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Vaughan rimase seduta in silenzio e Reacher guidò per tutto il tragitto fino a Hope. Girarono attorno a Despair e arrivarono da est, dalla strada più lunga, la stessa utilizzata dall’uomo con la Grand Marquis all’inizio di tutto. Arrivarono in città alle cinque del pomeriggio. Il sole era basso. Reacher lasciò la First Street e si diresse sulla Third, verso il motel. Si fermò davanti all’ufficio. Vaughan lo guardò con aria interrogativa e lui disse: «È una cosa che avrei dovuto fare prima».
Entrarono insieme. L’impiegata ficcanaso era al banco. Alle sue spalle tre ganci erano privi di chiavi: quello di Reacher, la stanza dodici, quello di Maria, la stanza otto, quello della donna con la biancheria grande, la stanza quattro.
«Mi dica della donna della quattro», disse Reacher.
L’impiegata lo guardò, tacque per un istante come per raccogliere le idee, quasi fosse in tribunale al banco dei testimoni.
«Viene dalla California», rispose. «È qui da cinque giorni. Ha pagato in contanti per una settimana.»
«C’è altro?» chiese Reacher.
«È una persona di corporatura grossa.»
«Età?»
«Giovane, sui venticinque.»
«Come si chiama?»
«Signora Rogers», rispose l’impiegata.
Tornati in macchina, Vaughan osservò: «Un’altra, ma è un caso
strano. Il marito è stato arrestato solo ieri ma lei è qui da ben
cinque giorni. Che significa?»
«Significa che la nostra ipotesi è corretta. Immagino che fino a cinque giorni fa viaggiassero insieme. Lui ha trovato le persone giuste a Despair e si è nascosto; lei è venuta direttamente qui ad attenderlo, poi lui è stato stanato dalla mobilitazione di massa di ieri, si è imbattuto nelle persone sbagliate ed è stato arrestato. L’intera città è stata passata al setaccio, ogni sasso ribaltato e l’hanno individuato.»
«Allora dov’è ora?»
«Non era in una cella, perciò forse si è riunito alle persone giuste.»
«Sapevo di aver sentito quel nome. Sua moglie è arrivata con l’addetto ai rifornimenti del supermercato. Viene da Topeka, in Kansas, ogni due o tre giorni. Le ha dato un passaggio. Me l’ha detto. Mi ha detto il suo nome», dichiarò Vaughan.
«I camionisti vi fanno rapporto?»
«È una città piccola, non ci sono segreti. Maria è arrivata nello stesso modo. Così ho saputo di lei.»
«Come è arrivata Lucy Anderson?»
Vaughan tacque per un momento.
«Non lo so», rispose. «Non ho mai sentito parlare di lei prima che la polizia di Despair la scaricasse al confine. Prima non era qui.»
«Quindi è arrivata da ovest.»
«Qualcuno lo farà. Alcuni arrivano da est, altri da ovest.»
«Il che solleva una domanda, no? Maria è arrivata da est, dal Kansas, ma ha chiesto all’anziano con l’auto verde di lasciarla alla base della Polizia militare a ovest di Despair. Come faceva a sapere che fosse lì?»
«Forse gliel’ha detto Lucy Anderson. L’avrà di certo vista.»
«Non credo si siano mai parlate.»
«Forse gliel’ha detto Ramirez, al telefono da Topeka. Lui è arrivato da ovest e l’ha vista.»
«Ma perché avrebbe dovuto notarla? Perché interessarsene? Perché farne un argomento di conversazione con la fidanzata?»
«Non lo so.»
«Il suo comandante è un tipo simpatico?» chiese Reacher.
«Perché?»
«Perché sarebbe meglio se lo fosse. Dovremo chiedergli di nuovo l’auto in prestito.»
«Quando?»
«Più tardi stasera.»
«Quanto più tardi?»
«Tra otto ore.»
«Tra otto ore va bene», rispose lei.
«Prima andiamo a far spese», disse Reacher.
Arrivarono dal ferramenta proprio mentre stava chiudendo. L’anziano
con la giacca marrone stava riponendo la merce in mostra sul
marciapiede. Aveva portato dentro i soffiatori per foglie e stava
procedendo con le carriole. Il resto della roba era ancora al suo
posto. Reacher entrò e dalla moglie comprò una torcia sottile, due
batterie e un piede di porco da sessanta centimetri. Quindi tornò
fuori e comprò la scala a pioli magica che poteva essere sistemata
in otto posizioni diverse. Per essere riposta o trasportata, si
piegava trasformandosi in un rettangolo perfetto di centoventi
centimetri per quarantacinque. Era fatta di alluminio e di plastica
ed era molto leggera. Entrò comodamente sul sedile posteriore della
Crown Vic.
Vaughan lo invitò a cena alle otto. Fu molto formale al riguardo.
Disse che aveva bisogno delle due ore seguenti per prepararsi.
Reacher passò il tempo in camera. Fece un sonnellino, si rase, si
fece una doccia, si lavò i denti e si vestì. Gli abiti erano nuovi,
ma la biancheria aveva decisamente visto tempi migliori, perciò la
buttò. Infilò pantaloni e camicia, si passò le dita tra i capelli e
controllò il risultato allo specchio giudicandolo accettabile. Non
aveva opinioni sul suo aspetto. Era quello che era. Non poteva
cambiarlo. A qualcuno piaceva, ad altri no.
Percorse a piedi i due isolati dalla Third alla Fifth e girò a est. Era buio pesto. Giunto a cinquanta metri dalla casa di Vaughan, non vide l’auto del comandante. O si trovava sul vialetto d’accesso o Vaughan l’aveva restituita. Oppure aveva ricevuto una chiamata d’emergenza o cambiato programma per la serata. Poi, arrivato a trenta metri, la vide proprio lì sul marciapiede. Un buco nel buio. Vetri opachi, vernice nera opaca per l’età. Invisibile nell’oscurità.
Perfetto.
Passò in mezzo alle piante seguendo il sentierino di pietre e toccò il campanello. L’attesa media quando si bussava alla porta di un quartiere residenziale periferico a sera inoltrata era circa di venti secondi. Vaughan venne ad aprire in nove secondi esatti. Indossava un abito nero scampanato senza maniche che le arrivava al ginocchio e ballerine nere. Si era appena fatta la doccia. Era giovane e piena di energia.
Un vero schianto.
«Ciao», disse Reacher.
«Entra», rispose lei.
La cucina era tutta illuminata da candele. Il tavolo era apparecchiato: due sedie, due coperti, una bottiglia aperta di vino e due bicchieri. Dai fornelli arrivavano vari profumi. Sul banco c’erano due antipasti: polpa di granchio, avocado, fette di pompelmo rosa su un letto di lattuga.
«Il piatto principale non è pronto. Ho sbagliato i tempi. È una cosa che non faccio da un po’.»
«Da tre anni», osservò Reacher.
«Di più.»
«Sei splendida», le disse.
«Davvero?»
«La vista più bella del Colorado.»
«Migliore di Pikes Peak?»
«Notevolmente. Dovresti essere sulla copertina della guida.»
«Mi stai adulando.»
«Non direi.»
«Anche tu hai un bell’aspetto», disse Vaughan.
«Questa sì che è adulazione.»
«No, ti sei dato una bella ripulita.»
«Faccio del mio meglio.»
«Dovremmo farlo?» domandò lei.
«Io penso di sì», rispose Reacher.
«È giusto nei confronti di David?»
«David non è mai tornato. Non è mai vissuto qui. Non lo sa.»
«Vorrei vedere ancora la tua cicatrice.»
«Perché vorresti che David fosse tornato con una cicatrice invece che con quello che ha.»
«Probabilmente sì.»
«Siamo stati entrambi fortunati. Conosco i soldati. Ho passato tutta la vita accanto a loro. Hanno il terrore delle ferite grottesche. Amputazioni, mutilazioni, ustioni. Io sono fortunato perché non ne ho avute, David perché non sa di averla avuta», disse Reacher.
Vaughan non disse niente.
«E siamo entrambi fortunati perché abbiamo incontrato te», aggiunse.
«Mostrami la cicatrice», insistette Vaughan.
Reacher si sbottonò la camicia e se la sfilò. Vaughan esitò un secondo, poi toccò la pelle raggrinzita con molta delicatezza. Aveva la punta delle dita fredda e liscia, ma lui si sentì bruciare.
«Cos’è stato?» domandò lei.
«Un camion bomba a Beirut.»
«Un frammento?»
«Una parte di un uomo vicino a me.»
«Che cosa orribile.»
«Per lui, non per me. Il metallo avrebbe potuto uccidermi.»
«Ne è valsa la pena?»
«No, ovviamente no. Non ne vale la pena ormai da molto tempo», rispose Reacher.
«Da quando?»
«Dal 1945.»
«David lo sapeva?»
«Sì», rispose lui. «Lo sapeva. Conosco i soldati. Non c’è nessuno più realista di un soldato. Ci puoi provare, ma non riesci a prenderli in giro.»
«Però continuano a presentarsi.»
«Sì, continuano a presentarsi.»
«Perché?»
«Non lo so, non l’ho mai saputo.»
«Quanto sei rimasto in ospedale?»
«Alcune settimane.»
«In un posto brutto come quello in cui si trova David?»
«Molto più brutto.»
«Perché gli ospedali sono così brutti?»
«Perché per l’esercito un soldato ferito e incapace di combattere è, in fondo, spazzatura. Perciò dipendiamo dai civili e anche i civili si disinteressano.»
Vaughan appoggiò la mano sulla cicatrice; poco dopo la spostò sulla schiena. Fece lo stesso con l’altra mano, dall’altro lato. Gli cinse la vita con le braccia e gli posò la guancia sul petto. Poi alzò la testa e allora Reacher si chinò e la baciò. Vaughan sapeva di caldo, di vino e di dentifricio. Di sapone, di pelle pulita e di un profumo delicato. Aveva i capelli morbidi e gli occhi chiusi. Reacher esplorò con la lingua la fila di denti sconosciuti e trovò infine quella di lei. Con una mano le prese la nuca e le mise l’altra sulla schiena, in basso.
Fu un bacio lungo, molto lungo.
Tanto che Vaughan ebbe bisogno di prender fiato.
«Dovremmo farlo», disse.
«Lo stiamo facendo», rispose lui.
«Voglio dire, è giusto farlo.»
«Penso di sì», ribadì Reacher.
«Perché proseguirai per la tua strada», aggiunse lei.
«Tra due giorni, tre al massimo.»
«Niente complicazioni», disse Vaughan. «Non è come se fosse una cosa duratura.»
«Non sono fatto per le cose durature», osservò Reacher.
Quindi si chinò e la baciò di nuovo. Mentre lo faceva, afferrò la linguetta della cerniera e l’abbassò. Sotto il vestito Vaughan era nuda, calda, morbida e profumata. Reacher la prese in braccio e la portò in corridoio, là dove immaginava si trovassero le camere da letto, continuando a baciarla. Due porte, due stanze. Una aveva l’aria di essere inutilizzata, l’altra aveva il profumo di Vaughan. La portò dentro e la mise giù. Il vestito le scivolò dalle spalle e le cadde di dosso. Si baciarono ancora un po’, poi lei tirò con forza il bottone dei suoi pantaloni. Un istante dopo erano a letto.
Dopo mangiarono: gli antipasti, il maiale con le mele, le spezie,
lo zucchero di canna e il vino bianco. Per dessert, tornarono a
letto. A mezzanotte fecero la doccia insieme e si vestirono:
Reacher indossò di nuovo camicia e pantaloni, Vaughan jeans neri,
felpa nera, scarpe da ginnastica nere e una cintura sottile di
pelle nera.
Nient’altro.
«Niente pistola?» chiese Reacher.
«Fuori servizio non la porto», rispose lei.
«Va bene.»
All’una uscirono.