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Yejide mi disse che era incinta una domenica. Mi svegliò alle sette di mattina per dirmi che il giorno prima c’era stato il miracolo e nientemeno sulla montagna. Un miracolo sulla montagna.

Le chiesi per favore di spegnere la lampada sul comodino. La luce di mattina mi faceva male agli occhi.

All’epoca aveva ancora un po’ di senso dell’umorismo. Una volta ogni tanto si poteva pure scherzare con lei. Pensai che stesse architettando qualcosa di buffo ma forse esageravo nel credere che potesse scherzare su quell’argomento.

Quando spense la luce mi sedetti sul letto. Aspettavo la battuta, per potermi riallungare sotto le coperte, ma lei si limitava a stare lì accanto al letto sorridendo. Io non mi divertivo. Stava violando la mia politica domenicale, in cui praticavo la più stretta osservanza del riposo settimanale e non aprivo mai gli occhi prima di mezzogiorno. Come sapeva benissimo.

“Ti porto il caffè.” Scostò le tende, facendo entrare una lama di luce.

Mi alzai quando uscì dalla stanza. Andai in bagno, aprii l’acqua fredda e ci misi sotto la testa per qualche minuto. Poi tornai in stanza senza l’asciugamano, lasciando che l’acqua scorresse sul petto e sulla schiena, e che mi bagnasse un po’ i boxer in cintura.

Lei era tornata in camera quando ci rientrai. Era seduta sul letto a caviglie incrociate. Mi accorsi allora che non era in camicia da notte. Aveva i calzoncini e una T-shirt blu. Sembrava fosse già sveglia da un pezzo.

Accanto a lei c’era un vassoio con sopra piatti di yam fritto, una scodella di pesce in umido e due tazze di caffè. La stessa donna che protestava per settimane se mangiavo un panino a letto aveva portato una scodella di stufato in camera. È lì che avrei dovuto capire che qualcosa non andava.

Mi sedetti sul letto e presi un sorso di caffè. “Quando ti sei svegliata?”

“Akin, penso che sia femmina.”

Niente mi aveva preparato a Yejide convinta di essere rimasta incinta su una montagna. Non sapevo che dirle. Feci colazione e la guardai bene. Ascoltai quello che diceva. E non avevo ancora finito l’ultimo yam fritto quando capii che non pensava di essere rimasta incinta su quel cavolo di montagna. Ne era assolutamente certa.

Misi il vassoio sul tavolino accanto al letto, e la tirai più vicino a me. “Senti” le dissi. “Hai bisogno di riposo. Dormi un altro po’.”

“Non mi credi.”

“Non ho detto questo.”

Si divincolò e sgusciò via dal mio abbraccio. “Non hai neanche detto che mi credi, non hai fatto altro che mangiare. Non sei nemmeno eccitato o felice. Non ti sei congratulato con me, eppure il caffè l’hai già bevuto, quindi non è questo.”

Voleva che mi congratulassi con lei per essere rimasta incinta su una montagna.

“Akin?” Mi afferrò la mano e mi affondò le unghie nel palmo. “Mi credi, Akin? Dimmelo, mi credi?”

“Cose come queste non succedono. La devi smettere di andare in posti come quelli con Moomi. Te l’avevo già detto. Sono tutti bugiardi e truffatori.”

Mi lasciò la mano. “Tua madre non è venuta con me.”

“Come? Adesso vai da quegli imbroglioni da sola?”

“Bisogna credere.” Aggrottò la fronte e scosse la testa. “Qualche volta mi dispiace per te.”

“Che cosa?”

“Non credi a niente, tu.”

“Ma di che stiamo parlando? Che non credo che un uomo con una veste verde ha agitato una bacchetta magica e tu sei rimasta incinta?”

Sospirò. “Non aveva una bacchetta magica. Io avevo... Ma lasciamo perdere, tanto penseresti solo che è tutta una follia.”

“Già lo penso. Che cosa portavi? Oddio, non posso credere alle cose che stiamo dicendo.”

“Non fa niente.” Sorrise e si mise una mano sulla pancia. “Sai una cosa? Appena posso vado a farmi le analisi in ospedale così poi mi crederai anche tu, se ti dico che sulla montagna è successo qualcosa di speciale. Davvero credo di essere incinta.”

“Mio Dio.” Mi sembrava di parlare a una sconosciuta. “Yejide, lascia che ti dica una cosa: non sei rimasta incinta sulla montagna. Se non eri incinta quando sei andata su non lo eri nemmeno quando sei scesa giù.” Le misi una mano sul ginocchio. “Mi capisci?”

“Akin, tra nove mesi capirai che non sono imbroglioni.” Mi sollevò il mento e mi baciò sul naso. “Vedrai. Adesso parliamo d’altro.”

Il bacio sul naso fu la rivelazione. Mi aprì gli occhi sul fatto che dovevo fare qualcosa prima che perdesse la ragione. A un certo punto quella domenica mattina mi resi conto che bisognava che restasse incinta. E farla finita con la scemenza di andare da preti e profeti. Ma dovevo aspettare che lei fosse pronta.

“Forse vado a Lagos, il prossimo weekend” dissi.

“E che vai a fare a Lagos?”

“Devo vedere Dotun per certi investimenti.”

“Dotun per investimenti? Attento a tuo fratello: a volte penso che porta solo guai.”

Sbagliava sulla sua gravidanza, ma su Dotun aveva ragione.