di terra e di insetti morti.

Reacher estrasse uno dei coltelli a serramanico di cui si era impossessato, si girò verso il corridoio per attutire il rumore e fece scattare la lama. Praticò una grossa X nella parte inferiore della zanzariera, da un angolo all’altro. Richiuse la lama, rimise il coltello in tasca e si sedette sul pavimento. Appoggiò la schiena e si sollevò da terra a mo’ di granchio. Avanzò strisciando e uscì attraverso la X prima con i piedi. Uscire di testa sarebbe stato più intuitivo. Il desiderio di vedere ciò che si trovava là fuori era travolgente. Ma se quello che si trovava là fuori fosse stato un manico d’ascia o un proiettile, era meglio essere colpiti alle gambe che alla testa. Molto meglio.

Là fuori però non c’era niente. Niente proiettili, niente manici d’ascia. Si abbassò, si dimenò e riuscì a far passare le spalle dall’apertura, quindi si raddrizzò e si mise in allerta con un unico rapido movimento. Era in piedi su un portico anteriore di cemento. Una tavola semplice di un metro e mezzo per un metro e mezzo, crepata e inclinata in un angolo per l’inadeguatezza delle fondamenta. Davanti a lui c’erano un breve sentiero e una strada buia; dall’altra parte, ancora case senza guardie in mezzo. Adesso erano tutte alle sue spalle, a una distanza pari a metà della profondità di un’abitazione. E guardavano tutte nella direzione sbagliata.

Child Lee - 2008 - Niente da perdere: Un'avventura di Jack Reacher
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