21
Sesan nacque di mercoledì. Ero al lavoro quando si ruppero le acque, e fu Iya Bolu a portarmi all’ospedale. Suo marito si era appena comprato la seconda macchina usata e lei, ereditata finalmente la vecchia Mazda, stava ancora imparando a guidare. La sua esperienza fino allora si era limitata al tragitto dal salone a casa e ritorno, ma lei si rifiutava di mettere il cartello dei principianti accanto alla targa o in qualsiasi altra parte della macchina. Mi sedetti davanti e tra una contrazione e l’altra cercai di darle qualche dritta. Avrei potuto prendere un taxi, invece lasciai che all’ospedale mi accompagnasse lei. Forse perché, in fondo in fondo, credevo di meritare una punizione per quello che era successo a mia figlia.
Alla cerimonia del nome per Sesan c’erano pochissime persone. Fu una riunione intima, che si svolse nel salotto di casa nostra. Gli ospiti si sedettero sulle sedie che ci eravamo fatti prestare dai vicini, mangiarono riso jollof e un’ora dopo la cerimonia se ne tornarono a casa. Moomi non venne nemmeno: anche sua figlia Arinola, che adesso abitava a Enugu, aveva avuto un bambino nello stesso periodo e Moomi era andata da lei circa una settimana prima che nascesse Sesan. Nessuno venne da Lagos o da Ife. Niente musica dal vivo né tendone di tela cerata, né microfono, né DJ. Nessuno ballò.
Il secondo nome di Sesan era Ige, perché si era presentato al mondo con i piedi. Erano ottimi piedi; nessuno, dopo poche settimane, avrebbe potuto dubitare che i piedi di mio figlio fossero i migliori possibili. Come tutti quelli dotati di buoni piedi, il suo arrivo nella nostra famiglia fu seguito da ogni genere di circostanze favorevoli per noi. Per esempio, Akin comprò quattro lotti di terreno alla metà del valore di mercato, perché il proprietario stava affogando nei debiti ed era stato costretto a svendere tutto. Non era una bella cosa per quel poveraccio, ma come succede spesso nella vita, la fortuna di uno è la diretta conseguenza della rovina di un altro.
Ero molto vigile con Sesan. Secondo Akin stavo diventando paranoica. Mi avvertì che mio figlio da grande non sarebbe riuscito a sposarsi perché mi sarebbe stato troppo attaccato. E io mi chiedevo come accidenti poteva essermi troppo attaccato, se la sua vita dipendeva dal fatto di attaccare la bocca al mio seno. Per come la vedevo io, il rischio è che un bambino non si attacchi abbastanza o non si attacchi affatto. Io ero dispostissima a legargli il polso ai lacci del mio grembiule e a trascinarmelo appresso per tutta la vita.
Sesan era un bimbo tranquillo. Piangeva solo quando doveva mangiare e persino in quel caso i suoi vagiti erano interrotti da pause educate. A volte andavo a controllarlo, nel cuore della notte, e lo trovavo sveglio nel lettino, che ridacchiava guardandosi le mani e le gambe che scalciavano in aria, godendosi la propria compagnia senza pretendere l’attenzione di nessuno.
Comprammo una casa in Imo Street, non lontano dal complesso in cui vivevamo. Al momento dell’acquisto era senza recinzione, ma prima di traslocare la facemmo costruire. Un muro più alto del tetto, con i rotoli di filo spinato in cima. Le rapine a mano armata erano diventate abituali in tutto il paese, e ovunque in città spuntavano muri di cinta, a volte più alti di quelli che circondavano le prigioni. Ormai quasi tutti i quartieri pagavano almeno una guardia armata che pattugliasse le strade di notte, e ogni tanto le guardie sparavano qualche colpo per rassicurare i residenti. I ladri si introducevano nelle case durante il giorno e portavano via tutto quello che potevano prima che tornassero le loro vittime. Cominciai a lasciare la radio accesa quando uscivamo, per dare ai ladri potenziali l’impressione che in casa ci fosse qualcuno. Mi accorsi che quasi tutti facevano la stessa cosa, e che in molte case il brusio delle radio proseguiva ininterrotto finché non finivano le trasmissioni.
La nostra nuova casa puzzava ancora di vernice fresca, quando il mio salone passò da cinque postazioni a dieci. Poco dopo io e Akin, unendo i nostri risparmi, comprammo anche la palazzina a due piani in cui si trovava il negozio. Ma per quanto Sesan ci avesse portato tanta fortuna, era a Olamide che pensavo la notte nell’addormentarmi. E quando mi svegliavo la mattina, prima di aprire gli occhi, la rivedevo – era viva, e mi guardava negli occhi mentre succhiava, come se mi conoscesse da sempre.