Otto
Luca Betti è in viaggio, sulla A1, alla guida del suo minisuv grigio, direzione Roma. La stanchezza che sente è tale da superare anche la soglia del sonno. Ha lasciato l’ospedale San Raffaele alle prime luci dell’alba, dopo essersi assicurato, col responsabile del turno di giorno al pronto soccorso, che a Marco Tanzi venissero prestate tutte le cure e le attenzioni necessarie.
Lo ha chiesto in maniera esplicita con il tono minaccioso di chi è pronto a vendicarsi sfruttando l’influenza del distintivo. Una sorta di abuso di potere che non ha mai fatto parte della sua abituale condotta, ma che gli è parso sortire l’effetto voluto.
È tornato a casa solo per una veloce doccia, per cambiarsi d’abito e prendere il suo trolley. Ha bevuto un’intera moka di caffè da quattro tazze, preparata da Elisa che ha evitato di rivolgergli qualsiasi domanda riguardo alle condizioni del suo ex collega. Anche lei ha passato la notte in bianco a raccogliere schegge di vetro e lavare via il sangue dal parquet.
“Quando pensi di tornare?” gli ha chiesto la moglie prima che si congedasse da lei.
“Presto. Due o tre giorni al massimo,” ha risposto. “Dai un bacio a Sara da parte mia.”
Luca Betti cerca di riflettere, ma nella sua mente continua a riascoltare quelle frasi che gli impediscono di concentrarsi. Sa bene che le cose non dette, gli stati d’animo non dichiarati, le emozioni represse, sono il vero e proprio cancro delle relazioni d’amore. Si depositano in fondo all’anima, sedimentano in maniera apparentemente innocua. Poi, col tempo, iniziano a lievitare, a corrompere, a infettare tutto ciò che di positivo c’è in un rapporto a due. E all’improvviso riemergono ed esplodono. Si manifestano come la cancrena di un bubbone infetto, aggredendo con violenza l’apparente serenità della coppia e provocando danni il più delle volte insanabili. Lo sa lui, lo sa sua moglie Elisa, lo sanno tutti. Eppure tutti continuano a comportarsi allo stesso modo. È questo, forse, il più inspiegabile fenomeno nei rapporti fra le persone. Questa perseveranza autolesionista che conduce al dolore. Come se ciascuno, inconsciamente, fosse persuaso del fatto che sia proprio il dolore a rappresentare il fine ultimo della vita.
Durante una sosta in autogrill, per una Red Bull e un panino, Betti ripensa alle parole pronunciate da Marco Tanzi, prima di svenire in ospedale.
“Ha parlato di un vecchio e del caso Baraldi. Non mi sembrava il delirio di un ubriaco. Era concentrato, si sforzava di essere persuasivo, coerente. Ha detto che il vecchio è l’unico che può aiutarlo.”
Betti prende il cellulare e compone il numero di un collega della Questura. “Ispettore Martini,” risponde l’uomo al secondo squillo.
“Carlo, sono Luca. Sono in permesso, sto andando a Roma, ho un favore da chiederti…”
“Spara.”
“Vedi di rintracciare un caso a nome Baraldi. Deve avere qualcosa a che fare con Marco Tanzi e con qualcuno conosciuto come ‘il vecchio’.”
“Marco Tanzi? Dev’essere roba di parecchi anni fa, allora… Se trovo il fascicolo, vuoi che te ne faccia una copia?”
“No, per adesso vedi solo di che si tratta e riferiscimi per telefono.”
“Ok, ci aggiorniamo più tardi. Stai andando giù per la ragazza? Giulia Tanzi?”
“Sì, ho promesso alla madre che mi sarei informato di persona. Ho appuntamento con una tizia, una commissaria che sta seguendo le indagini.”
“In bocca al lupo, allora. Appena scopro qualcosa, ti faccio sapere.”
Betti continua a rimuginare guidando sopra il limite di velocità. Il suo pensiero si sposta, come in un immaginario gioco dei quattro cantoni, da sua moglie al suo ex collega a sua figlia Sara, alla foto di Giulia Tanzi. C’è qualcosa che lo infastidisce, come un tarlo, che disturba la linearità dei suoi pensieri. Qualcosa di importante, ma celato da una coltre di altre suggestioni, altre preoccupazioni. È un particolare fondamentale, lo sente, anche se non riesce nemmeno a rendersi conto con quale dei quattro cantoni abbia attinenza. Il suo telefono squilla, distraendolo da quei pensieri ossessivi. Numero sconosciuto.
“Luca, sono io, Flavia.”
“Flavia… Ciao, ti avrei chiamata tra un po’, sono in viaggio per Roma. Penso di arrivare tra un paio d’ore, traffico permettendo. Ho preso appuntamento con una collega che sta seguendo le indagini.”
“Luca, sono a Roma anch’io, sono arrivata ieri sera. Se possibile, volevo chiederti di vederci di persona, dopo che avrai parlato con i tuoi colleghi. Sono all’Hotel Londra, puoi chiamarmi quando hai finito, possiamo incontrarci da qualche parte.”
“Certo,” risponde Betti un po’ perplesso. “Va bene, allora ci sentiamo dopo. Ah, aspetta, questo numero non mi appare sul display… posso chiamarti sull’altro?”
“No, ti mando questo via sms. L’altro l’ho spento, non ne posso più di ricevere telefonate e messaggi di gente che mi domanda di Giulia.”
“Ti capisco, ma cerca di mantenere la calma. Ti chiamo più tardi.”
Betti non si aspettava questo sviluppo. Qualche giorno prima Flavia De Grandis, la ex moglie di Marco Tanzi, l’aveva contattato per telefono, dopo quasi dieci anni in cui non si erano più visti né sentiti. Era come se avessero chiuso una porta, per tenere fuori tutto il dolore causato dalla persona che entrambi avevano amato, anche se in modo diverso. Pensava di riferirle per telefono le notizie di cui fosse venuto a conoscenza a Roma, a patto che ve ne fossero di nuove. Ora si rende conto di non essere entusiasta all’idea di doverla incontrare, anche perché non potrà fare a meno di raccontarle dell’ex marito e degli sviluppi della sera precedente, riaprendo inevitabilmente vecchie ferite.
A causa di rallentamenti per lavori sul raccordo anulare, le due ore preventivate da Luca Betti diventano tre. È l’una passata quando si ritrova davanti all’ufficio 37 della Questura centrale in via San Vitale 15. La porta si apre dall’interno, senza lasciargli il tempo di bussare. Una giovane donna in jeans e giubbino verde di tela lo guarda perplessa. Ha i capelli castani tendenti al rossiccio, raccolti in una coda, e porta stivali di cuoio.
“Luca Betti, scommetto.”
“Sono io…” annuisce il poliziotto, affannato e stravolto.
“Dai l’impressione di essere arrivato da Milano a piedi…”
“Be’, è stata una nottata difficile. Tu devi essere…”
“Commissario Laura Damiani,” lo interrompe lei tendendogli la mano. “Ti aspettavo un’ora fa.”
“Scusa,” risponde Betti stringendogliela. “Se sei impegnata, mi siedo da qualche parte e ti aspetto.”
“Non ce n’è bisogno. Stavo andando a mangiare qualcosa. Vieni, parleremo durante il pranzo.”
“Mi dispiace dirtelo,” esclama Laura Damiani afferrando il suo trancio di pizza con l’aiuto di un tovagliolo di carta, “ma temo che tu abbia fatto un viaggio a vuoto.” È seduta di fronte a Luca Betti, in una tavola calda in via Nazionale, un locale scarno ed essenziale come un autogrill.
Lui osserva il suo triangolo di margherita senza toccarlo. Ha deciso che, per oggi, di junk food ne ha avuto abbastanza.
“In otto giorni,” continua la poliziotta masticando un boccone della sua quattro formaggi, “non abbiamo trovato una pista decente da seguire. Stiamo interrogando amici, vicini, compagni di corso all’università… Niente. Abbiamo anche messo sotto controllo una decina di cellulari, quelli delle persone che le erano più vicine.”
“Sarebbero?” chiede Betti sorseggiando acqua naturale direttamente dalla bottiglietta di plastica.
“Le compagne di stanza, innanzitutto. Poi il gruppetto di ragazzi e ragazze che doveva incontrare al pub. Infine un paio di colleghi di corso che pare frequentasse più assiduamente degli altri. Insomma, tra intercettazioni e attività investigativa, abbiamo dieci agenti che lavorano ventiquattr’ore al giorno su questo caso. Abbiamo diffuso foto, descrizione, lanciato appelli sui giornali e su internet, teniamo sotto controllo le sue carte di credito, gli aeroporti e le stazioni. Niente di niente. Sembra svanita nel nulla.”
“Immagino stiate indagando anche sui social network…” azzarda Betti.
“Ovviamente,” risponde Laura Damiani. “Come sai, però, quella è una pista che richiede tempo e parecchie verifiche. Giulia Tanzi aveva… voglio dire, ha più di mille cosiddetti amici su Facebook. Inoltre frequentava parecchie chat. Impiegheremo mesi a leggere e trascrivere tutte le conversazioni e a controllare le identità di quelli che bazzicava su internet.”
Betti pensa per un attimo di riferire alla collega delle conversazioni su Facebook fra Giulia e sua figlia. Poi si astiene, sia perché pensa che non possano avere attinenza con l’indagine in corso, sia per evitare che Sara possa essere in qualche modo coinvolta.
“È tutto così assurdo,” riflette il poliziotto a voce alta. “Sappiamo entrambi che non è possibile scomparire così, senza lasciare tracce. Avete controllato se ha portato via qualcosa da casa? Vestiti, effetti personali…”
“È la prima cosa che abbiamo fatto,” risponde la Damiani. Le normali procedure investigative sono state seguite alla lettera: è certa che il collega lo sappia, ma capisce anche che Betti si senta comunque in dovere di rivolgerle quelle domande. “Non ha effettuato nessun prelievo rilevante sul suo conto corrente, non ha nemmeno usato il bancomat nei quattro giorni precedenti alla sparizione. Non c’è nulla che faccia pensare a una fuga o a qualcosa del genere.”
Betti non replica. Cerca di fare appello a tutte le sue energie per rimanere lucido e interpretare le informazioni.
“Oggi è il nono giorno,” continua la Damiani. “Sai meglio di me che, statisticamente, se non ci sono indizi che facciano pensare a un allontanamento volontario, nella maggior parte dei casi si tratta di omicidio. Era una bella ragazza, qualcuno può averla notata e…” La poliziotta si astiene dal continuare, sa che Betti ha un legame con la scomparsa e non vuole ferirlo. E sa che nel loro mestiere non c’è bisogno di essere troppo espliciti quando si tratta di ipotizzare il peggio.
“Sarà dura dire alla madre che non c’è nessuna pista da seguire,” riflette a voce alta Luca. “Non credo possa esistere una pena maggiore del non sapere che fine ha fatto tua figlia.”
“Tu ne hai? Di figli…” chiede Laura Damiani.
“Sì una, di sedici anni, Sara. Tu?”
“No, io no. Ma so che non vorrei essere nei panni della madre di Giulia Tanzi nemmeno per tutto l’oro del mondo. Siete rimasti in contatto dopo che… dopo la vicenda con suo marito?”
Luca Betti scruta perplesso la donna, interrogandosi su quanto sappia dei trascorsi tra lui e il suo ex collega.
“Non stupirti,” dice la Damiani, come leggendogli nel pensiero, “come puoi immaginare abbiamo preso tutte le informazioni possibili su Giulia e sulla sua famiglia. E insieme al nome del padre è venuto fuori anche il tuo.”
Betti si rilassa appoggiandosi allo schienale della sedia. “Laura Damiani. Tu sei quella Laura Damiani, vero? Quella che ha fermato quei rapinatori assassini, come li chiamava la stampa? I cavalieri dell’apocalisse… E l’anno dopo hai catturato Lino Raspelli, il mafioso. Uno degli uomini più ricercati d’Italia.”
“Hai fatto anche tu i compiti a casa?” chiede la poliziotta. “Sei fin troppo scrupoloso, a quanto pare.”
“Niente di più facile, quei casi hanno avuto risalto nazionale. Solo mi chiedo come mai abbiano messo una in gamba come te a seguire una banale indagine su una ragazza scomparsa. Come minimo, a quest’ora, ti facevo a capo dell’Anticrimine.”
“Al momento sono in una specie di limbo. Ho chiesto il trasferimento e sono in attesa che me lo concedano.”
“Be’, strano, immagino che una come te debba essere trattata da superstar dai colleghi qui a Roma. Come mai vuoi andartene?”
Laura riflette prima di rispondere. Ma tutto sommato questo Betti sembra un tipo a posto. “Questioni personali. Una storia andata male con uno che fa il nostro stesso lavoro.”
“Be’,” osserva Luca, “non voglio farmi i fatti tuoi, ma abbandonare una città nella quale sei una specie di celebrità solo per una delusione sentimentale… A meno che il tuo lui non sia un superiore… Scusa, davvero, non sono fatti miei.”
“Non è un superiore. In realtà non è neanche un poliziotto, è un ufficiale dei carabinieri. E non è per la delusione in sé, probabilmente quella è stata solo la molla che ha fatto scattare la voglia di cambiare, di provare a ricominciare da un’altra parte. Ma ti sto annoiando, scusa… Non vedo come le mie questioni personali possano interessarti.”
“Anzi,” risponde Luca. “Capisco benissimo di cosa parli, è una sensazione che ho provato anch’io più di una volta. Solo che, quando hai famiglia, la fuga non è tra le opzioni disponibili.”
Laura sorride stancamente. “Vieni,” dice alzandosi, “torniamo in Questura. Se ti interessa, ti faccio leggere i verbali degli interrogatori, anche se dubito che ci troverai qualcosa di interessante.”