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Reacher superò sobbalzando il giunto d’espansione alle nove e trenta di sera e prima delle nove e trentacinque era già davanti al ristorante. Immaginò che Vaughan vi sarebbe passata un paio di volte nel corso della notte e che, se avesse lasciato il furgone accanto al marciapiede, lo avrebbe visto e si sarebbe tranquillizzata pensando che non aveva avuto guai. O quanto meno che il furgone non ne avesse avuti.
Entrò per lasciare le chiavi alla cassa e vide Lucy Anderson seduta da sola a un tavolo. Pantaloncini corti, felpa blu, calzini, sneaker. Un bel pezzo di gamba nuda. Fissava nel vuoto e sorrideva. La prima volta che l’aveva vista non l’aveva giudicata davvero bella, ora invece lo sembrava, maledettamente. Sembrava una persona diversa.
Era cambiata.
Prima era oppressa dall’ansia.
Adesso era serena.
Reacher si fermò alla cassa, lei lo notò e sorrise. Era un sorriso curioso, pregno di palese contentezza e anche di un vago senso di trionfo, di superiorità. Quasi avesse conseguito una vittoria significativa a suo danno.
Reacher lasciò le chiavi di Vaughan alla cassiera e questa gli chiese: «Cena con noi stasera?» Lui ci pensò sopra. Lo stomaco si era placato, l’adrenalina era svanita e si rese conto di aver fame. Non mangiava dalla colazione, a parte il caffè e alcune calorie vuote della bottiglia di Bud al bar. E al bar ne aveva bruciate molte, di calorie, quello era certo. Era in carenza di energia, perciò rispose: «Sì, molto volentieri».
Si allontanò e si sedette al tavolo di Lucy Anderson. Lei lo guardò e gli rivolse di nuovo lo stesso sorriso: contentezza, trionfo, superiorità, vittoria. Da vicino questo pareva molto più profondo ed ebbe anche un effetto molto più profondo. Era un sorriso davvero galattico. Lucy aveva denti splendidi e occhi luminosi, limpidi e azzurri. «Questo pomeriggio aveva l’aria da Lucy. Adesso ha l’aria da Lucky.»
«Adesso mi sento Lucky», rispose la giovane.
«Che cos’è cambiato?»
«Secondo lei?»
«Ha avuto notizie da suo marito.»
Lucy sorrise di nuovo ed era un sorriso di pura felicità.
«Certo», confermò.
«Ha lasciato Despair.»
«Certo. Adesso non lo prenderà più.»
«Non ho mai avuto intenzione di prenderlo. Non avevo mai sentito parlare di lui prima d’incontrarla.»
«Ma pensa un po’», replicò lei con quel tono esagerato e sarcastico che Reacher aveva già sentito usare ai giovani. Da quel che capiva, il messaggio implicito era: Per che razza di idiota mi prendi?
«Mi sta confondendo con qualcun altro», osservò.
«Ma pensa un po’.»
Si guardi, cosa vede?
«Non sono un poliziotto», ribadì lui. «Un tempo lo ero e forse a lei lo sembro ancora, ma non lo sono più.»
Lucy non rispose, ma Reacher sapeva che non era convinta. «Suo marito deve essere partito nel tardo pomeriggio di oggi. Alle tre era lì e prima delle sette non c’era più.»
«È tornato laggiù?»
«Oggi ci sono stato due volte.»
«Il che dimostra che lo stava cercando.»
«Immagino di sì, ma soltanto per conto suo.»
«Ma pensa un po’.»
«Che cos’ha fatto?»
«Lo sa già.»
«Se lo sapessi già, non ci sarebbero problemi a dirmelo, giusto? »
«Non sono stupida. La mia posizione è che non so niente di quello che ha fatto, altrimenti mi dichiarerebbe sua complice. Noi abbiamo avvocati, sa.»
«Noi?»
«La gente nella nostra posizione.»
«Non sono un poliziotto, Lucky, solo uno sconosciuto di passaggio. Non so niente di niente.»
Lei sorrise ancora. Felicità, trionfo, vittoria.
«Dov’è andato?» domandò Reacher.
«Come se glielo dicessi.»
«Quando vi rivedrete, ovunque lui si trovi?»
«Tra un paio di giorni.»
«Potrei seguirla.»
Lei sorrise di nuovo, incrollabile. «Non arriverebbe a niente.»
Sopraggiunse la cameriera. Reacher chiese un caffè e una bistecca. Quando si fu allontanata, guardò Lucy Anderson e disse: «Ci sono altri nella posizione in cui lei si trovava ieri. In questo momento c’è una ragazza che sta aspettando qui in città».
«Spero ce ne siano tanti.»
«Penso che forse stia aspettando invano. So che qualche giorno fa è morto un ragazzo laggiù.»
Lucy Anderson scosse la testa.
«Non è possibile», disse. «So che nessuno di noi è morto. Lo avrei sentito.»
«Di noi?»
«La gente nella nostra posizione.»
«Qualcuno è morto.»
«C’è sempre qualcuno che muore.»
«Persone giovani? Senza ragioni evidenti?»
A quella frase non rispose e Reacher capì che non lo avrebbe mai fatto. La cameriera portò il caffè e lui ne bevve un sorso. Era buono, ma non quanto quello della signora Gardner, dal punto di vista sia della miscela sia del recipiente. Posò la tazza, guardò di nuovo la ragazza e disse: «A ogni modo, Lucy, io non le auguro che buona fortuna, qualsiasi diavolo di cosa stia facendo e in qualsiasi diavolo di posto sia diretta».
«Come? Niente più domande?»
«Sono qui unicamente per mangiare.»
Mangiò solo perché Lucy Anderson se ne andò prima che arrivasse la
bistecca. La ragazza rimase seduta in silenzio per un attimo, poi
sorrise di nuovo, si alzò e si allontanò o, per maggior precisione,
saltellò via leggera, felice. Uscì dalla porta e, invece di
stringersi nella felpa per ripararsi dal freddo, raddrizzò le
spalle, alzò il viso al cielo e ignorò l’aria notturna come se si
trovasse in un bosco incantato. Reacher la osservò finché
scomparve, quindi rimase a fissare nel vuoto fino all’arrivo del
cibo.
Alle dieci e trenta tornò al motel. Passò dall’ufficio per pagare
un’altra notte. Affittava sempre le stanze una notte alla volta,
anche quando sapeva che si sarebbe fermato di più. Era un’abitudine
rassicurante, un rito mirato a confermare la sua totale libertà di
movimento. L’impiegata di giorno era ancora di servizio, la donna
grassa, ficcanaso. Reacher mise insieme una serie di banconote di
piccolo taglio, attese il resto e disse: «Mi ripeta quello che mi
stava raccontando sull’impianto di riciclaggio del metallo».
«Cosa le stavo raccontando?»
«Di reati ambientali, di crimini veri. Le interessava sapere perché l’aereo partisse ogni sera.»
«Allora lei è un poliziotto», osservò la donna.
«Lo ero, forse conservo ancora le vecchie abitudini.»
L’impiegata scrollò le spalle e assunse un’aria un po’ imbarazzata; forse arrossì anche lievemente.
«Sono solo sciocchezze da dilettante», spiegò.
«Da dilettante?»
«Sono una day trader e gioco un po’ in borsa. Faccio ricerche sulle aziende al computer. Pensavo a quella ditta.»
«A che proposito?»
«Sembra fare troppi soldi, ma io che ne so? Non sono un’esperta né una broker o che.»
«Si spieghi meglio.»
«I vari settori del mondo degli affari hanno alti e bassi. Seguono cicli influenzati dal prezzo delle merci, dalla domanda e dall’offerta, dalle condizioni di mercato. In questo momento il riciclaggio del metallo si trova complessivamente in una fase calante, invece quel posto fa soldi.»
«Come lo sa?»
«Le assunzioni sembrano in aumento.»
«È un fatto piuttosto vago.»
«È una società privata, ma deve pur sempre documentare tutto, a livello federale e statale. Ho guardato le cifre per passare il tempo.»
E perché sei una vicina ficcanaso, pensò Reacher.
«E…?» domandò.
«Dichiara grandi profitti. Se fosse una società pubblica, ne comprerei le azioni, alla grande. Se avessi soldi, voglio dire. Se non fossi l’impiegata di un motel.»
«D’accordo.»
«Non è una società pubblica. È privata, perciò probabilmente fa più soldi di quelli che dichiara.»
«Quindi secondo lei prendono qualche scorciatoia? Compiono reati ambientali?»
«Non mi stupirebbe.»
«Farebbe molta differenza? Pensavo che oggi le regole fossero piuttosto lasse.»
«Forse.»
«Che mi dice dell’aereo?»
La donna distolse lo sguardo. «È solo un’idea sciocca.»
«Me la dica.»
«Be’, pensavo solo che, se l’attività di base non giustifica i profitti e se non si tratta di violazioni, allora potrebbe esserci qualcos’altro in ballo.»
«Come per esempio?»
«Forse quell’aereo porta qui cose ogni sera. Cose da vendere, come in una specie di contrabbando.»
«Che genere di cose?»
«Cose che non sono metallo.»
«Da dove?»
«Non lo so.»
Reacher non disse nulla.
«Vede? Che ne so io? Ho troppo tempo libero, questo è il punto. Fin troppo. E una connessione a banda larga. Questo può davvero farti partire il cervello.»
Si affrettò ad annotare qualcosa in un libro e Reacher si mise il resto in tasca. Prima di andarsene, guardò la fila di ganci alle spalle dell’impiegata e vide che mancavano quattro chiavi. Di conseguenza, quattro stanze erano occupate: la sua, quella di Lucy Anderson, una dalla donna con la biancheria grande una, immaginò, dalla nuova ragazza arrivata in città. La ragazza scura, che non aveva ancora incontrato, ma che forse avrebbe visto a breve. Immaginò che si sarebbe fermata più a lungo di Lucy Anderson e sospettava che alla fine del soggiorno non se ne sarebbe andata saltellando con il sorriso sul volto.
Tornò in camera e si fece una doccia, ma era troppo agitato per
dormire perciò, non appena si fu tolto di dosso il puzzo della
rissa da bar, si rivestì e uscì di nuovo a camminare. Per capriccio
si fermò in una cabina telefonica sotto un lampione, prese l’elenco
e cercò David Robert Vaughan. Era proprio lì, nel volume: Vaughan,
D.R., abitava sulla Fifth Street a Hope, nel Colorado.
Due isolati più a sud.
Aveva visto la Fourth Street. Forse, avrebbe dovuto dare un’occhiata anche alla Fifth, così per pura curiosità.