Quarantatré

Luca Betti sferra una sberla al biondo con tutta la forza che ha in corpo. Quello si sveglia di soprassalto e si ritrova legato a una sedia in legno, con le mani assicurate ai braccioli dalle stesse corde che pochi minuti prima immobilizzavano il poliziotto.

“Strano trovarsi dall’altra parte, eh?” domanda Luca sorridendo.

Il biondo accenna a urlare, ma un gancio di Marco Tanzi nello stomaco gli spezza il fiato.

“Tu prova a parlare senza essere interrogato e ti rompo tutte le dita delle mani, una a una,” minaccia Luca. “Stessa cosa se non rispondi a tono a ogni domanda che ti farò. Hai capito bene, stronzo?”

Lo slavo annuisce, mentre tenta, a fatica, di ritrovare un ritmo normale nella respirazione.

“Sulle cesoie ci sono le tue impronte. Ce le abbiamo messe mentre eri al tappeto. Possiamo far risultare, senza nemmeno sforzarci troppo, che hai fatto tu il lavoretto a Cozzi e che poi, non contento, hai ammazzato anche il tuo amico. Alla fine, distrutto dal rimorso, ti sei fatto saltare le cervella. Conosciamo bene i colleghi, non si daranno troppa pena a cercare di inventarsi un’altra verità. Non quando possiamo servirgli questa su un piatto d’argento.”

Lo slavo alza gli occhi verso Betti. Poi gli sputa addosso del sangue e gli dice qualcosa nella sua lingua. Per tutta risposta, il poliziotto gli sferra un gancio al mento.

“Ti senti più a tuo agio adesso?” chiede Betti. “Che dici, ora possiamo iniziare a fare due chiacchiere in armonia?”

“Non so niente,” farfuglia il biondo, che sembra essere sceso a più miti consigli. Ha il volto completamente paonazzo e sanguina copiosamente dal naso e dalla bocca.

Betti si volta, si guarda intorno, poi raccoglie da terra il bastone. Fissa l’uomo legato alla sedia con una determinazione omicida negli occhi.

“Te lo chiedo una volta sola, poi ti faccio assaggiare questo ramoscello d’ulivo sulle mani, sulle ginocchia, sui gomiti… su tutte le parti del corpo che possono procurarti dolore. Chi vi ha mandato?”

“Una telefonata,” risponde lo slavo fissando il bastone che si muove nervosamente nella mano di Betti, “da amici di Roma. Non so nient’altro.”

“Chi sono gli amici di Roma?”

Il biondo esita.

“Dallo a me,” dice Marco Tanzi a Luca Betti indicando il bastone. Il poliziotto ci pensa su qualche secondo poi glielo passa. Il colpo parte a una velocità incredibile e si abbatte sulla mano dello slavo che spalanca gli occhi e accenna a urlare, ma senza riuscirci, perché Tanzi afferra un cuscino e glielo preme sulla faccia. Dopo almeno venti secondi, quando i lamenti soffocati si sono ormai affievoliti, Tanzi toglie il cuscino e brandisce di nuovo, minacciosamente, il manico di piccone, alzandolo sulla testa.

“Seconda possibilità,” dice Betti. “Chi sono i tuoi amici di Roma?”

“Se io parla, loro uccide…”

“Be’, amico, forse non l’hai capito,” dice Luca, “ma è esattamente la stessa cosa che ti faremo noi.”

A quel punto, con uno scatto improvviso, l’uomo si alza in piedi sollevando di peso la sedia e si mette goffamente a correre. Con tutta la forza che riesce a imprimere al suo slancio, si schianta contro una porta finestra che nell’impatto cede, esplodendo con un fragore assordante. Tanzi molla il bastone e prova ad afferrarlo ma manca la presa per un millimetro, mentre Betti, colto di sorpresa, assiste alla scena come fosse congelato. Il biondo, ancora bloccato ai braccioli della sedia, precipita nel vuoto, accompagnato da pezzi di vetro e schegge di legno del vecchio infisso malridotto. Dopo un volo di quasi dieci metri, l’uomo si schianta sul tetto di una Fiat Punto parcheggiata al lato della strada, provocando l’esplosione del parabrezza e dei finestrini. Tanzi e Betti si affacciano a guardarlo e notano la pozza di denso liquido rosso che, lentamente, si spande sotto al suo cranio fratturato.

“Cristo, che casino,” commenta Tanzi, “andiamocene da qui. E in fretta, anche.”

“Aspetta!” dice Luca. “Prendi i cellulari di quei due e anche quello di Cozzi. Io guardo se nell’appartamento c’è il suo computer…”

“Non c’è tempo! Fra due minuti non potremo più uscire da qui senza essere notati. Non voglio finire dentro. Non prima di averli presi tutti.”

Per strada, intanto, un paio di macchine inchiodano di fronte all’orribile scena, mentre altre persone si affacciano alle finestre o escono dai portoni per osservare da vicino.

Qualcuno urla, in lontananza si sente il suono di una sirena.

“Maledizione,” dice Betti, “siamo al punto di partenza.” Poi recupera il suo cellulare da terra e segue Tanzi fuori dall’appartamento richiudendosi la porta alle spalle.