35
La Polizia militare dormiva, tranne per i due di sentinella nella guardiola. Reacher li vide mentre passava, due figure grosse nell’oscurità con la mimetica da deserto, il giubbotto antiproiettile e la fascia MP al braccio ma senza elmetto. Tenevano una lampada arancione da notte accesa, per conservare la vista notturna. Erano disposti schiena contro schiena, uno sorvegliava la via d’accesso da est, l’altro quella da ovest. Reacher rallentò e li salutò, dopodiché diede di nuovo gas e continuò.
Cinquanta chilometri più in là la grossa strada per i camion
svoltava bruscamente a destra e puntava dritta nel buio verso
l’interstatale lontana. Il vecchio tracciato su cui doveva essere
stata costruita procedeva tuttavia a curve davanti a lui, senza
cartelli e apparentemente senza meta. Reacher lo imboccò. Passò
sobbalzando dall’asfalto grezzo piano a una superficie brutta come
quella della strada di Despair: piena di gobbe, irregolare,
rivestita in economia con ghiaia mista a catrame. Lo seguì passando
in mezzo a due fattorie in rovina ed entrò in un mondo spettrale in
cui non c’era niente a destra e niente a sinistra, e niente davanti
a parte il nastro grigio serpeggiante della strada e le montagne
argentee illuminate dalla luna a enorme distanza. Per altri sei
chilometri e mezzo non accadde niente. Reacher non sembrava
avanzare affatto in mezzo al paesaggio, poi superò un cartello
solitario con su scritto STRADA 37 CONTEA DI HALFWAY. Un chilometro
e mezzo dopo vide un bagliore nell’aria. Risalì un lungo rilievo;
la strada raggiunse il culmine, dopo il quale prendeva a scendere
perdendosi a media distanza. All’improvviso si ritrovò di fronte un
reticolo ordinato di strade illuminate e di edifici chiari. Un
altro chilometro e mezzo più in là superò un cartello con su
scritto: COMUNE DI HALFWAY. Rallentò, guardò negli specchietti,
accostò al ciglio e si fermò.
La cittadina che aveva davanti aveva il nome giusto. Per un ennesimo scherzo della topografia le Rockies illuminate dalla luna sembravano di nuovo più vicine. Gli spiriti intrepidi che avevano proseguito a fatica da Despair erano stati ricompensati, a fronte di un percorso effettivo di sessantacinque chilometri, da un avanzamento lineare apparente di centocinquanta. A quel punto però dovevano essere già abbastanza avveduti e amareggiati da non lasciarsi trasportare dall’entusiasmo, perciò avevano dato alla tappa il nome sufficientemente prudente di Halfway, metà strada, sperando forse in segreto che tale modestia venisse premiata dalla scoperta di essere in realtà a più di metà cammino. Il che non era, pensò Reacher. Sessantacinque chilometri erano sessantacinque chilometri, illusioni ottiche o no. Erano solo a un quinto della strada. Ma i carri avevano lasciato Despair con a bordo soltanto gli ottimisti e la cittadina di Halfway ne rispecchiava lo spirito fondatore. Il luogo aveva un’aria viva, allegra e nel cuore della notte sembrava più animato di quanto Despair non fosse in pieno giorno. Era stato ricostruito, forse più volte. Non si vedeva niente di antico. Le strutture che Reacher distinse sembravano fatte di stucco anni Settanta e di vetro anni Ottanta, non di mattoni del diciannovesimo secolo. Nell’era dei trasporti veloci non c’era una vera ragione perché una cittadina venisse scelta al posto di una vicina per investire e costruire, fatta eccezione per determinate caratteristiche ereditarie quali l’energia e il vigore. Despair era rimasta indietro, Halfway era andata avanti e gli ottimisti avevano vinto, come talvolta meritavano.
Reacher tornò sulla strada e scese lungo il rilievo fino a entrare nella cittadina. Erano le tre e un quarto del mattino. Parecchi locali erano illuminati, ma non molti in realtà erano aperti: a prima vista, solo una stazione di servizio e un caffè. La cittadina e la contea avevano tuttavia lo stesso nome, il che per sua esperienza implicava che certi servizi erano sempre disponibili. La Polizia di contea, per esempio. Doveva avere una stazione da qualche parte, aperta tutta la notte. Ci doveva anche essere un ospedale con un pronto soccorso in funzione ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette. Per coprire la zona grigia in mezzo, alla quale la Polizia di contea era forse interessata e in cui il pronto soccorso si era invece rivelato fallimentare, c’era l’obitorio, aperto giorno e notte. Una cittadina di contea con attorno tutta una serie di comuni dipendenti doveva erogare i servizi essenziali. A Hope e a Despair, per esempio, non c’erano obitori. Neanche un frigorifero per la carne, aveva detto Vaughan, e presumibilmente le altre cittadine della zona erano nella stessa condizione. Nella vita però succedevano imprevisti e le ambulanze da qualche parte dovevano pur andare. I morti non potevano essere lasciati in strada fino al giorno lavorativo seguente. Almeno di solito era così.
Reacher evitò il centro. Gli obitori sorgevano in genere accanto agli ospedali e la sede di una contea di recente costruzione in genere aveva un ospedale nuovo, e gli ospedali nuovi in genere venivano costruiti in periferia, dove c’erano terreni liberi e poco costosi. Halfway aveva una strada che arrivava da est e una ragnatela di quattro strade che andavano a nord e a ovest. Reacher trovò l’ospedale a meno di un chilometro sulla seconda in uscita che aveva preso a caso. Era grande quanto un campus universitario, con edifici simili a chalet di montagna allungati. Aveva un’aria tranquilla e gradevole, come se malattia e morte non fossero in realtà un gran problema. Era dotato di un ampio parcheggio, vuoto tranne per un gruppetto di auto scassate posteggiate accanto all’ingresso dei dipendenti e un’unica berlina luccicante ferma in una sezione contrassegnata da cartelli con feroci ammonimenti: RISERVATO AL PERSONALE MEDICO. Dalle bocche di un edificio sul retro usciva vapore. La lavanderia, immaginò Reacher, in cui lenzuola e asciugamani venivano lavati di notte dai proprietari delle auto scassate, mentre l’uomo con la berlina luccicante cercava di mantenere in vita le persone in modo che li potessero usare il mattino dopo.
Evitò l’ingresso principale. Andava in cerca dei morti, non dei malati, e sapeva come trovarli. Nella vita aveva fatto visita a molti più obitori che reparti. Questi erano in genere ben nascosti al pubblico per una questione di sensibilità. Spesso non avevano alcun cartello o erano indicati da qualche scritta tranquillizzante come SERVIZI SPECIALI, ma erano sempre accessibili. Le ambulanze dovevano entrarvi e uscirvi senza problemi.
Trovò l’obitorio della contea di Halfway sul retro, accanto alla lavanderia ospedaliera, il che pensò fosse una soluzione intelligente. I vapori della lavanderia che si spargevano nell’aria mascheravano i fumi del camino del forno crematorio dell’obitorio. Questo era un altro edificio largo e basso, stile chalet. Aveva un recinto d’acciaio alto, un cancello scorrevole e una guardiola.
Il recinto era robusto, il cancello chiuso, e c’era un sorvegliante nella guardiola.
Reacher parcheggiò di lato, scese dal furgone e si stirò. Il sorvegliante lo osservò. Lui terminò di stirarsi, si guardò attorno come per orientarsi, quindi puntò dritto verso la guardiola. L’uomo scostò la parte inferiore della finestrella e chinò il capo, come se dovesse allineare le orecchie con l’apertura per udire bene. Era di mezza età, magro, probabilmente capace ma non ambizioso. Era una guardia privata. Indossava un’uniforme scura generica con un distintivo di plastica simile a quelli giocattolo, con su scritto SICUREZZA, nient’altro. Sembrava uno di quei tipi che fanno il doppio turno in un centro commerciale. Forse era davvero così. Probabilmente quell’uomo svolgeva due lavori per arrivare a fine mese.
Reacher chinò la testa verso la finestrella aperta e disse: «Devo verificare alcuni particolari riguardanti l’uomo che Despair ha portato qui ieri mattina».
«Gli addetti sono dentro», rispose la guardia.
Reacher annuì come se avesse ricevuto un’informazione nuova, preziosa e attese che l’uomo premesse il tasto che apriva il cancello.
Questi però non si mosse.
«Ieri mattina lei era qui?» chiese Reacher.
«Tutto quello che viene dopo mezzanotte è mattina», replicò la guardia.
«Parlo di ore diurne.»
«Allora io non c’ero. Io smonto alle sei.»
«Mi fa passare, perché possa chiedere agli addetti?» domandò Reacher.
«Anche loro smontano alle sei.»
«Là dentro avranno delle carte.»
«Non posso», disse la guardia.
«Non può cosa?»
«Non posso lasciarla passare. Solo appartenenti alle forze dell’ordine o paramedici con un nuovo arrivo», spiegò l’uomo.
«Appartengo alle forze dell’ordine. Faccio parte del Dipartimento di polizia di Despair. Dobbiamo verificare una cosa.»
«Mi servono credenziali.»
«Sono solo un ausiliario.»
«Devo vedere qualcosa.»
Reacher prese la stella di peltro dell’omone dalla tasca della camicia. La tenne rivolta in avanti stringendo lo spillo tra pollice e indice. La guardia lo esaminò con attenzione. COMUNE DI DESPAIR, AUSILIARIO DI POLIZIA.
«È tutto quello che ci danno», dichiarò Reacher.
«Per me può bastare», rispose l’uomo e premette il pulsante. Il motore si avviò, un ingranaggio si mosse e fece scorrere il cancello in una rotaia ingrassata. Non appena si fu aperto di un metro, Reacher lo varcò e si avviò in cortile attraversando una chiazza di luce giallo zolfo, diretto a una porta del personale contrassegnata dalla targa ACCETTAZIONE. Si ritrovò in una stanza identica a un milione d’altre: tavolo, computer, cumuli di carte, bacheche, poltroncine basse di legno e tweed. Tutto era abbastanza nuovo, ma già logoro. I termosifoni erano accesi, ma l’aria era fredda. C’era una porta interna, chiusa; ciononostante Reacher sentì un odore pungente di sostanze chimiche. Due poltroncine basse erano occupate da due ragazzi bianchi, magri. Avevano l’aria annoiata, un po’ insolente, il che era proprio quello che Reacher si aspettava da persone che facevano il turno di notte in una cella frigorifera piena di morti. Lo guardarono, in parte seccati dall’intrusione nel loro mondo, in parte lieti di poter spezzare la routine.
«Desidera?» chiese uno di loro.
Reacher mostrò di nuovo la stella di peltro e disse: «Devo controllare una cosa sull’uomo che abbiamo portato qui ieri».
L’addetto che aveva parlato sbirciò la stella ed esclamò: «Despair? »
Reacher annuì. «Maschio, arrivato morto, giovane, magro», spiegò.
Uno si tirò su dalla poltroncina per accasciarsi davanti al tavolo. Digitò qualcosa sulla tastiera per riattivare lo schermo del computer. L’altro si girò sulla sedia e si mise a scartabellare tra i fogli. Giunsero entrambi contemporaneamente alla stessa conclusione. Si guardarono e quello che aveva parlato in precedenza disse: «Ieri non è arrivato niente da Despair».
«Ne siete sicuri?»
«L’ha portato lei di persona?»
«No.»
«È certo che fosse arrivato morto? Forse l’hanno mandato nell’unità di terapia intensiva.»
«È arrivato morto, su questo non ci sono dubbi.»
«Be’, noi non lo abbiamo.»
«Non può essere stato commesso un errore?»
«Assolutamente no.»
«I vostri documenti sono sempre precisi?»
«Per forza. All’inizio del turno controlliamo le targhette appese ai piedi e le confrontiamo con l’elenco. È la procedura, perché la gente è suscettibile di fronte a puttanate come la scomparsa di un parente morto.»
«Comprensibile, suppongo.»
«Perciò stasera ne abbiamo cinque in lista e cinque nel freezer. Due femmine, tre maschi. Nessuno giovane e nessuno arrivato da Despair.»
«C’è qualche altro posto dove avrebbero potuto portarlo?»
«Non in questa contea e nessun’altra lo avrebbe accettato.» L’uomo premette qualche altro tasto e lo schermo si riattivò. «A oggi, l’ultimo morto di Despair ci è arrivato più di un anno fa. Un incidente nell’impianto di riciclaggio del metallo. Un tipo, da quel che ricordo, tutto maciullato da un macchinario. Non era un bello spettacolo. Era sparso qua e là tanto che abbiamo dovuto metterlo in due scomparti.»
Reacher annuì, l’uomo girò la sedia e si mise di schiena contro il tavolo con i piedi allungati e i gomiti puntati dietro di lui.
«Mi dispiace», disse.
Reacher uscì nella chiazza di luce color zolfo. La porta, dotata di meccanismo a molla, si richiuse con un risucchio alle sue spalle. Chi presuppone è un coglione. Gli idioti del corso a Fort Rucker avevano aggiunto: bisogna assolutamente verificare. Reacher riattraversò lo spiazzo di cemento, attese che il cancello si aprisse di un metro, lo varcò e salì sul furgone di Vaughan.
Lui aveva verificato.
Alla perfezione.