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Il ristorante di Hope adottava la politica della «tazza senza fondo» per quanto riguardava il caffè e Reacher ne abusò senza pietà. La cameriera restò affascinata dalla scena. Non c’era bisogno che le chiedesse di riempirgli la tazza: tornava appena lui era pronto, talora ancor prima, quasi volesse che Reacher stabilisse il record mondiale di consumo di caffè. Lui le lasciò doppia mancia in caso il proprietario l’avesse multata per la sua generosità.
Era buio pesto quando uscì dal ristorante. Le nove di sera. Immaginò sarebbe stato così per altre dieci ore. A quella latitudine e in quel periodo dell’anno il sole sarebbe sorto probabilmente verso le sette. Percorse i tre isolati fino al punto in cui aveva visto una piccola drogheria. In una grande città sarebbe stata una bodega, nelle periferie un negozio in franchising, ma a Hope era ancora quella di sempre, un’attività a gestione familiare in un locale angusto e polveroso che vendeva generi di necessità alla gente quando questa ne aveva bisogno.
Reacher aveva bisogno di acqua, di proteine e di energia. Comprò tre bottiglie da un litro di acqua minerale, sei barrette energetiche al cioccolato e un rotolo di sacchi neri da cinquanta litri per le immondizie. Il commesso alla cassa mise tutto in un sacchetto di carta, Reacher prese il resto e portò il sacchetto per quattro isolati fino al motel che aveva usato la notte prima. Ebbe la stessa stanza in fondo alla fila. Entrò, posò il sacchetto sul comodino e si stese a letto. Aveva in programma un breve riposo, sino a mezzanotte. Non voleva percorrere ventisette chilometri due volte nello stesso giorno.
Reacher si alzò a mezzanotte e guardò dalla finestra. La luna non
c’era più. C’erano fitte nubi e qualche chiazza lontana di luce
stellare. Mise gli acquisti in un sacco nero per le immondizie e se
lo gettò in spalla. Lasciò il motel, risalì la First Street
nell’oscurità e svoltò a ovest. Non c’era traffico. Niente pedoni e
solo poche finestre illuminate. Era nel cuore della notte in mezzo
al nulla. Il marciapiede terminava sei metri dopo il negozio di
ferramenta. Scese sull’asfalto e continuò a camminare a passo di
marcia, a poco più di sei chilometri all’ora. Su quella superficie
liscia e piana non era un problema. Prese il ritmo, tanto che ebbe
la sensazione di poter continuare per sempre senza mai
fermarsi.
Invece si fermò. Si fermò otto chilometri più in là, a un centinaio di metri dal confine tra Hope e Despair perché percepì una sagoma davanti a lui nello spazio nero. Un buco nel buio. Un’auto, parcheggiata sul ciglio. Perlopiù nera con qualche tratto bianco.
Un’auto della polizia.
Vaughan.
Il nome prese forma nella sua mente e nello stesso preciso momento le luci della macchina si accesero. Fasci alti, molto intensi. Lo avevano inchiodato lì. La sua ombra si stagliò alle sue spalle, infinitamente lunga. Reacher si protesse gli occhi con la sinistra perché teneva il sacco con la destra. Restò immobile. Le luci rimasero accese. Reacher abbandonò la strada e girò verso nord attraverso la sabbia crostosa. Le luci si spensero e il faro sul montante del parabrezza prese a seguirlo. Non lo avrebbe mollato, perciò lui cambiò direzione e puntò dritto verso di esso.
Mentre si avvicinava, Vaughan lo spense e abbassò il finestrino. Era parcheggiata verso est con due ruote nella sabbia e il paraurti posteriore esattamente all’altezza del giunto di espansione sulla strada. Nella sua giurisdizione, ma solo per un soffio. «Sapevo che l’avrei rivista qui.»
Reacher la guardò e non disse nulla.
«Che cosa fa?»
«Una passeggiata.»
«E basta?»
«Non c’è una legge che lo proibisca.»
«Non qui», rispose lei, «ma se fa altri tre passi sì.»
«Non è una vostra legge.»
«Lei è un uomo ostinato.»
Reacher annuì. «Volevo vedere Despair e la vedrò.»
«Non è un gran posto.»
«Ne sono convinto, ma quando si tratta di questioni del genere amo farmi un’idea personale.»
«Fanno sul serio, sa. Passerà trenta giorni in carcere, oppure le spareranno.»
«Se mi troveranno.»
«La troveranno. Io l’ho trovata.»
«Da lei non mi stavo nascondendo.»
«Ha ferito un ausiliario laggiù?»
«Perché me lo chiede?»
«Riflettevo sulla domanda che mi ha fatto.»
«Non so con sicurezza chi sia.»
«Non mi piace che si feriscano gli ausiliari.»
«Quell’ausiliario non le sarebbe piaciuto, sempre che lo fosse. »
«Le daranno la caccia.»
«Quanto è grande il loro Dipartimento?»
«Più piccolo del nostro. Due auto, due uomini credo.»
«Non mi troveranno.»
«Perché ci vuol tornare?»
«Perché mi hanno detto di non farlo.»
«Ne vale la pena?»
«Lei che farebbe?»
«Io sono un essere vivente basato sugli estrogeni, non sul testosterone. E ormai sono cresciuta. Ingoierei e andrei avanti, oppure resterei a Hope. È un bel posto.»
«Ci vediamo domani», disse Reacher.
«No. Verrò a prenderla proprio qui tra un mese o leggerò di lei sul giornale: picchiato e ucciso da un colpo d’arma da fuoco mentre resisteva all’arresto.»
«Domani», ripeté Reacher. «La invito a cena sul tardi.»
Si mosse. Fece un passo, due, tre e superò il confine.