Diciannove

Marco Tanzi. Milano, dieci anni fa.

Sono seduto sul cordolo di cemento, ai margini della strada. Il poliziotto in divisa non mi perde d’occhio un momento, stringe nervosamente il manico del mitra, mentre il suo collega si occupa della viabilità agitando la paletta catarifrangente. Per fortuna in questo tratto della provinciale non passano molte macchine alle due di notte. La mia Lancia Delta si è cappottata dopo l’ennesima sbandata e adesso occupa tutta la carreggiata di sinistra. Ogni tanto mi prendo a sberle, da solo, per cercare di dissipare la nebbia che mi offusca il cervello, e mi impedisce di ragionare. Non funziona, gli effetti del cocktail di cocaina e vodka sono più forti.

Mi sembra di stare seduto qui da un secolo quando, finalmente, arriva la macchina che stavo aspettando. Fiat Marea station wagon, verde metallizzato. Come cazzo si fa a girare con un obbrobrio simile?

Luca scende al volo, guarda la mia auto, o quel po’ che ne rimane, poi parlotta col collega addetto al traffico mostrandogli il suo tesserino. Lui gli indica la direzione e Luca si dirige a passo svelto verso di me, con un’espressione che non lascia presagire niente di buono.

“Finalmente sei arrivato,” gli dico, “un altro minuto e sono sicuro che Pecos Bill, qui, mi avrebbe impallinato.”

“Marco… ma che cazzo hai combinato?” Mi afferra per un braccio aiutandomi ad alzarmi. “Sei ferito?” mi chiede. “Niente di rotto?”

“Tutto a posto,” rispondo, “solo un po’ di nausea. Devo aver mangiato pesante stasera, mi sa che non ho digerito… E pensare che ho bevuto solo acqua frizzante…”

La battuta non lo diverte. Si volta verso il collega in divisa, che ha uno sguardo seriamente incazzato, e mostra anche a lui il tesserino. “Sono Betti, ispettore dell’Anticrimine.”

“Senta, ispettore,” lo aggredisce quello, “il suo amico qui è ubriaco fradicio. Probabilmente anche drogato. È un miracolo che non abbia ammazzato qualcuno e che non ci abbia rimesso la pelle lui stesso. Mi spiace ma non posso far finta di niente, il rapporto va compilato.”

“Ascolta,” gli risponde Luca abbassando la voce, come se volesse impedirmi di origliare, “so bene che dovete fare il vostro dovere, ma questo è un collega… uno dei migliori. Si chiama Marco Tanzi, ti dice niente il nome? Hai presente quello che è successo un paio di mesi fa, la sparatoria all’autodemolizione?”

“Sì, so chi è il suo amico, ma purtroppo io non posso…”

“Aspetta,” insiste Luca sfoderando tutto il suo appeal, “non ti chiedo di non fare rapporto. Solo, evita di specificare che fosse su di giri. Tralascia il test. Per favore, sarebbe la fine per lui, ha un processo in corso e non può sgarrare proprio adesso.”

“Be’, se non può sgarrare dovrebbe evitare di guidare a duecento all’ora in questo stato, su una strada dove il limite è settanta.”

“Hai ragione, allora senti che facciamo. Adesso lo porto via con me e gli requisisco la patente. Farò in modo che non guidi più fino a che non si sarà disintossicato, hai la mia parola.”

“Mi spiace ma non credo che…” il tizio in divisa tergiversa, gli piace farsi supplicare.

“Senti, se mi fai questo favore sarò in debito con te. Qualsiasi cosa, qualsiasi piacere potrai chiedermelo. Sono in buoni rapporti col tuo capo divisione e anche col questore. In fondo si tratta di lanciare un salvagente a un collega che si trova in cattive acque… mettiti nei suoi panni, pensa a quello che ha passato. Te lo ripeto, mi assumo ogni responsabilità.”

Il bastardo tentenna ancora un po’, distoglie lo sguardo, sbuffa, e alla fine concede la grazia. “E va bene, ispettore. Ma la avverto, se il suo amico sgarra ancora, finisce dentro. Una volta possiamo chiudere un occhio, ma due è escluso. E la sua patente la tengo io, non voglio avere morti sulla coscienza.”

“Va bene, grazie,” dice Luca. “Non lo dimenticherò.”

So quello che sta pensando in realtà. Che questo frocetto in divisa può anche andare a prenderlo in quel posto. Con tutti gli arresti che abbiamo concluso negli ultimi cinque anni dovrebbe, come minimo, lucidarci le scarpe con la lingua invece di rompere i coglioni in questo modo.

Luca gli dà il suo biglietto da visita e dice qualcosa a proposito di un carro attrezzi e un deposito. Poi torna da me, guardandomi di traverso. “Andiamo,” mi dice afferrandomi per un braccio, “vieni con me.”

Due ore dopo siamo a casa sua. Ho bevuto almeno un litro di caffè, vomitato anche l’anima e fatto una doccia fredda di venti minuti. Sono ancora molto lontano dall’essere sobrio, ma almeno ho recuperato una parte di lucidità. Sua moglie voleva alzarsi ma Luca ha insistito perché rimanesse a letto. Forse non voleva che mi vedesse in questo stato.

“Insomma,” mi chiede, “mi stai dicendo che non hai un posto dove andare?”

“Già. Nell’ultima settimana ho dormito in macchina, ma ora che me l’hanno sequestrata…”

“Ma cristo, Marco! Lasciami telefonare a tua moglie, magari riesco a…”

“No, è escluso. E comunque a casa non ci tornerei. Non voglio che Giulia veda suo padre in questo stato. E poi, guarda, sono stanco di litigare con Flavia. Ormai non abbiamo più niente da dirci, al massimo ci urliamo contro, ci tiriamo della roba addosso, ci insultiamo. Una volta finiva che dopo la lite si scopava e tornava tutto a posto, ma ormai è da un pezzo che non funziona più nemmeno quello.”

“A soldi come stai?” domanda Luca. “Posso prestarti qualcosa, ti sistemi in un motel e…”

“Senti, davvero, non ti preoccupare. Un posto lo trovo. È l’ultimo dei miei problemi ora.”

“Ah, davvero?” chiede Luca, “l’ultimo dei tuoi problemi? E come cazzo pensi di affrontarli i tuoi problemi? Facendoti di roba scadente e bevendo qualsiasi merda alcolica ti capiti a tiro?”

“Be’, visto che la roba buona e la vodka da cento euro a bottiglia non me le posso permettere…”

Ancora una volta pare non apprezzare il mio umorismo.

“Va bene, facciamo così… Ti sistemi qui da me, nello studio, per qualche settimana. Però mi dai la tua parola che non bevi e che non cerchi di procurarti droga. Marco, sei in casa mia, con la mia famiglia, e questo è un limite che non ti è permesso di superare. Chiaro?”

“No, senti, lascia stare. Ti ripeto, una sistemazione la trovo, non credo di…”

“Ma porca puttana!” urla Luca. Talmente forte che sono certo abbia svegliato moglie e figlia. Quanti anni avrà la piccola Sara, ora? Almeno cinque… no, sei. Ricordo che mesi fa si parlava di prima elementare. “Ti rendi conto a che punto sei, Marco? Ti rendi conto di quello che sei riuscito a combinare in soli due mesi? Sospeso con un processo sulle spalle, stai rischiando di perdere il posto e tu che cazzo combini? Decidi di perdere anche la famiglia e passi il tempo a sballarti manco fossi uno stronzetto di vent’anni. Lo vuoi capire che da questo imbroglio ne esci solo se cerchi di tirarti su? Fallo per tua figlia, per Giulia. E fallo anche per me, perdio! Siamo o non siamo amici noi due?”

Gli sorrido, mi fa tenerezza la perseveranza con la quale insiste a credere in un concetto come l’amicizia, l’impegno che ci mette nel volermi salvare. Non si rende conto che ormai viviamo in universi paralleli, distanti anni luce.

“Va bene, Luca, dai, mi hai convinto, accetto. Ma solo per un paio di settimane, il tempo di rimettermi in pista e di cercare un’altra sistemazione.”

Sembra rasserenarsi, ho cercato di dirgli quello che voleva sentirsi dire.

“Bene. Alla buonora. E comunque,” rilancia, “una delle priorità è sistemare le cose con Flavia. Dirò a Elisa di parlarci, di preparare il campo. Tua moglie ti ama e tu ami lei, come adori tua figlia. Devi presentarti al processo in piena forma, mostrando tutto il meglio di te. Le tue decorazioni, i tuoi encomi e la tua famiglia che ti sostiene. Io mi sto dando da fare con i colleghi, saremo in molti dalla tua parte a difenderti a spada tratta. Ce la farai, Marco, vedrai!”

Ce la farò. Sì, certo. Annuisco sorridendo. Ma il mio problema, al momento, quello che davvero mi interessa, è come fare, domani, a procurarmi una decina di grammi di cocaina. Magari potrei chiedere un prestito a Elisa visto che, a quanto pare, starò in casa con lei. Inventerò una scusa. La conosco bene: se trovo le forze e la concentrazione per scoparmela a dovere, non mi dirà di no.