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“Signor Ajayi. Lei è il signor Ajayi, vero? Ok, bene” disse il dottore. “Sta rispondendo ai farmaci, adesso. Dovreste poterlo vedere nel giro di un’oretta. Le farò sapere appena possibile. Adesso scusatemi, per favore.”

Tornai nel corridoio dov’ero stato seduto su una panca con Yejide, che ora camminava avanti e indietro con le mani intrecciate attorno al pancione.

Oya, vieni a sederti. Non c’è problema.” Le misi una mano sulle spalle, per guidarla verso una panca. “Ho parlato con uno dei medici di Sesan, mentre tornavo dal bagno. Dice che risponde ai farmaci. Dovremmo poterlo vedere presto. Quindi rilassati, ok?”

“Dio ti ringrazio” sospirò lei, accasciandosi contro di me. “La creatura ha scalciato di nuovo, mentre non c’eri.”

Misi le mani sul suo ventre.

Lei ridacchiò. “Mi dispiace, ormai ha smesso.”

“Non è giusto.” Mi accostai a lei per fare posto, e far sedere un vecchio. “Vuoi andare a casa a fare colazione? Aspetto io, qui.”

Lai lai. Mai e poi mai, non vado da nessuna parte senza mio figlio.”

“Starà bene, non ti preoccupare. Hai bisogno di mangiare, Yejide.” Mi alzai. “Ti vado a prendere qualcosa dagli ambulanti davanti all’uscita. Cosa vuoi?”

“Magari un po’ di pane.”

“Torno tra un minuto.”

Io e Yejide ci eravamo svegliati in piena notte, con Sesan che si contorceva per il dolore. Eravamo arrivati all’ospedale poco prima delle tre. Adesso, mentre mi avviavo fuori dall’uscita pedonale, il sole cominciava ad affacciarsi. I banchetti di legno accalcati vicino all’ingresso erano ancora quasi tutti vuoti, e dovetti avviarmi verso Ijofi Street prima di trovare una donna con due pagnotte fresche da vendermi. Quando il medico che avevo visto prima venne verso di noi, Yejide stava ancora mangiando; ci alzammo, e lui si avvicinò.

“Prego, venga con me. Vorrei parlarle un momento” mi disse.

Yejide lasciò cadere il pane sulla panca, e ci avviammo lungo il corridoio insieme al dottore.

Il medico si fermò, guardando la pancia di Yejide. “No, no. Intendevo solo tuo marito, Ma. Ti prego, torna a sedere, devo parlare solo con lui. Da solo.”

“Solo con lui, ke? Non c’è bisogno di me?” chiese Yejide.

“No, signora. Devo solo fare a suo marito alcune domande. Tornerà subito da lei.”

Tornò verso la panca trascinando i piedi, mentre io e il medico proseguivamo lungo il reparto. Mi sembra ancora di sentire il rumore dei suoi passi quando io e il dottore ci fermammo, in fondo al corridoio.

“Signor Ajayi, come faccio a dirglielo?” Fissò il pavimento per quello che dev’essere stato almeno un minuto. Quando alzò gli occhi, erano rossi. “È il mio primo turno in pediatria. Mi sono laureato appena l’anno scorso. Non sono specializzando in pediatria. La mia responsabile, il medico di guardia, c’era anche lei mentre lottavamo per la vita di Sesan. Ma è andata di nuovo in bagno. Dottoressa Bulus, così si chiama, credo che abbia la diarrea. Forse dovremmo aspettare lei. Mi dispiace così tanto.”

“Cosa sta dicendo?”

Si strofinò gli occhi con il dorso della mano e sospirò. “Lo abbiamo perso. Mi dispiace tanto, lo abbiamo perso.”

Ancora oggi penso a come disse che lo avevano perso, quasi che ci fosse ancora qualche possibilità di ritrovarlo, di scovarlo nascosto in qualche armadietto dell’archivio.

Tornai da Yejide. “Sta migliorando” le dissi.

“Quando possiamo vederlo?”

“Per adesso no. Stanno... vogliono tenerlo in osservazione ancora un paio d’ore, prima di farcelo vedere.”

Lei aggrottò la fronte. “Due ore? E perché quello voleva parlare con te da solo?”

“Ce l’hai dell’ewedu, a casa?”

Ewedu?” Si grattò la testa. “Sì. Perché?”

“Vuole che gli portiamo della minestra di ewedu, così che... perché quando... è nutriente, e pensa che possa fargli bene. Oya, andiamo a casa.”

“A far che?”

“Yejide, per l’ewedu. Tanto comunque per altre due ore non ce lo fanno vedere. Forza, sbrighiamoci, così quando ci lasceranno entrare la cena sarà pronta.”

Lei strinse le labbra. Nel parcheggio, continuava a guardare verso il reparto in cui avevano ricoverato Sesan.

Lungo la strada pensai al modo migliore di dirle che nostro figlio era morto. Prima ancora di uscire dall’ospedale già sapevo che sarebbe stata la cosa più difficile che avevo fatto in vita mia.

Quando parcheggiai davanti a casa, Yejide mi mise una mano sul ginocchio. “Non hai detto una parola, da quando siamo usciti dall’ospedale. Cosa c’è che non va? Cos’ha detto il medico?”

Dev’essere stato qualcosa nei miei occhi, nel modo in cui l’avevo guardata mentre cercavo di inventarmi una storia plausibile.

“È Sesan, abi? Quella faccenda dell’ewedu è una bugia – volevi solo farmi venire via dall’ospedale. Cosa è successo?” Mi artigliò il ginocchio. “Abi, mio figlio è morto?”

Non potevo mentirle e non potevo dirle la verità, non avevo la forza di dire una parola. La fissai e basta.

“Akin? Sesan è morto. Abi?

Non riuscii nemmeno ad annuire. Ero debole ed esausto. Non cercai neanche di abbracciarla quando lei appoggiò la fronte al cruscotto e si mise a piangere.

* * *

Il giorno dopo Moomi venne a chiedere il permesso. Porse rapidamente le sue condoglianze e si sedette sul nostro letto, accanto a Yejide. “Solo pochi segni sul corpo” disse, aggiungendo sottovoce, “e qualche frustatina.”

“Moomi, ho detto di no, non serve.” Non riuscivo a credere a quello che diceva, ero a tanto così dal cacciarla da casa mia.

“La prossima volta vogliamo essere sicuri, lo sapremo per certo quando Yejide avrà un altro bambino.”

“Ho detto di no. Ma non mi senti?” Conoscevo la tradizione. Non c’era bisogno che me la spiegasse. Si frusta il corpo dell’abiku cosicché, la prossima volta che rinasce, i segni sul neonato diranno che il bambino morto è tornato a tormentare sua madre. Non volevo che mio figlio subisse delle cicatrici rituali, perché non credevo che fosse uno spirito-bambino cattivo. Non avevo mai creduto negli abiku.

Abiku. Abiku. L’ho detto e ripetuto fino a farmi sanguinare la bocca. Ma come hai detto tu, che cosa può saperne una vecchia? Tu sei un uomo, Akin. Solo un uomo. E tu che cosa ne sai? Dimmi. Sei mai stato incinto? Hai mai attaccato un bambino al seno per poi guardarlo morire? L’unica cosa che sai è il tuo stupido inglese. Cosa ne sai? Yejide, parla con me, o jare. È del tuo permesso che ho bisogno. Possono farlo? Solo qualche segno, in modo che possiamo saperlo per certo?”

“Sì” disse Yejide, coprendosi con un panno.

“Yejide? Che cretinata, non puoi lasciarglielo fare.”

“Per favore, vorrei dormire” disse lei. “Andate via, tutti quanti. Per favore, andate via.”