Sessanta
L’ascensore della clinica privata è diverso da quelli, claustrofobici, degli ospedali pubblici. Niente rigature di chiave sulle pareti di lamiera opaca, niente disegni osceni e numeri di cellulare che promettono focosi incontri a carattere sessuale. Un sobrio rivestimento in pannelli di legno lucido e uno specchio immacolato, nel quale Marco Tanzi si osserva perplesso, cercando di sistemare il nodo della cravatta.
Erano molti anni che non ne portava una, dai tempi del processo. Questa gliel’ha prestata Luca, dopo aver insistito a lungo affinché si decidesse a seguire i suoi consigli sull’abbigliamento da indossare per l’occasione. Jeans, camicia bianca con cravatta bordeaux e giacca blu sono stati la scelta finale. A Marco sono ricresciuti un po’ i capelli e li ha pettinati con una specie di riga laterale. L’uomo riflesso nello specchio è uno sconosciuto che non somiglia nemmeno lontanamente al Marco Tanzi degli ultimi dieci anni. E forse nemmeno al poliziotto e padre di famiglia che era stato in un’altra vita.
“Ti vuoi dare una calmata?” gli dice Luca afferrandogli un braccio. “Andrà tutto bene, vedrai!”
“Non lo so. Forse ho sbagliato a venire. Forse è meglio andare via, rimandare a un altro momento…”
“Te lo scordi! Stavolta si va fino in fondo. E tienili bene quei fiori, altrimenti sembreranno rubati da una tomba al cimitero!”
Lungo il corridoio del lussuoso reparto sono sistemati dei salottini per i parenti dei degenti. Marco e Luca vedono le due donne da lontano ed entrambi provano una stretta al cuore, anche se per motivi molto diversi.
Flavia De Grandis sta parlando con Elisa, la moglie di Luca. “Ex moglie”, visto che la scorsa settimana hanno firmato un accordo di separazione alla presenza dei rispettivi avvocati e che presto verranno convocati dal giudice per ufficializzare la fine del loro matrimonio.
Le donne si tengono per mano, sembrano commosse. È come se si stessero riconciliando per lasciarsi alle spalle tutte le cose brutte del passato, perdonandosi a vicenda, nella speranza di un nuovo inizio che possa portare serenità a entrambe.
Nella loro apparente ritrovata confidenza, Luca avverte quella particolare forma di solidarietà che riesce a emergere nei momenti più difficili della vita e ha il potere di rigenerare l’anima da tutte le cattiverie subite o dagli errori commessi. È una sorta di colpo di spugna, una prerogativa tutta femminile che per i maschi, relegati al ruolo di elementi distruttori, rimane un mistero. E a Luca appare chiaro, in quel momento, che nelle vite di Elisa e Flavia, d’ora in poi, non ci sarà più posto né per lui né per Marco.
Vedendoli arrivare con passo incerto lungo il corridoio, le due donne si alzano. È Flavia a farsi avanti. Tende la mano a Luca che gliela stringe. “Mi fa piacere vederti.”
La donna si volta verso l’ex marito. Sembra essersi preparata a lungo per questo momento, è come se stesse recitando una parte scritta da altri e provata più volte. “Ciao, Marco,” gli dice senza dargli la mano, “voglio dirti che ti sono molto grata per tutto quello che hai fatto. Luca e Sandonato mi hanno raccontato. Se non fosse stato per te, Giulia ora non sarebbe qui. Non lo dimenticherò mai.”
Marco la guarda e si accorge di avere di fronte una perfetta estranea. Quelle parole sanciscono, ancora di più, la sua definitiva esclusione dalla vita della donna che un tempo aveva amato.
“Prego,” dice. “È anche mia figlia”, vorrebbe aggiungere, ma non lo fa. Non è certo di averne il diritto, dopo essere stato assente dalla vita di Giulia per oltre dieci anni.
Elisa, che nel frattempo è rimasta in disparte, saluta entrambi molto freddamente. Tra i quattro si crea un’atmosfera pesante, nessuno sa cosa dire e tutti vorrebbero sottrarsi alla forzata formalità di quell’incontro. Una porta nel corridoio si apre e ne esce Sara Betti, togliendo tutti dall’imbarazzo. “Papà!” esclama la ragazza saltando al collo di Luca che la abbraccia riconciliandosi, per un momento, con la vita.
“Marco!” Sara si stacca dal padre e abbraccia anche Tanzi che, un po’ a disagio, la bacia sulle guance. “Ciao, Sara. Sei diventata grande. Sei bellissima…”
“Grazie! Credo che lì dentro ci sia qualcuno che ti sta aspettando.”
Marco Tanzi si volta verso Flavia, che annuisce con espressione neutra. Luca gli dà una pacca d’incoraggiamento sulla spalla.
“Fai con comodo. Io sono qui.”
Tutti seguono con lo sguardo Marco che entra nella stanza, fino a quando la porta non si richiude alle sue spalle.
“Bene,” dice Elisa, “Flavia, noi andiamo, si è fatto tardi.”
“Sì, certo. Grazie di tutto, Elisa. E ricorda che mi hai fatto una promessa.”
“Non ti preoccupare, ti chiamo in settimana. E grazie a te.”
Le due donne si abbracciano. Anche Sara si congeda baciando di nuovo Luca sulla guancia e abbracciando Flavia. Ora lui e la madre di Giulia Tanzi sono rimasti soli.
“Sei stata gentile ad acconsentire che si vedessero,” dice Luca.
“Le ha salvato la vita, non potevo certo impedirglielo. E poi è stata Giulia a decidere, è maggiorenne e ormai può fare ciò che vuole. Ne ha parlato a lungo con la sua terapeuta e insieme sono giunte alla conclusione che fosse arrivato il momento,” risponde secca Flavia. “Piuttosto, novità sulle indagini?”
“I nostri amici di Roma, i carabinieri, pare siano riusciti a mischiare le carte, a far avvalorare la tesi della guerra fra bande. La versione ufficiale sarà che le ragazze erano state rapite per essere immesse nel circuito della prostituzione internazionale, quello comunemente indicato come tratta delle bianche. Per fortuna sono state tutte drogate e ricordano poco o niente di quello che hanno subìto… a proposito, Giulia come sta?”
“Difficile dirlo. Fisicamente si è ripresa, sono passati due mesi, ma non ho idea di quanto tempo le ci vorrà per superare una cosa così. Per carità, siamo nel posto giusto, è la struttura migliore d’Italia per traumi di questo genere. La stanno aiutando, insomma, ci stanno provando. Spero che l’incontro con Marco non crei altri problemi…”
Luca capisce che Flavia vorrebbe chiedergli qualcosa, ma è frenata dall’orgoglio. Allora è lui a parlarle, per toglierla dalla difficoltà. “Sai, Marco sta cercando di rimettersi in sesto. Ha accettato la proposta di Sandonato di collaborare con lui nell’agenzia. Per il momento sta da me, ma presto si trasferirà in un posto tutto suo.”
“Sono contenta per lui, ma la sua vita non mi riguarda più.”
“E tuo marito?” azzarda Betti.
“Ricordi quel convegno a Parigi? Be’, non è più tornato. Mi ha fatto scrivere da un avvocato chiedendo la separazione, pare che abbia trovato lavoro lì, presso un ateneo privato. Una cosa che aveva progettato da tempo, a quanto pare.”
“Cristo… mi dispiace, Flavia, non lo sapevo.”
“Era da un po’ che le cose non andavano fra noi. Certo, un uomo che ti molla in un momento così è proprio uno stronzo… ma meglio saperlo, non credi?”
Luca si limita a un cenno di assenso.
“Per Fausto, Giulia era morta. C’era il cadavere e lui non è il tipo che si aggrappa a una piccolezza come un orologio sul polso sbagliato. E io non l’ho tenuto al corrente degli sviluppi successivi, né del filmato su internet… e forse invece avrei dovuto. Voleva bene a Giulia, pur non essendo il suo vero padre, e quel sentimento, in fondo, gli dava il diritto di sapere.”
“E ora?” chiede Betti. “Voglio dire, pensi di dirgli com’è andata? Forse può essere l’occasione per riavvicinarvi.”
“Sono certa che lo avrà saputo dai giornali, però non si è fatto vivo lo stesso. Non ha nessuna intenzione di tornare, Luca. Sono sfortunata con gli uomini, devo essere una specie di arpia, visto che tutti mi tengono alla larga.”
“Non è vero. Sai che non è così.”
Flavia sorride e gli accarezza la guancia, facendolo arrossire.
“Sei molto caro, Luca. Ma conviene anche a te starmi alla larga. Davvero.”
“È permesso?” Marco si volta a richiudere la porta, senza aspettare la risposta. È impacciato, con la sua cravatta e il mazzo di fiori in mano.
La stanza è enorme, in penombra. Giulia è distesa, indossa un pigiama bianco, e lo fissa. “Vieni, siediti,” dice indicando una poltrona accanto al letto.
Marco si avvicina. “Ti ho portato questi,” dice, appoggiando il mazzo di rose sul comodino.
“No, no, dammeli. Voglio vederli.”
Marco porge il piccolo mazzo di boccioli di rosa alla figlia e un sorriso lieve si disegna sulle labbra della ragazza. “Sono bellissimi, grazie.”
“Prego,” risponde lui sedendosi. “Anche tu sei bellissima. Come stai? Come ti senti?”
“Meglio. Tra qualche giorno esco da qui, non vedo l’ora.”
“Non avere fretta. Prima devi rimetterti completamente.”
Giulia e suo padre si guardano negli occhi alla ricerca di parole difficili da pronunciare. Parole che se ne stanno lì, dalle parti del cuore, e faticano a trovare la via giusta per uscire. Marco Tanzi sente che deve essere il primo a parlare, ma chiedere scusa gli sembra sbagliato, troppo banale. Misero. E allora cerca di prendere tempo.
“Com’è successo? Com’è che ti hanno avvicinata?”
“Non lo so, l’ho detto anche ai poliziotti, almeno mille volte. Sembra una cosa da pazzi ma non ne ho idea… Stavo andando in un locale, avevo appuntamento con degli amici. Mi hanno afferrata da dietro, mi hanno premuto un fazzoletto sulla faccia e sono svenuta. Dopo ho solo ricordi confusi… Mi davano delle pillole, mi facevano delle punture. Era come non avere più il corpo, come se non fossi più io. Ricordo delle feste, con dei vecchi viscidi che mi mettevano le mani addosso.” Le lacrime cominciano a rigarle il volto. “Una volta ho cercato di ribellarmi. È stato allora che hanno iniziato con le foto, i filmati… e sai qual è la cosa peggiore? Era come se avessi perso la voglia di reagire a quello schifo.” Giulia ormai singhiozza.
“Ti prego, scusami, non volevo…”
“No, non importa. Pamela dice che mi fa bene parlarne. A volte mi sembra di scoppiare a tenermi tutto dentro.”
“Pamela?”
“È la psicologa, la mia terapeuta. Dice che bisogna affrontare quello che ci spaventa. Altrimenti, insieme con la paura alimentiamo il dolore.”
Tra padre e figlia si crea ancora un silenzio imbarazzante per entrambi.
“Giulia… sono successe tante cose in questi anni. Non so da dove cominciare.” Marco abbassa lo sguardo, sopraffatto dall’emozione.
“Comincia a spiegarmi perché sei andato via, perché mi hai abbandonata così!” lo incalza la ragazza. “Per tutto questo tempo, non hai mai voluto sapere come stavo? Non ti è mai importato niente di come mi sentivo, della persona che ero diventata? Ho sofferto… sono stata male.”
Marco Tanzi alza lo sguardo e fissa i suoi occhi in quelli di Giulia. La resa dei conti con se stesso è arrivata. “Vedi, Giulia… dieci anni fa, è successo qualcosa. Il mio lavoro mi ha portato a un punto di rottura. Mi sono perso. L’unica cosa che sapevo era di aver imboccato una strada senza ritorno, e più lo capivo più mi mettevo nei guai. Come se autodistruggermi fosse diventato l’unico scopo della mia vita. So di averti fatto del male, ma l’unica scelta che avevo era cercare di tenere te e tua madre fuori da quello schifo. Per evitare di farvi ancora più male.”
“E ora?” chiede Giulia. “Che intenzioni hai? Sei tornato dal nulla per salvarmi e pensi di poter scomparire di nuovo?”
“Ora non lo so,” risponde Tanzi. “Non so cosa accadrà, cosa sarà di me. Vorrei… Ho pensato di… Ma no, forse è un’idea senza senso. Forse non ho nemmeno il diritto di chiederlo.”
“Cos’è che vorresti, papà? Adesso voglio sentirtelo dire, sono io ad averne il diritto.”
Marco Tanzi raccoglie tutte le sue forze e trova, finalmente, il coraggio di pronunciare quelle parole. “Vorrei riprovarci. Provare a essere di nuovo un padre per te. Non so se lo vuoi anche tu e, se devo dirla tutta, non saprei nemmeno da dove iniziare, Giulia.” L’ex poliziotto abbassa ancora lo sguardo. Non si è mai sentito tanto indifeso.
Sua figlia si sporge verso di lui, afferrandogli una mano e stringendola.
All’improvviso a Marco accade qualcosa di inaspettato. Prova una sensazione di calore, una tenerezza infinita mista a malinconia. Sofferenza ma anche speranza, abbandono. È come se quel contatto avesse riacceso qualcosa in fondo alla sua anima. Le lacrime sgorgano dai suoi occhi e lui avvicina la mano della figlia alle labbra sfiorandola con un bacio. “Giulia,” dice con la voce rotta dal pianto, “scusami. Scusami di tutto.”
“Mi hai salvato la vita, papà. Quegli uomini volevano… Mi volevano…”
“Non ci pensare adesso. È tutto finito. Nessuno ti farà mai più del male. Non finché ci sarò io.”
“E ci sarai? Per me, intendo. Non te ne andrai ancora?”
“Se mi vorrai, ci sarò.”
“Allora ricominciamo da qui, papà,” risponde la ragazza accarezzandogli i capelli.