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Reacher ordinò un altro caffè e Vaughan un altro succo di frutta. L’orologio nella mente di Reacher batté l’una del mattino e quello a muro del ristorante lo seguì un minuto dopo. Vaughan guardò il suo da polso e disse: «Sarà meglio che torni in sella».
«Va bene», rispose lui.
«Vada a dormire un po’.»
«D’accordo.»
«Vuol venire con me a Colorado Springs, al laboratorio, con il campione d’acqua?»
«Quando?»
«Domani, oggi, qualsiasi cosa sia adesso.»
«A che ora?»
«Partiamo alle dieci?»
«È presto per lei.»
«Non dormo comunque. E questa è l’ultima della serie. Adesso ho quattro notti libere. Dieci di servizio, quattro libere. Inoltre dovremo partire presto, perché tra andata e ritorno il viaggio è lungo.»
«Cerca ancora di tenermi lontano dai guai? Anche nel tempo libero?»
«Ho rinunciato a tenerla lontana dai guai.»
«Allora perché?»
«Perché mi piacerebbe avere la sua compagnia. Nient’altro.»
Lei lasciò quattro dollari sul tavolo per il succo. Rimise a posto sale, pepe e zucchero, poi si alzò dal tavolo, uscì e si diresse all’auto.
Reacher si fece una doccia e alle due del mattino era a letto.
Dormì senza sognare e si svegliò alle otto. Fece un’altra doccia e
andò a piedi al negozio di ferramenta. Passò cinque minuti a
osservare le scale a pioli sul marciapiede, quindi entrò, trovò la
rastrelliera di pantaloni e camicie e scelse due capi nuovi.
Stavolta optò per colori più scuri e un marchio diverso. Erano
indumenti prelavati, pertanto più morbidi. Meno resistenti sul
lungo periodo, ma a lui il lungo periodo non interessava.
Si cambiò nella stanza del motel e lasciò i vecchi abiti piegati sul pavimento vicino al cestino dei rifiuti. Magari la cameriera aveva un parente maschio indigente della sua corporatura. Forse sapeva come lavare le cose in modo che uscissero dalla lavatrice almeno un po’ morbidi. Lasciò la stanza e vide che la luce del bagno di Maria era accesa. Si diresse all’ufficio. L’impiegata era sullo sgabello. Alle sue spalle il gancio della stanza di Maria era vuoto. L’impiegata vide che lo fissava e disse: «È tornata stamattina».
«A che ora?» chiese Reacher.
«Molto presto, verso le sei.»
«Ha visto com’è arrivata ?»
La donna guardò a destra e sinistra, abbassò la voce e rispose: «In un’auto blindata, con un soldato».
«Un’auto blindata?»
«Come quelle che si vedono al telegiornale.»
«Un Humvee», concluse Reacher.
«Sembra una jeep, ma con un tetto. Il soldato non si è fermato, cosa di cui sono contenta. Non sono una moralista, ma non potrei permettere una cosa del genere. Non qui», replicò la donna.
«Non si preoccupi», disse Reacher. «Ha già un fidanzato.»
O lo aveva, pensò.
«È troppo giovane per fare la scema con i soldati», commentò la donna.
«C’è un limite d’età?»
«Dovrebbe esserci.»
Reacher pagò il conto e tornò indietro lungo la fila facendo un paio di calcoli. Secondo la sua testimonianza telefonica, l’anziano aveva lasciato Maria davanti alla base della Polizia militare verso le otto e trenta del mattino precedente. Lei era tornata con un Humvee alle sei. L’Humvee non aveva di certo fatto deviazioni sulle interstatali, aveva attraversato dritto Despair, il che significava un viaggio di mezz’ora al massimo. Pertanto l’avevano trattenuta per ventun ore. Dunque il suo problema esulava dalla giurisdizione locale della base operativa avanzata. L’avevano chiusa in una stanza e la sua storia era stata trasmessa lungo la catena di comando. Telefonate, messaggi sulle segreterie telefoniche, telex sicuri, forse una conference call. Alla fine altrove avevano preso una decisione. Erano seguiti il rilascio e l’offerta di un passaggio verso casa.
Solidarietà, ma nessun aiuto.
Nessun aiuto per cosa?
Reacher si fermò davanti alla porta e si mise in ascolto. L’acqua della doccia non scorreva. Attese un minuto in caso si stesse asciugando e un altro in caso si stesse vestendo, quindi bussò. Ancora un minuto e Maria aprì la porta. Aveva i capelli lucidi d’acqua. Indossava jeans e una maglietta blu. Niente scarpe. Aveva i piedi minuscoli come quelli di una bambina e le dita diritte. Era stata cresciuta da genitori affettuosi che si erano preoccupati di darle calzature adeguate.
«Sta bene?» le chiese, il che era una domanda sciocca. Non aveva l’aspetto di chi stava bene. Sembrava piccola, stanca e persa.
Lei non rispose.
«È andata alla base della Polizia militare a chiedere di Raphael? »
La ragazza annuì.
«Sperava in un aiuto, ma non è stato così», proseguì Reacher.
Maria continuava a tacere.
«Le hanno detto che era una faccenda di competenza del Dipartimento di polizia di Despair.»
Lei non rispose.
«Forse posso aiutarla o forse può farlo il Dipartimento di polizia di Hope. Mi vuol dire di che si tratta?»
Lei non parlò.
«Non posso aiutarla se non conosco il problema.»
La giovane scosse la testa.
«Non posso dirglielo», spiegò. «Non posso dirlo a nessuno.»
Il tono con cui pronunciò non posso era definitivo. Non scontroso né arrabbiato né triste, ma calmo, ponderato, maturo, di semplice informazione. Come se avesse vagliato una rosa di alternative e le avesse ridotte all’unica praticabile. Come se, aprendo bocca, le sarebbe piombata inevitabilmente addosso una valanga di guai.
Non poteva dirlo a nessuno.
Semplice.
«D’accordo», concluse lui. «Tenga duro.»
Si diresse al ristorante, e fece colazione.
Suppose che Vaughan avesse in mente di passarlo a prendere al
motel, perciò alle dieci meno cinque era seduto sulla sedia di
plastica davanti alla sua porta. Lei arrivò alle dieci e tre con
una Crown Vic nera. Vernice opaca, rovinata dal tempo e dall’uso.
Un’auto di pattuglia senza insegne, come quella di un detective. Si
fermò vicino a lui e abbassò il finestrino. «Ha avuto una
promozione? » le chiese.
«È l’auto del mio comandante. Gli ho fatto pena e me l’ha prestata, dato che lei ha fatto in modo che mi fracassassero il furgone.»
«Ha scoperto chi ha abbandonato i rifiuti?»
«No. E adesso è diventato un crimine seriale. Ho trovato anche della stagnola. Tecnicamente, sono due reati distinti.»
«Maria è tornata. I poliziotti militari l’hanno riaccompagnata a casa stamattina.»
«Ha detto qualcosa?»
«Non una parola.» Si alzò dalla sedia ed entrò nell’auto. L’abitacolo era molto semplice. Molta plastica nera, tappezzeria di un colore indistinguibile. Sembrava un’auto a noleggio scassata. Il cruscotto era pieno di dispositivi della polizia: radio, un computer portatile fissato a un braccio, una videocamera, un videoregistratore con disco fisso, un lampeggiante rosso con un cavo arricciato. Non c’era divisorio di sicurezza tra la parte anteriore e quella posteriore, perciò il sedile poteva essere spostato all’indietro sino in fondo. Sarebbe stato comodo. Avrebbe avuto spazio per le gambe. Il campione d’acqua era sul sedile posteriore. Vaughan aveva un bell’aspetto. Indossava un vecchio paio di blue-jeans e una camicia bianca Oxford con due bottoni aperti e le maniche arrotolate.
«Che cambiamento», esclamò lei.
«In che senso?»
«Parlo dei vestiti, scemo.»
«Nuovi, di stamattina», rispose lui. «Nel negozio di ferramenta. »
«Sono più belli degli ultimi.»
«Non ci si affezioni. Spariranno presto.»
«Qual è stato il periodo più lungo in cui ha portato lo stesso vestito?»
«Otto mesi», rispose Reacher. «Mimetica da deserto durante la prima guerra del Golfo. Non me la sono mai tolta. Avevamo grossi problemi con gli approvvigionamenti. Niente cambi né pigiama.»
«È stato nel Golfo la prima volta?»
«Dall’inizio alla fine.»
«Com’è stato?»
«Caldo.»
Vaughan uscì dal parcheggio del motel e si diresse a nord sulla First Street. Svoltò a sinistra, a est, verso il Kansas. «Facciamo il giro lungo?» domandò Reacher.
«Credo sia meglio.»
«Anch’io», convenne lui.
Era palesemente un’auto della polizia, le strade erano sgombre e
Vaughan andò in media a centoquaranta per gran parte del tragitto
puntando dritta verso le montagne. Reacher conosceva un po’
Colorado Springs. Fort Carson si trovava lì e rappresentava una
presenza importante dell’esercito, anche se in realtà era più una
città dell’aeronautica. A parte ciò, era un luogo gradevole: il
paesaggio era piacevole, l’aria pulita. Era spesso soleggiata e la
vista di Pikes Peak in genere spettacolare. La zona del centro era
ordinata e fitta. Il laboratorio statale si trovava in un edificio
governativo di pietra. Era una struttura satellite, un ramo del
centro principale di Denver, la capitale. L’acqua era una questione
importante in Colorado. Non ce n’era molta. Vaughan consegnò la
bottiglia e riempì un modulo che un uomo avvolse attorno alla
bottiglia fissandolo con un elastico. La portò via con fare
cerimonioso, come se quel litro specifico avesse il potere di
salvare il mondo o di distruggerlo. Tornò e disse che le avrebbero
riferito i risultati per telefono e di comunicare per cortesia al
laboratorio le cifre del consumo totale di TCE di Despair. Spiegò
che lo Stato utilizzava una formula empirica approssimativa in base
a cui andava considerata una certa percentuale di evaporazione;
inoltre, si poteva star certi che un’altra fosse assorbita dal
terreno, perciò quello che contava davvero era la quantità di
prodotto che vi si infiltrava e la profondità della falda
acquifera. Lo Stato conosceva al millimetro la profondità della
falda acquifera della contea di Halfway, perciò l’unica variabile
era la quantità esatta di TCE che penetrava nel terreno nella sua
direzione.
«Quali potrebbero essere i sintomi?» domandò Vaughan.
L’uomo del laboratorio lanciò un’occhiata a Reacher.
«Il cancro della prostata», rispose. «Quello è il primo segnale. Gli uomini se ne vanno prima.»
Risalirono in macchina. Vaughan era turbata, distratta. Reacher non
sapeva che cosa le passasse per la mente. Era una poliziotta e un
membro coscienzioso della sua comunità, ma era chiaramente
preoccupata per qualcosa di più di un rischio chimico remoto per la
sua acqua da tavola. Non sapeva perché gli avesse chiesto di andare
con lei. Non avevano parlato molto. Né sapeva se la sua compagnia
le facesse davvero bene.
Percorse un centinaio di metri su una strada a tre corsie e si fermò al semaforo a un incrocio a T. L’ovest era a sinistra, l’est a destra. Il semaforo divenne verde, ma lei non si mosse. Rimase seduta lì stringendo il volante e guardandosi intorno come se non sapesse scegliere. Un uomo dietro le suonò. Lei guardò nel retrovisore e poi Reacher.
«Mi accompagna a far visita a mio marito?» chiese.