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Reacher rimase seduto per un istante nell’improvviso silenzio con le orecchie che gli ronzavano, aprì il portello del Piper e scese sull’ala. Thurman gli passò la scatola di cartone dal sedile posteriore. Lui l’afferrò con una mano e scese agile sulla pista. I due soldati avanzarono, scattarono sull’attenti, fecero il saluto e rimasero in attesa come un drappello d’onore. Thurman scese dopo Reacher e recuperò la scatola. Uno dei soldati si avvicinò. L’anziano si inchinò leggermente e gliela porse. Il militare rispose all’inchino, la prese, si girò e tornò all’Humvee marciando lentamente. Il commilitone lo imitò, standogli dietro. Thurman li seguì e Reacher seguì Thurman.
I soldati riposero la scatola nel vano di carico dell’Humvee e salirono davanti. Reacher e Thurman salirono dietro. Un veicolo grosso con sedili piccoli, ben separati dal massiccio tunnel del cambio, e un motore diesel. Fecero una curva stretta sullo spiazzo e si diressero verso un edificio che sorgeva isolato in un tratto d’erba. Dietro due finestre del pianterreno le luci erano accese. L’Humvee posteggiò, i soldati prelevarono la scatola dal vano di carico e marciando lentamente entrarono nell’edificio. Un minuto dopo ne uscirono senza di essa.
«Lavoro completato, almeno per stasera», osservò Thurman.
«Che cosa c’era nel barattolo?» chiese Reacher.
«Persone», rispose lui. «Uomini, forse donne. Li raschiamo dal metallo. Quando c’è un incendio, è tutto quello che resta di loro: fuliggine appiccicata all’acciaio dal calore. Li raschiamo e li raccogliamo in cartocci; poi mettiamo il raccolto del giorno nei barattoli. È quanto di più simile a una sepoltura adeguata possiamo offrire.»
«Dove siamo?»
«A Fort Shaw, in Oklahoma, su in alto. Qui, tra le altre cose, si occupano dei resti. Lavorano in associazione con il laboratorio di identificazione alle Hawaii.»
«Viene qui ogni sera?»
«Quando serve, il che purtroppo significa la maggior parte delle sere.»
«Ora che succede?»
«Mi offrono una cena e riforniscono di carburante l’aereo.»
I soldati risalirono sui sedili anteriori, l’Humvee girò di nuovo e percorse un centinaio di metri fino al gruppo principale di edifici. Una base dell’esercito degli anni ’50, una delle migliaia sparse nel mondo: mattoni, vernice verde, cordoli bianco calce, asfalto spazzato. Reacher non vi era mai stato prima. Non ne aveva mai sentito parlare. L’Humvee parcheggiò accanto a una porta laterale che recava un cartello da cui si capiva che conduceva al Circolo ufficiali. Thurman si voltò verso di lui e disse: «Non la inviterò a cenare con me. Hanno preparato solo per una persona e la cosa li metterebbe in imbarazzo».
Reacher assentì. Sapeva come trovare cibo in una base, probabilmente migliore di quello che Thurman avrebbe mangiato al Circolo ufficiali.
«Non si preoccupi», rispose.
Thurman scese e scomparve oltre la porta del Circolo ufficiali. I soldati seduti davanti nell’Humvee si voltarono a guardare, incerti sul da farsi. Erano entrambi soldati semplici di prima classe, con molta probabilità di stanza permanente negli Stati Uniti. Forse avevano alle spalle un po’ di Germania, ma nient’altro di importante. Niente Corea, di certo niente deserto. Non ne avevano l’aria. «Vi ricordate di quando indossavate i pannolini all’età di due anni?» domandò Reacher.
«Signore, non in modo specifico, signore», rispose l’autista.
«A quel tempo ero maggiore nella Polizia militare, perciò adesso andrò a fare due passi e voi non vi preoccuperete. Se vi preoccuperete, scoprirò chi è il vostro ufficiale comandante, scatterà subito il meccanismo dell’amicizia tra ufficiali, lui approverà la cosa e voi farete la figura degli idioti. Che ve ne pare come idea?»
Il soldato non era del tutto negligente né del tutto stupido. «Signore, in quale unità e dove?»
«110a. Il quartier generale era a Rock Creek in Virginia.»
«È ancora lì. La 110a è ancora operativa», rispose il soldato con un cenno.
«Me lo auguro proprio.»
«Signore, passi una piacevole serata. Se le interessa, può mangiare in mensa fino alle dieci.»
«Grazie, soldato», fece Reacher. Scese e l’Humvee se ne andò lasciandolo lì. Rimase fermo per un attimo nell’aria notturna pungente, poi si incamminò verso l’edificio isolato. La sua funzione originaria gli era oscura: non c’era ragione di avere un edificio isolato a meno che non contenesse pazienti infettivi o esplosivi, e non sembrava né un ospedale né un’armeria. Gli ospedali erano più grandi, le armerie più solide.
Entrò dalla porta principale e si trovò in un piccolo atrio quadrato con una scala di fronte e diverse porte su entrambi i lati. Le finestre del piano superiore erano buie. Quelle illuminate erano al pianterreno. Se sei in dubbio, gira a sinistra, era il suo motto. Perciò provò la porta a sinistra e si ritrovò in un locale vuoto: un ufficio amministrativo con le luci accese e nessuno dentro. Tornò nell’atrio e provò la porta a destra. Trovò un soldato di sanità con il grado di capitano seduto a un tavolo e il barattolo di Thurman davanti a lui. Era giovane per essere un capitano, ma i soldati di sanità venivano promossi rapidamente. Di solito erano di due passi avanti a chiunque.
«Desidera?»
«Sono arrivato in aereo con Thurman. Ero curioso di sapere di questo barattolo.»
«Curioso in che senso?»
«È quello che dice sia?»
«Lei è autorizzato a sapere?»
«Lo ero. Ero un poliziotto militare. Mi sono occupato un po’ di medicina legale con Nash Newman, che probabilmente era il suo capo supremo quand’era sottotenente, a meno che non fosse già in pensione. Ora forse lo sarà.»
«Lo è, ma ho sentito parlare di lui», rispose annuendo l’uomo.
«Allora nel barattolo ci sono persone?»
«Probabilmente. Anzi, quasi certamente.»
«Carbonio?»
«Non c’è carbonio», replicò il capitano. «In un incendio violento tutto il carbonio viene disperso sotto forma di anidride carbonica. Quello che resta di una persona dopo la cremazione sono gli ossidi di potassio, di sodio, di ferro, di calcio, forse un po’ di magnesio, tutti inorganici.»
«E questo è quello che c’è nel barattolo?»
L’uomo annuì di nuovo. «È compatibile con la carne e le ossa umane bruciate.»
«Cosa ne fate?»
«Lo mandiamo al laboratorio centrale di identificazione nelle Hawaii.»
«Loro cosa ne fanno?»
«Niente», rispose il soldato. «Lì dentro non c’è DNA. In sostanza è solo fuliggine. L’intera faccenda è davvero imbarazzante, ma Thurman continua a venire. È un vecchio sentimentale. Non possiamo cacciarlo ovviamente, perciò insceniamo una piccola, graziosa cerimonia e accettiamo tutto ciò che ci porta. Non possiamo nemmeno buttarlo via, dopo. Non sarebbe rispettoso. Perciò dai nostri tavoli lo spostiamo su quelli delle Hawaii. Immagino che lo mettano in un armadio e se ne dimentichino. »
«Sono sicuro che sia così. Thurman vi dice da dove arriva il materiale?»
«Dall’Iraq, ovviamente.»
«Ma da che genere di veicoli?»
«Ha importanza?»
«Direi di sì.»
«Questi particolari non ci vengono forniti.»
«Che cos’era in origine questo edificio?» domandò Reacher.
«Un ambulatorio per la cura delle malattie veneree», rispose il soldato di sanità.
«C’è un telefono?»
L’uomo indicò una mensola sul tavolo.
«Faccia pure», disse.
Reacher compose il 411 ed ebbe il numero di David Robert Vaughan, Fifth Street, Hope, Colorado. Ripeté il numero sottovoce per memorizzarlo, poi lo digitò.
Nessuna risposta.
Posò il ricevitore e chiese: «Dov’è la mensa?»
«Segua il suo naso», rispose il soldato di sanità, il che fu un buon consiglio.
Reacher tornò al gruppo principale di edifici e lo aggirò finché sentì un profumo di fritto uscire dal potente foro di un aspiratore inserito nel muro di un’ala di una costruzione quadrata più grande. La cucina della mensa e la mensa stessa. Appena entrato Reacher fu oggetto di qualche sguardo curioso, ma niente di più. Si mise in fila, prese un cheeseburger grande quanto una palla da softball, più patatine fritte, fagioli e una tazza di caffè. Portò tutto a un tavolo e cominciò a mangiare. L’hamburger era ottimo, il che era normale per l’esercito. I cuochi delle mense si lanciavano in gare selvagge per preparare il miglior impasto di carne. Anche il caffè era ottimo. Una miscela standardizzata unica, per Reacher la migliore del mondo. La beveva da una vita. Le patatine fritte erano discrete e i fagioli passabili. Tutto sommato, migliore dei tranci molli di pesce alla griglia propinati agli ufficiali.
Prese un altro caffè, si sedette in poltrona e lesse i giornali dell’esercito. Immaginò che i due soldati di prima classe sarebbero venuti a prenderlo quando Thurman fosse stato pronto a partire. Avrebbero accompagnato gli ospiti all’area di parcheggio, fatto solleciti il saluto militare e terminato il loro piccolo show con stile poco dopo mezzanotte. Rullaggio, decollo, raggiungimento della quota e novanta minuti di volo. Sarebbero tornati a Despair alle due, che sembrava essere l’orario normale. Carburante gratuito dell’aviazione per un equivalente di tre ore di volo più una cena gratuita di quattro ore. Non male in cambio di un barattolo pieno per un quarto di fuliggine. Un americano cristiano rinato e un uomo d’affari, così si era descritto Thurman. Qualsiasi tipo di cristiano fosse, era un uomo d’affari pratico, quello era certo.
La cucina della mensa chiuse. Reacher finì i giornali e sonnecchiò. I soldati di prima classe non si fecero mai vedere. Alle dodici e dieci Reacher si svegliò e udì il motore del Piper in lontananza. Quando lo registrò, l’aereo stava aumentando forte i giri. Quando uscì, il piccolo velivolo bianco era sulla pista di decollo. Restò a guardare mentre prendeva velocità, si sollevava e scompariva nel buio.