Quarantuno

È ormai tardo pomeriggio quando Luca Betti torna a casa e trova Marco Tanzi ad attenderlo, seduto sugli scalini del portone.

“Marco. È da parecchio che sei qui?”

“Non importa. È solo che non sapevo dove altro andare.”

“Vieni, saliamo. Ho fatto una copia delle chiavi di casa e ho preso qualcosa che potrebbe servirti.”

“È un cellulare con una scheda prepagata,” dice Betti al suo ex socio, estraendo il telefonino da una busta di carta e appoggiandolo sul tavolo della cucina, “non è proprio l’ultimo modello, ma insomma…”

“Andrà benone.”

“Ho messo in rubrica il mio numero e quello di Sandonato. Ah, il tuo è scritto qui,” aggiunge consegnandogli un post-it. Poi estrae dalla stessa busta un portamonete di tela. “Questi sono un po’ di soldi. Possono farti comodo se te ne vai in giro per Milano da solo.”

“Non so se e quando potrò restituirteli.”

“Non dire cazzate, dai. Piuttosto, volevo chiederti se hai con te dei documenti validi.”

Tanzi scuote la testa. “Li ho buttati via da un pezzo.”

“D’accordo. Domattina andremo negli uffici della circoscrizione a fare una carta d’identità, non puoi andare in giro senza.”

Betti prepara una cena frugale a base di pane, affettati e carciofini sott’olio. Sta per stappare due birre, quando si rende conto della gaffe e, senza farsi notare da Tanzi, le rimette in frigo tirando fuori due lattine di Coca Cola.

Durante la cena i due evitano di toccare temi personali. Si limitano ad aggiornarsi a vicenda sull’esito delle rispettive indagini. Poi decidono di chiamare Sandonato, per mettere al corrente anche lui degli sviluppi e fare insieme il punto della situazione.

“Be’, non saranno un granché, ma sono sempre due piste in più da seguire,” dice l’anziano investigatore al telefono. Betti e Tanzi lo ascoltano in vivavoce dal Blackberry di Luca, poggiato al centro del tavolo.

“Ha sentito Cisco oggi? Qualche novità da parte sua?” chiede il poliziotto.

“Sta lavorando su quel sito ma, almeno finora, nessun passo avanti. Sta cercando anche di rintracciare qualcuno dei compratori dei filmati, ma è un’impresa tutt’altro che facile. Pare che al giorno d’oggi si possano scaricare dalla rete, gratuitamente, dei programmi in grado di rendere pressoché impossibile l’identificazione degli indirizzi Ip. Certo dev’essere un’attività frustrante, la sua.”

“Non capisco,” osserva Tanzi, “non aveva detto di essere riuscito a entrare nel giro con le referenze di quel tizio, il pedofilo?”

“Da quel che ho capito, una cosa è entrarci, un’altra smascherare chi è già dentro. Ma non mi chieda di più, Tanzi, tecnicamente ne capisco quanto lei.”

Sullo schermo del Blackberry viene visualizzato l’avviso di una chiamata in arrivo.

“Sandonato, devo lasciarla,” dice Luca. “È quel Cozzi, il giornalista.”

“Va bene. Mi faccia sapere se ci sono delle novità.”

Betti tocca un pulsante sul display del suo smartphone.

“Pronto?”

“Betti… è lei?”

“Sì. Non aspettavo una sua chiamata così presto. Ha qualcosa per me?”

“Via Settembrini 28. Terzo piano. Venga subito, da solo, altrimenti non le dirò una parola.”

“Ehi, un momento, ma non potremmo…”

Sul telefono appare l’avviso di comunicazione interrotta.

“Ma guarda questa testa di cazzo,” commenta Luca.

“Vengo con te,” gli dice Tanzi, “ti guardo le spalle.”

“No, meglio di no. Questo tizio è un paranoico: se non facessi come dice lui, potrebbe volatilizzarsi e avremmo solo perso del tempo. Vado io, ti chiamo appena gli ho parlato. Intanto vedi di riposarti un po’.”

Lo stabile è di un certo pregio, proprio vicino all’incrocio con via Vitruvio. La zona è frequentata da extracomunitari che gestiscono negozi, ristoranti e attività commerciali di vario genere. Ma è abitata per lo più da milanesi. Luca Betti fatica un po’ a trovare un parcheggio per la sua Qashqai e, alla fine, gli tocca percorrere più di duecento metri a piedi.

Resta perplesso nel notare che al numero 28 non c’è nessun campanello a nome Cozzi. Prende il telefono e chiama il giornalista.

“Sì?”

“Sono qui, sotto casa sua, ma non trovo il nome sul campanello. Mi apre la porta?”

“Terzo piano,” gracchia una voce metallica nel citofono, subito seguita da un ronzio che fa scattare la serratura del portone metallico.

Luca entra, richiudendoselo alle spalle. L’ascensore è fuori uso, perciò sale lungo una scalinata malridotta. I gradini, in pietra, sono consunti e scivolosi, il corrimano, in legno, è sporco e traballante. Betti pensa che è un miracolo se, su quelle rampe, non avviene un incidente grave al giorno.

Una delle due porte, sul pianerottolo del terzo piano, è socchiusa. Non ci sono nomi ma Luca deduce che sia quella giusta, visto che sull’altra spicca una targhetta in plastica che recita: “Cavalier Cazzaniga”.

Entra in un ampio ingresso semibuio, collegato a un soggiorno tramite una porta a due ante in legno e vetro. “Cozzi?” chiede il poliziotto cominciando a provare una sensazione tutt’altro che positiva.

“Sono qui,” risponde il giornalista con voce incerta.

Luca avanza di un passo verso il soggiorno e lo vede, seduto a una poltrona in una posa esageratamente composta e con uno sguardo tutt’altro che sereno.

Colto da un istinto improvviso, cerca di estrarre la sua Beretta 9 millimetri dalla fondina che tiene agganciata alla cinta dei pantaloni, ma non fa in tempo a completare il gesto. Un micidiale colpo alla nuca, sferrato col calcio di una pistola, lo manda al tappeto privo di sensi.