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L’avvocato d’ufficio non si fece mai vedere. Reacher sonnecchiò per due ore, poi il poliziotto che lo aveva arrestato scese rumorosamente le scale, aprì la cella e gli fece segno di alzarsi.
«Il giudice è pronto a riceverla», disse.
Reacher sbadigliò. «Non sono ancora stato accusato di niente. Non ho visto il mio avvocato.»
«Si rivolga alla corte», rispose il poliziotto. «Non a me.»
«Che razza di sistema del cavolo avete qui?»
«Quello che abbiamo da sempre.»
«Credo che resterò quaggiù.»
«Potrei mandarle i tre uomini rimasti a farle visita.»
«Risparmi la benzina e li spedisca dritti in ospedale.»
«Potrei ammanettarla. Legarla al letto.»
«Facendo tutto da solo?»
«Potrei usare una pistola stordente.»
«Vive in città?»
«Perché?»
«Forse un giorno passerò a trovarla.»
«Non penso.»
Il poliziotto attese. Reacher scrollò le spalle, si tirò su e uscì dalla cella. Camminare senza le stringhe era scomodo. Sulle scale fu costretto a flettere le dita per evitare di perdere le scarpe. Trascinando i piedi, superò il banco di ingresso e seguì il poliziotto su per un’altra rampa, lungo una scala più imponente. In cima c’era una porta di legno a due battenti, chiusa. Accanto un cartello fissato a un paletto con una base pesante, simile a quello del ristorante tranne per la scritta: TRIBUNALE. L’agente aprì il battente sinistro e si fece da parte. Reacher entrò nell’aula. Questa aveva un corridoio centrale e quattro file di posti per il pubblico, una recinzione, il banco dell’accusa e quello della difesa, ciascuno con tre poltroncine dotate di rotelle. C’erano il banco dei testimoni, quello della giuria e la pedana del giudice. Tutti i mobili e le strutture erano di pino laccato scuro, scurito ulteriormente dall’età e dalle lucidature. Le pareti erano rivestite per tre quarti dello stesso materiale. Il soffitto e la parte superiore dei muri erano dipinti di un giallo crema. Dietro la pedana c’erano due bandiere, la Old Glory e quella che Reacher suppose fosse dello Stato del Colorado.
L’aula era vuota, piena di echi e odorava di polvere. Il poliziotto avanzò, aprì la recinzione e gli indicò il banco della difesa. Lui si sedette a quello dell’accusa, dopodiché attesero. Una porta che si notava a stento nella parete posteriore si aprì e un uomo con addosso un completo entrò in aula. Il poliziotto si alzò di scatto e disse: «Tutti in piedi». Reacher rimase seduto.
L’uomo con il completo salì tre gradini con passo pesante e si sistemò sulla pedana. Era grosso, sulla sessantina e aveva i capelli tutti bianchi. Indossava un abito di poco valore e di cattiva fattura. Prese una penna e raddrizzò un blocco di carta che aveva davanti. Guardò Reacher e gli chiese: «Nome?»
«Non mi sono stati letti i diritti», osservò Reacher.
«Lei non è stato accusato di alcun crimine», replicò l’anziano. «Questo non è un processo.»
«Allora cos’è?»
«Un’udienza.»
«A proposito di che?»
«È una questione amministrativa, nient’altro. Un dettaglio tecnico. Devo però farle alcune domande.»
Reacher non disse nulla.
«Nome?» chiese di nuovo l’uomo.
«Sicuramente il Dipartimento di polizia ha fotocopiato il mio passaporto e glielo ha mostrato.»
«È per il verbale, la prego.»
Aveva un tono neutro e modi abbastanza cortesi, perciò Reacher alzò le spalle e rispose: «Jack Reacher».
L’uomo scrisse annotando di seguito data di nascita, numero di previdenza sociale e nazionalità. Dopodiché chiese: «Indirizzo? »
«Non ho un indirizzo fisso», rispose lui.
L’uomo scrisse e domandò: «Professione?»
«Nessuna.»
«Lo scopo della sua visita a Despair?»
«Turismo.»
«Come intende mantenersi durante la visita?»
«A dire il vero non ci avevo pensato. Non prevedevo grossi problemi. Qui non siamo esattamente a Londra o a Parigi o a New York.»
«La prego di rispondere alla domanda.»
«Ho un conto in banca», dichiarò Reacher.
L’uomo scrisse tutto, quindi tirò su col naso, rilesse le righe accompagnandosi con la penna e si fermò. «Qual è il suo ultimo indirizzo?» chiese.
«Una casella UPE.»
«UPE?»
«Ufficio Postale dell’Esercito.»
«È un veterano?»
«Sì.»
«Per quanto tempo ha prestato servizio?»
«Per tredici anni.»
«Fino a quando?»
«Mi sono congedato dieci anni fa.»
«Unità?»
«Polizia militare.»
«Grado finale?»
«Maggiore.»
«E da quando ha lasciato l’esercito non ha un indirizzo fisso? »
«No.»
L’uomo fece un segno marcato accanto a una riga. Reacher vide la penna muoversi quattro volte, due volte in una direzione e due nell’altra. «Da quanto è senza lavoro?» gli domandò.
«Da dieci anni.»
«Non lavora da quando ha lasciato l’esercito?»
«Non proprio.»
«Un maggiore in pensione non è in grado di trovare lavoro?»
«Questo maggiore in pensione non ha voluto trovare lavoro. »
«Però ha un conto corrente?»
«Risparmi», spiegò Reacher. «Più qualche lavoretto occasionale. »
L’uomo fece un altro segno marcato a penna: due tratti verticali e due orizzontali, poi chiese: «Dove si è fermato la notte scorsa?»
«A Hope, in un motel», rispose Reacher.
«I suoi bagagli sono ancora lì?»
«Non ho bagagli.»
L’uomo annotò anche quello e fece un altro segno.
«È arrivato qui a piedi?»
«Sì», disse Reacher.
«Perché?»
«Non c’erano pullman e non ho trovato un passaggio.»
«No, perché qui?»
«Turismo», ripeté.
«Che cosa ha sentito dire sulla nostra cittadina?»
«Nulla di nulla.»
«Però ha deciso di visitarla lo stesso?»
«Evidentemente.»
«Perché?»
«Mi ha incuriosito il nome.»
«Non è una ragione molto convincente.»
«Da qualche parte devo pur andare e grazie per il caloroso benvenuto.»
L’uomo fece un quarto segno, due righe verticali e due orizzontali. Quindi scorse l’elenco lentamente e metodicamente accompagnandosi con la penna: quattordici risposte più quattro spostamenti a lato per i segni. «Mi dispiace, ma ha contravvenuto a una delle ordinanze cittadine di Despair. Dovrà andarsene. »
«Andarmene?»
«Dalla città.»
«Quale ordinanza?»
«Quella sul vagabondaggio.»