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Reacher e Vaughan tornarono a piedi al ristorante, dove lui mangiò per la prima volta dopo l’hamburger scroccato alla mensa di Fort Shaw la sera prima. Alzò il livello di caffeina che aveva in corpo con quattro tazze di caffè e quando ebbe terminato disse: «Dobbiamo andare da quei poliziotti militari. Ora che hai stabilito un contatto, potremmo riuscire a ottenere un incontro faccia a faccia».
«Attraversiamo di nuovo Despair?» chiese Vaughan.
Reacher scosse la testa. «Prendiamo il furgone e passiamo per i campi.»
Tolsero i codici a barre dai vetri nuovi. Vaughan prese alcuni
tovaglioli di carta e l’ammoniaca dalla cucina; insieme pulirono
cera e impronte dal parabrezza. Partirono nel primo pomeriggio.
Vaughan si mise al volante. Percorsero otto chilometri verso ovest
sulla strada di Hope e si arrischiarono a coprirne altri quindici
su quella di Despair. L’aria era tersa, le montagne visibili
davanti a loro, prima invitanti e vicine, poi molto lontane. Cinque
chilometri prima di Despair rallentarono, lasciarono la strada ed
entrarono sobbalzando in mezzo alla vegetazione per seguire una
lunga traiettoria curva verso nord. Mantennero la cittadina sulla
sinistra e un raggio di cinque chilometri. Era soltanto una vaga
chiazza lontana. Impossibile dire se fosse sorvegliata da bande o
sentinelle o abbandonata.
Procedere attraverso i campi era lento. Aggirarono massi e cespugli e passarono sopra tutto quello che era abbastanza piccolo da non rappresentare un grosso ostacolo. La vegetazione bassa grattava il sottoscocca e i cespugli sbattevano contro le fiancate. La scala a pioli e il piede di porco rimbalzavano e sferragliavano nel cassone. La torcia rotolava di qua e di là. Di tanto in tanto trovavano il letto di un fiume secco e ne seguivano i meandri a velocità maggiore. Poi dovettero farsi strada tra lastre di roccia più grandi dello stesso Chevy tenendo il sole in centro, sul montante superiore del parabrezza. Quattro volte finirono in recinti naturali, tornarono indietro e ricominciarono. Dopo un’ora la cittadina scomparve alle spalle e l’impianto si stagliò davanti a loro, a sinistra. Il muro riluceva bianco al sole. Il parcheggio sembrava vuoto. Non c’erano auto né fumo che saliva dall’impianto. Niente scintille, niente rumore. Niente attività di alcun tipo.
«Che giorno è?» chiese Reacher.
«Un normale giorno di lavoro», rispose lei.
«Non è vacanza?»
«No. Allora dove sono tutti?»
Sterzarono a sinistra e accorciarono la distanza che li separava dall’impianto. Il pick-up si lasciava dietro un bel pennacchio di polvere. Un osservatore casuale lo avrebbe notato, ma non c’erano osservatori casuali. Rallentarono, si fermarono a tre chilometri dalla meta e attesero cinque minuti, dieci, quindici. Non spuntò nessun Tahoe di pattuglia.
«Che hai in testa esattamente?» domandò Vaughan.
«Mi piace riuscire a spiegarmi le cose», rispose Reacher.
«Cosa non riesci a spiegarti?»
«Il fatto che si siano sempre accaniti nell’allontanare gli estranei, che abbiano chiuso l’area segreta per tutto il giorno solo perché mi aggiravo a cinquecento metri di distanza, che abbiano trovato il corpo di Ramirez e se ne siano occupati con tanta rapidità ed efficienza. Niente di tutto ciò è stato per loro una sorpresa: è come se si siano preparati a essere sempre vigili per stanare gli intrusi, persino ad attenderli. E hanno stabilito in anticipo le procedure per gestirli. Tutti nella cittadina sono coinvolti. Il primo giorno in cui mi sono fatto vedere, anche la cameriera del ristorante sapeva con precisione cosa fare. Perché arrivare a tanto?»
«Collaborano con il Pentagono. Mantengono il segreto.»
«Forse, ma non ne sono sicuro. Il Pentagono non richiederebbe di certo una cosa simile. Despair è già in mezzo al nulla, l’impianto si trova a cinque chilometri dalla cittadina e le cose brutte accadono in una zona cintata al suo interno. Per il Pentagono è sufficiente. Non chiederebbe ai locali di agire a nome suo perché si fida dei muri, delle distanze e della geografia, non della gente.»
«Forse è stato lo stesso Thurman a chiederlo alla popolazione. »
«Sicuro. Ma perché? Per conto del Pentagono o per qualche altra ragione che lo riguarda?»
«Come per esempio?»
«C’è solo una possibilità logica. A dire il vero, illogica. O un’impossibilità logica. Lo stabilirà una parola della Polizia militare, sempre che parlino con noi.»
«Quale parola?»
«Sì o no.»
Ripresero il viaggio puntando a ovest e seguendo una linea retta
fin dove il paesaggio lo permetteva. Incrociarono la strada dei
camion tre chilometri a occidente dell’impianto, superarono il
bordo di sabbia e salirono sobbalzando sull’asfalto. Vaughan
raddrizzò il furgone e diede gas. Due minuti dopo videro la base
della Polizia militare in lontananza. Un minuto dopo ancora ci
arrivarono.
C’erano quattro uomini nella guardiola, il che pareva essere in linea con l’usuale schieramento diurno. Uso eccessivo di forza letale secondo l’opinione di Reacher, il che significava che la base era comandata da un tenente, non da un sergente. Un sergente ne avrebbe messi due nella guardiola e due di riposo con gli altri o di pattuglia mobile su un Humvee, in base alla minaccia percepita. Gli ufficiali dovevano firmare le domande di rifornimento carburante, il che escludeva l’Humvee mobile, e non amavano che gli uomini se ne stessero in giro senza niente da fare, il che spiegava perché la guardiola fosse sovraffollata. Reacher tuttavia non pensava che i soldati fossero scontenti della scelta né di qualsiasi altra cosa. Erano stati in Iraq e ora non lo erano più. L’unica domanda che si poneva era se il loro ufficiale fosse stato in Iraq con loro. In caso affermativo, si sarebbe forse dimostrato ragionevole; in caso contrario si sarebbe potuto rivelare un colossale rompiscatole.
Vaughan superò la base, fece inversione a U, tornò indietro e parcheggiò rivolto dalla parte giusta, proprio sul bordo, vicino al cancello ma senza bloccarlo, come avrebbe fatto davanti a una caserma dei vigili del fuoco. Rispettosa, timorosa di fare un passo sbagliato nella danza che di lì a poco sarebbe iniziata.
Due uomini uscirono subito dalla guardiola. Erano gli stessi che Reacher aveva visto in precedenza: Morgan, lo specialista con gli occhiali e le rughe attorno agli occhi, e il commilitone, il soldato muto di prima classe. Reacher tenne le mani chiaramente in vista e uscì dal furgone. Vaughan fece lo stesso dal suo lato. Si presentò per nome e in veste di agente del Dipartimento di polizia di Hope. Morgan le fece il saluto militare in un modo da cui Reacher capì che la prima volta, malgrado le sue cautele, la Polizia militare aveva controllato la targa, scoperto chi fosse stato il marito e cosa fosse ora.
Il che ci tornerà utile, pensò.
Poi Morgan si voltò e lo guardò dritto in faccia.
«Signore?» disse.
«Sono stato anch’io poliziotto militare», rispose lui. «Secoli fa facevo il lavoro del vostro tenente.»
«In quale unità, signore?»
«La 110a.»
«A Rock Creek, in Virginia», disse Morgan. Era un’affermazione, non una domanda.
«Ci sono stato un paio di volte per farmi prendere a calci in culo. Per il resto sono stato in giro», rispose Reacher.
«In giro dove?»
«In tutti i posti dove lei è stato e in un centinaio d’altri ancora. »
«Signore, tutto questo è interessante, ma devo chiederle di spostare il furgone.»
«Riposo, caporale. Ce ne andremo non appena avremo parlato con il vostro tenente.»
«A proposito di che, signore?»
«È una faccenda tra noi e lui», replicò Reacher.
«Signore, questo non mi autorizza a disturbarlo.»
«Forza, soldato. Anch’io ho letto il manuale. Saltiamo alcune pagine e arriviamo al punto in cui ha già stabilito che si tratta di una questione importante.»
«Riguarda il soldato dei Marine scomparso?»
«È molto più interessante.»
«Signore, mi sarebbe utile avere maggiori particolari.»
«Le servirebbe anche avere un milione di dollari e un appuntamento con Miss America, ma che chance ha soldato?»
Cinque minuti dopo Reacher e Vaughan erano dentro il recinto, in
uno dei sei edifici metallici verdi, seduti di fronte a un tenente
chiamato Connor. Era un uomo piccolo e magro. Aveva circa ventisei
anni ed era stato in Iraq, quello era certo. La sua mimetica era
sdrucita, rovinata dalla sabbia e i suoi zigomi lucidi e bruciati.
Aveva un’aria competente e forse lo era. Era ancora vivo e non era
in disgrazia; anzi probabilmente, non appena fossero state
espletate le carte, sarebbe stato promosso capitano e avrebbe forse
ricevuto qualche medaglia. «È una visita ufficiale del Dipartimento
di polizia di Hope?» domandò.
«Sì», rispose Vaughan.
«Siete entrambi membri del Dipartimento?»
«Il signor Reacher è un consulente civile», spiegò lei.
«Allora come posso esservi utile?»
«Per farla breve, sappiamo del recupero dell’uranio impoverito all’impianto di Thurman», esordì Reacher.
«Questo mi preoccupa un po’», osservò Connor.
«Preoccupa un po’ anche noi. Le norme della Homeland Security ci obbligano a conservare un elenco dei siti sensibili dal punto di vista chimico nel raggio di trenta chilometri», replicò Reacher e lo disse come se fosse vero. Il che poteva anche essere: con la Homeland Security tutto era possibile. «Avreste dovuto informarci.»
«Siete a più di trenta chilometri dall’impianto.»
«Sono esattamente trenta fino al centro», ribatté Reacher. «Ventiquattro fino ai confini della città.»
«È segretato», rispose Connor. «Non potete citarlo in un elenco.»
Reacher assentì. «Comprendiamo, ma avreste dovuto metterci al corrente in forma privata.»
«A quanto pare lei è al corrente.»
«Ora tuttavia vorremmo verificare alcuni dettagli. Come si suol dire, quando resti scottato la prima volta…»
«Allora dovreste parlare con il ministero della Difesa.»
«Meglio di no. Si chiederanno come siamo venuti a saperlo e la prima cosa che penseranno è che i suoi abbiano parlato.»
«I miei non parlano.»
«Io le credo, ma è disposto a rischiare la reazione del Pentagono? »
«Quali dettagli?» chiese Connor.
«Abbiamo diritto di sapere quando e come i pezzi di uranio impoverito vengano portati fuori dall’impianto e quale strada venga utilizzata.»
«Teme che passino per la First Street?»
«Ci può scommettere.»
«Be’, non è così.»
«Va tutto a ovest?»
«Non va da nessuna parte», rispose Connor.
«Che intende?» chiese Vaughan.
«Non siete gli unici ad agitarvi. Anche lo Stato è piuttosto teso. Vogliono chiudere l’interstatale e usare un convoglio armato, cosa che non è concepibile con una frequenza regolare. Una volta ogni cinque anni, questo è quello che hanno in mente.»
«Quando è partito il primo convoglio?»
«Non è mai partito. Il primo partirà tra circa due anni.»
«Quindi in questo momento lo stanno ammucchiando nell’impianto? » domandò Reacher.
Connor assentì. «L’acciaio se ne va, l’uranio impoverito resta. »
«Quanto ne hanno?»
«Al momento attuale forse una ventina di tonnellate.»
«Lei le ha viste?»
Connor scosse la testa. «Thurman fa rapporto mensilmente per posta.»
«A lei sta bene?»
«Che cosa non mi dovrebbe star bene?»
«Quell’uomo se ne sta seduto su una montagna di materiale pericoloso.»
«E cosa potrebbe mai farne?»