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Reacher seguì il direttore fuori dal prefabbricato e oltre un’altra porta. Era un container identico, ma arredato meglio. C’era un tappeto, le poltrone erano di pelle e la scrivania di mogano. C’erano quadri alle pareti, tutte stampe di Gesù di poco prezzo. In tutte Gesù aveva gli occhi azzurri, indossava una veste azzurro chiaro, aveva lunghi capelli biondi e una barba bionda ben curata. Sembrava più un surfista di Malibu che un ebreo di duemila anni fa.
In un angolo del tavolo c’era una Bibbia.
Dietro il tavolo c’era un uomo che Reacher immaginò fosse il signor Thurman. Indossava un completo tre pezzi di lana e sembrava sulla settantina. Aveva un aspetto roseo, grassoccio e florido. Aveva i capelli bianchi, abbastanza lunghi, pettinati a onde. Sfoderava un sorriso largo e paziente. Pareva appena uscito da uno studio televisivo: sarebbe potuto essere l’ospite di un gioco o un telepredicatore. Reacher se lo immaginava mentre si colpiva il petto e assicurava che Dio lo avrebbe colpito con un infarto se il pubblico non gli avesse mandato un po’ di soldi.
Il pubblico lo avrebbe fatto, pensò. Con una faccia come quella, sarebbe stato sommerso di biglietti da cinque e da dieci.
Il direttore attese un cenno, poi se ne andò. Reacher si sedette in una poltrona di pelle e disse: «Mi chiamo Jack Reacher. Ha cinque minuti».
L’uomo dietro il tavolo disse: «Sono Jerry Thurman. Molto lieto di conoscerla».
«Ora ha quattro minuti e cinquantasei secondi», replicò Reacher.
«A dire il vero, signore, ho tutto il tempo che ci vorrà», replicò Thurman. Aveva una voce dolce e melliflua. Le guance gli tremolavano mentre parlava. Aveva troppo grasso e una scarsa tonicità muscolare. Non era una bella visione. «Lei ha creato problemi nella mia cittadina e adesso ha violato la sede della mia azienda.»
«Per colpa sua», replicò Reacher. «Se non avesse mandato quegli idioti al ristorante, avrei pranzato in fretta e me ne sarei andato giorni fa. Non avevo ragione di restare. Non è che lei qui gestisca Disneyland.»
«Non è mia intenzione. Questa è un’attività industriale.»
«Ho notato.»
«Ma questo giorni fa lo sapeva. Sono sicuro che a Hope si saranno affrettati a raccontarle di noi. Perché curiosare in giro? »
«Sono una persona curiosa.»
«Evidentemente», osservò Thurman. «Il che ha destato i nostri sospetti. Abbiamo procedure brevettate e metodologie di nostra invenzione, definibili tutte come segreti industriali, se vogliamo. Lo spionaggio potrebbe compromettere i nostri guadagni. »
«Non sono interessato al riciclaggio del metallo.»
«Adesso lo sappiamo.»
«Avete fatto controlli sul mio conto?»
«Sì, abbiamo fatto indagini», rispose Thurman. «Ieri sera e stamattina. Lei è esattamente quello che ha sostenuto di essere nell’udienza per la questione del vagabondaggio, presieduta dal giudice Gardner. Uno di passaggio. Un signor nessuno che dieci anni fa era nell’esercito.»
«Esatto.»
«Ma è un signor nessuno molto tenace. Ha fatto la ridicola richiesta di essere nominato ausiliario dopo aver preso un distintivo a un uomo durante una rissa.»
«Iniziata da lui, dietro suo ordine.»
«Perciò ci chiediamo: perché è così ansioso di sapere che cosa succede qui?»
«E io mi chiedo: perché siete così ansiosi di nasconderlo?»
Thurman scosse la grossa testa bianca.
«Non stiamo nascondendo niente», rispose. «E lei per me non è un pericolo dal punto di vista commerciale, perciò glielo dimostrerò. Ha visto la cittadina, ha incontrato alcune persone che vivono qui e adesso le farò fare un giro dell’impianto. Le farò da guida e accompagnatore personale. Potrà vedere tutto e chiedere qualsiasi cosa.»
Presero l’auto personale di Thurman, un Chevy Tahoe dello stesso
modello e della stessa età dei mezzi della sorveglianza ma dipinto
di nero, con gli stessi interni senza pretese. Un mezzo da lavoro.
Le chiavi erano già nel cruscotto, per abitudine probabilmente e
inoltre era piuttosto sicuro: nessuno avrebbe usato l’auto del capo
senza permesso. Thurman si mise alla guida e Reacher si sedette
davanti accanto a lui. Dietro non c’era nessuno. Erano soli nel
veicolo. Si diressero a sud rasentando il muro occidentale, lontano
dal cancello degli automezzi, a bassa velocità. Thurman iniziò
subito a parlare. Descrisse le diverse funzioni degli uffici: in
ordine di apparizione erano la direzione operativa, il reparto
acquisti, il reparto fatturazione, poi indicò il pronto soccorso,
ne descrisse strutture e risorse facendo un commento caustico sulle
persone che Reacher vi aveva spedito. Poi passarono alla fila di
serbatoi: ne specificò la capacità, ossia ventimila litri ciascuno,
e il contenuto, ossia benzina per i Tahoe e gli altri camion,
gasolio per le gru, i frantumatori e i macchinari più pesanti,
nonché una sostanza chimica liquida chiamata tricloroetilene, uno
sgrassatore essenziale del metallo, ossigeno e acetilene per le
fiamme ossidriche, cherosene per le fornaci.
Reacher si annoiava a morte.
Smise di ascoltare Thurman e guardò con i suoi occhi, ma non vide molto: solo metallo e le persone che lo lavoravano. Si fece un’idea generale. La roba vecchia veniva fatta a pezzi e fusa, i lingotti venivano venduti alle fabbriche dove si costruiva roba nuova che poi diventava roba vecchia e tornava per essere fatta a pezzi e fusa ancora.
Non si trattava di scienza missilistica.
Quasi un chilometro e mezzo dopo arrivarono al divisorio interno e Reacher vide che un camion era stato parcheggiato di fianco al cancello, come per nasconderlo. Al di là del muro non volavano più scintille e non si alzava più fumo. L’attività sembrava cessata. «Che succede là dietro?» domandò.
«È il nostro deposito rottami. Le cose troppo rovinate per essere recuperate finiscono là dentro», spiegò Thurman.
«Come fate a entrare con quel camion in mezzo?
«Se necessario possiamo spostarlo, ma non dobbiamo farlo spesso. Le nostre procedure sono molto avanzate. Non sono tanti gli ostacoli che ci fermano.»
«Lei è un chimico, un esperto di metallurgia o che?»
«Sono un americano cristiano rinato e un uomo d’affari. Così mi descrivo, in quest’ordine d’importanza. Ma assumo i migliori talenti che trovo a livello esecutivo. Il nostro reparto ricerca e sviluppo è eccellente.»
Reacher annuì e non disse nulla. Thurman girò il volante, fece lentamente una curva e tornò verso nord rasentando il muro orientale. Il sole era alto e le luci erano spente. Davanti a sinistra le fauci di un gigantesco frantumatore si stavano chiudendo su una decina di carcasse d’auto. Alle sue spalle la porta di una fornace si aprì e gli uomini si ripararono dall’ondata di calore. Un crogiolo si mosse lento su un binario sopraelevato, pieno di metallo liquido, tutto gorgogliante e già con la crosta in superficie.
«Lei è rinato?» domandò Thurman.
«A me una volta basta», rispose Reacher.
«Parlo sul serio.»
«Anch’io.»
«Dovrebbe rifletterci.»
«Mio padre soleva dire: ’Perché rinascere quando puoi semplicemente crescere?’»
«Non è più con noi?»
«È morto da molto tempo.»
Con un atteggiamento del genere sarà in quell’altro posto. »
«È in un buco sottoterra nel cimitero di Arlington.»
«Un altro veterano?»
«Un Marine.»
«La ringrazio per il servizio che ha reso.»
«Non ringrazi me, io non ho niente a che fare con tutto ciò.»
«Dovrebbe riflettere sul fatto di mettere ordine nella sua vita, sa, prima che sia troppo tardi. Potrebbe accadere qualcosa. Il libro dell’Apocalisse dice: ’L’ora è vicina’.»
«Lo è da quando è stato scritto, quasi duemila anni fa. Perché dovrebbe essere vero oggi se non lo è stato prima?»
«Ci sono segni», spiegò Thurman. «E possibilità che gli eventi precipitino.» Lo disse con tono misurato e compiaciuto, e con una certa sicurezza, come se avesse regolare accesso a informazioni confidenziali privilegiate.
Reacher non rispose.
Continuarono il giro superando un gruppetto di uomini stanchi che lottavano con una montagna di acciaio aggrovigliato. Avevano la schiena china e le spalle curve. Non sono neanche le otto del mattino, pensò Reacher, c’erano ancora più di dieci ore di lavoro.
«Dio si prende cura di loro», commentò Thurman.
«Ne è sicuro?»
«Così mi dice.»
«Si prende cura anche di lei?»
«Sa quello che faccio.»
«Approva?»
«Così mi dice.»
«Allora perché c’è un parafulmine sulla sua chiesa?»
A quella domanda Thurman non rispose. Serrò con forza la mascella e continuò a guidare in silenzio finché arrivarono all’ingresso del passaggio che conduceva al cancello del personale. Fermò il fuoristrada e si appoggiò allo schienale.
«Ha visto abbastanza?» domandò.
«Più che abbastanza», rispose Reacher.
«Allora addio», disse Thurman. «Suppongo che le nostre strade non si incroceranno più.» Gli porse la mano di lato, in modo goffo. Reacher gliela strinse. Era molle, calda, floscia, come un palloncino riempito d’acqua. Poi Reacher aprì la portiera, scivolò fuori, percorse il passaggio ad angolo retto e tornò agli acri destinati a posteggio.
Tutti i finestrini del furgone di Vaughan erano fracassati.