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«Con una telefonata capirai tutto. Dato che siamo qui, potremmo anche entrare a farla. Maria ha aspettato abbastanza», disse Reacher.
«Una telefonata a chi?» chiese Vaughan.
«Alla Polizia militare a ovest di Despair. Ti hanno ragguagliata su di loro e loro saranno stati ragguagliati su di te, perciò collaboreranno.»
«Cosa chiedo?»
«Chiedi che ti faxino il dossier su Ramirez. Ti diranno: ’Chi?’ Tu dirai: ’Stronzate, so che Maria è stata lì di recente, perciò so che sapete chi è Ramirez’. Dirai loro che sappiamo che Maria è rimasta lì per ventun ore, un tempo sufficiente perché recuperino tutte le carte del mondo.»
«Cosa scopriremo?»
«Secondo me che due settimane fa Ramirez è stato in prigione. »
Il fax del Dipartimento di polizia di Hope era un vecchio
apparecchio squadrato su un carrello munito di ruote. Se un tempo
era grosso e inelegante, ora era anche sporco e vecchio. Tuttavia
funzionava. Undici minuti dopo la telefonata di Vaughan, si accese,
iniziò a ronzare, risucchiò un foglio bianco dal vassoio e lo
risputò scritto.
Scritto però in minima parte. Era un riassunto essenziale, un risultato molto scarso per ventun ore di fastidiose indagini burocratiche, ma ciò si spiegava con il fatto che era stato l’esercito a chiedere e i Marine a rispondere. Di solito la collaborazione interforze non era molto viva.
Raphael Ramirez era un soldato semplice del corpo dei Marine. A diciotto anni era stato mandato in Iraq, a diciannove aveva svolto il suo secondo turno. A venti aveva disertato prima del terzo. Si era dato alla fuga, era stato arrestato cinque giorni dopo a Los Angeles e chiuso in una cella in attesa di finire davanti alla corte marziale a Camp Pendleton.
Data di arresto: tre settimane prima.
«Andiamo a trovare Maria», disse Reacher.
La trovarono nella sua stanza al motel. Il letto aveva
un’infossatura là dove si era seduta per stare al caldo,
risparmiare energie, passare il tempo, tener duro. Venne ad aprire
esitante, come se fosse sicura che le notizie sarebbero state
brutte. Sul volto di Reacher non c’era nulla che potesse farle
cambiare idea. Insieme a Vaughan la condusse fuori e la fece sedere
sulla sedia di plastica sotto la finestra del bagno. Lui prese
posto su quella del numero nove, Vaughan su quella del sette.
Avvicinarono le sedie e formarono un piccolo triangolo sulla
striscia di cemento.
«Raphael era un Marine», disse Reacher.
Maria annuì senza dir nulla.
«È stato in Iraq due volte e non voleva tornarci per la terza, perciò quasi quattro settimane fa si è dato alla fuga. È andato su a Los Angeles. Forse aveva amici laggiù. L’ha chiamata?» proseguì Reacher.
Maria non disse nulla.
«Lei non è nei guai, Maria. Nessuno l’arresterà.»
«Chiamava quasi tutti i giorni», rispose.
«Com’era?» domandò Reacher.
«Spaventato a morte. Spaventato all’idea di essere un disertore, spaventato all’idea di tornare indietro.»
«Cos’è successo in Iraq?»
«A lui non molto, ma ha visto cose. Ha detto che le persone che dovevamo aiutare ci uccidevano e che noi uccidevamo loro. Tutti ammazzavano tutti in modi orribili. Questa cosa lo faceva impazzire.»
«Perciò è scappato e l’ha chiamata quasi tutti i giorni.»
Maria assentì.
«Dopo però per due o tre giorni non ha più chiamato. Giusto? » chiese Reacher.
«Ha perso il cellulare. Si spostava molto per restare al sicuro. Poi si è procurato un telefono nuovo.»
«Com’era al telefono nuovo?»
«Sempre spaventato, molto preoccupato. Forse anche di più.»
«E poi?»
«Ha chiamato per dirmi che aveva trovato alcune persone o che alcune persone avevano trovato lui. Lo avrebbero portato in Canada passando da un posto chiamato Despair, in Colorado. Ha detto che sarei dovuta venire qui a Hope ad aspettare la sua telefonata, poi lo avrei raggiunto in Canada.»
«Ha chiamato da Despair?»
«No.»
«Perché è andata alla Polizia militare?»
«Per sapere se lo avessero trovato e arrestato. Ero in pensiero. Loro però hanno detto di non averne mai sentito parlare. Erano dell’esercito, lui era del corpo dei Marine.»
«Perciò è tornata qui ad aspettare ancora un po’.»
Maria annuì.
«Non è andata esattamente così», spiegò Reacher. «Lui è stato arrestato a Los Angeles. I Marine l’hanno scovato. Non ha perso il cellulare. È rimasto in prigione per due o tre giorni.»
«Questo non me l’ha detto.»
«Non poteva.»
«È scappato di nuovo?»
Reacher scosse la testa. «La mia idea è che abbia fatto un patto. Il corpo dei Marine gli ha offerto una possibilità. Cinque anni a Fort Leavenworth, oppure lavorare sotto copertura per sbaragliare la rete che aiutava i fuggitivi dalla California al Canada. Nomi, indirizzi, descrizioni, tecniche, itinerari, questo genere di cose. Lui ha acconsentito, l’hanno riaccompagnato a Los Angeles e liberato. Per questo la Polizia militare non ha reagito. Hanno scoperto che cosa stava succedendo e avuto istruzioni di risponderle evasivamente.»
«Allora dov’è Raphael adesso? Perché non chiama?»
«Mio padre era un Marine. I Marine hanno un codice. Raphael glielo ha detto?»
«L’unità, il corpo, Dio, il Paese», rispose Maria.
Reacher assentì. «È una dichiarazione di fedeltà, in ordine di priorità. In primo luogo Raphael era leale alla sua unità, in realtà alla sua compagnia. A un pugno di uomini come lui.»
«Non capisco.»
«Credo abbia accettato il patto, ma non sia riuscito a portarlo a termine. Non poteva tradire uomini come lui. Penso sia arrivato a Despair, ma non abbia chiamato i Marine. Penso sia rimasto ai margini della cittadina, nascosto, perché era in preda a un conflitto. Non voleva sapere chi fosse coinvolto perché temeva che sarebbe stato costretto a tradirli. È rimasto lì per giorni in agonia. Ha cominciato ad avere fame e sete, a soffrire di allucinazioni. Ha deciso allora di raggiungere Hope a piedi per trovarla e scappare in qualche altro modo.»
«Allora dov’è?»
«Non ce l’ha fatta, Maria. A metà strada è crollato ed è morto. »
«Ma dov’è il suo corpo?»
«Se n’è occupata la gente di Despair.»
«Capisco.»
Poi, per la seconda volta in un’ora, Reacher vide piangere una donna. Vaughan la sorresse e lui aggiunse: «Era un uomo buono, Maria. Era solo un ragazzo che non ne poteva più e alla fine non ha tradito ciò in cui credeva». Ripeté queste cose più e più volte, in ordine diverso, con enfasi diversa, ma non servì.
Dopo venti minuti Maria aveva smesso di piangere e Vaughan la
ricondusse dentro. Quindi tornò da Reacher e si allontanarono
insieme. «Come hai fatto a saperlo?» gli domandò.
«Non c’è altra spiegazione razionale», rispose lui.
«Ha fatto davvero quello che hai detto? È morto dopo un’agonia, si è sacrificato?»
«I Marine sono bravi a sacrificarsi. Potrebbe d’altronde aver fatto il doppio gioco con il corpo fin dall’inizio. Forse fin dall’inizio aveva in progetto di arrivare a Hope, prendere Maria e scomparire.»
«Da Despair a Hope non ci vogliono quattro giorni di cammino. »
«No», convenne Reacher. «È vero.»
«Quindi ha fatto probabilmente la cosa giusta.»
«Spero che questa sia l’impressione di Maria.»
«Credi abbia detto loro delle persone in California?»
«Non lo so.»
«Se non l’ha fatto, tutto questo continuerà.»
«Lo dici come se fosse una cosa negativa.»
«Potrebbe sfuggire a ogni controllo.»
«Potresti fare qualche telefonata. Sono sul registro dell’hotel di Despair, nomi e indirizzi. Potresti verificare, vedere chi siano, se siano ancora in giro o se siano scomparsi, sotto custodia federale.»
«Mi spiace per quello che ho detto prima.»
«Non ti preoccupare.»
Continuarono a camminare, poi Reacher disse: «Non hai agito male quando hai fatto quello che hai fatto due notti fa. Altrimenti chiunque abbia ucciso David avrebbe ucciso anche te. Vuoi che ti facciano questo? Io no. Io voglio che tu abbia una vita».
«Mi sembra l’inizio di un discorso di addio.»
«Davvero?»
«Perché restare? Il Pentagono lava i panni sporchi in privato, il che non è un crimine. E sembra che abbiamo deciso che anche quest’altra faccenda non lo sia.»
«Ho in testa un’altra cosa», disse Reacher.