Trentanove
Luca Betti. Milano, ore 11:30. Oggi.
Alla fine ho dovuto per forza incontrare Laura Damiani. Sembra abbastanza contenta di rivedermi. Ha i capelli raccolti in una coda e indossa dei jeans scuri, stretti, con stivali neri di camoscio e una camicetta azzurra. Indubbiamente è una donna molto attraente, anche se veste in maniera sportiva. Dopo i convenevoli di rito, ci mettiamo a parlare del caso di Giulia. Mi chiede se ci sono stati degli aggiornamenti, delle novità, anche se dal suo tono mi pare subito chiaro che non si aspetti niente del genere. Continuiamo comunque a parlarne, per qualche minuto, fino a che la discussione non si infrange contro un muro di imbarazzato e frustrante silenzio.
Poi le chiedo di poter visionare gli album delle foto segnaletiche dei condannati per reati a sfondo sessuale. Tiro fuori la scusa di un tizio che mi è capitato di veder gironzolare nel mio quartiere, intorno al cortile di una scuola. Resto quasi un’ora seduto nel suo ufficio, alla Buoncostume, a sfogliarli. È un posto molto scialbo, arredato con mobili nuovi ma di scarsa qualità. Scrivanie bianche e poltroncine nere, del tipo con le ruote. In un angolo c’è un calendario della Lega per la protezione degli animali, con delle foto di cuccioli. Deve avercelo messo lei, per “umanizzare” un po’ questo luogo così freddo. Ogni tanto, una specie di prurito alla nuca mi annuncia le sue occhiate curiose, lanciate al di sopra dei fascicoli a cui sta lavorando, seduta a un’altra scrivania. Comunque, la mia ricerca si dimostra un vero e proprio buco nell’acqua. Nessuno di quei volti mi fa pensare, nemmeno vagamente, al tizio mascherato nel video con Giulia.
“Che cosa ne sai del mercato clandestino di porno violenti?” chiedo alla collega. “Hai mai avuto a che fare con roba del genere quando eri a Roma?”
“Mah, poco o niente,” risponde alzando la testa dal suo fascicolo. “Se ne parla in giro, ogni tanto è capitato che nell’ambito di una indagine saltassero fuori degli indirizzi internet, ma poi i siti venivano quasi sempre cancellati prima che si riuscisse a concludere qualcosa. C’è anche da considerare che, in larga parte, i filmati estremi spacciati in rete per veri sono in realtà dei falsi.”
Vorrei raccontarle di quello che ho visto con i miei occhi, ma dovrei citare le mie fonti e non posso farlo. Almeno per ora.
“Ma possibile che la Polizia postale non riesca a risalire a dei responsabili? Ci saranno pure dei colleghi specializzati in questo tipo di ricerche…”
“Ci sono, ma ti assicuro che sono molti meno di quanto immagini,” risponde lei. “Inoltre, sono quasi tutti occupati a cercare di arginare la crescita esponenziale delle truffe online, i fenomeni di phishing, i furti di identità tramite web. E anche di quei reati la stragrande maggioranza rimane impunita. Sul porno clandestino, qualche passo avanti lo aveva fatto il colonnello Rapetto della Guardia di finanza, col suo reparto specializzato sulle frodi informatiche, il Gat. Ma poi, hai visto che fine gli hanno fatto fare? Lo hanno costretto a dimettersi perché aveva dato fastidio a poteri troppo forti…”
Rifletto sulle sue parole. In pratica mi sta confermando quello che ha detto Cisco. Con queste premesse, riferire del filmato ai colleghi di Roma non avrebbe portato davvero a niente.
“Senti, Laura, se volessi parlare con qualcuno che ne sa un po’ di più su questo giro, chi mi consiglieresti?”
“Come mai questo interesse?” mi chiede lei, come previsto. “Per caso ti hanno preso come consulente per qualche fiction televisiva?”
La Damiani di certo non è una sprovveduta, ho immaginato subito che avrebbe potuto mettere in relazione la mia visita con la scomparsa di Giulia Tanzi, quindi mi sono preparato a dovere. “Ci hai quasi preso,” rispondo, “un mio cugino si è messo in mente di scrivere un romanzo sull’argomento e vorrebbe delle informazioni. Sarà pure un parente alla lontana, ma è un vero rompicoglioni! Devo levarmelo di torno…”
“Be’, a Roma avrei saputo da quale collega indirizzarti, ma qui… Però, ripensandoci, fra i fascicoli che ho avuto sotto mano negli ultimi due mesi ce n’era uno che forse potrebbe avere qualche attinenza con l’argomento. Potresti parlare con un tale Cozzi, un ex giornalista del ‘Corriere’. Mi risulta che si sia interessato per un certo periodo proprio al fenomeno dei porno clandestini. Qualche anno fa ci scrisse sopra un paio di articoli che ebbero un buon risalto a livello nazionale. L’inchiesta giornalistica avrebbe dovuto andare avanti, ma alla fine lo segarono perché le sue fonti erano dubbie e lui si rifiutò di citarle al caporedattore. Da quel che ne so, ora fa il freelance, scrive per riviste indipendenti, e si occupa soprattutto di corruzione amministrativa. Ogni tanto azzecca pure qualche colpo.”
Sono sinceramente stupito dalla sua dritta. In fondo è qui a Milano da soli due mesi. “Scusa tanto, ma come fai a sapere tutte queste cose? Sei appena arrivata…”
“Be’, è il nostro mestiere sapere le cose, no? Il nome di Cozzi è saltato fuori nell’ambito di un’indagine che stiamo conducendo su un giro di prostituzione d’alto bordo. Ricche signore milanesi che arrotondano i cospicui assegni degli alimenti praticando in casa la professione più antica del mondo. Cozzi ci aveva scritto un pezzo, l’anno scorso, e io sono andata a rileggermelo. Poi, per saggiare la sua attendibilità, ho spulciato un po’ nel suo passato. Nel suo fascicolo c’era un numero di cellulare, se mi dai un paio di minuti te lo cerco.”
Annoto il numero sul retro di un biglietto da visita, sempre più convinto che questa Damiani sia una poliziotta davvero in gamba.
“Non so come ringraziarti,” le dico prima di congedarmi. “Mi sei stata davvero di grande aiuto…”
“Figurati,” risponde lei squadrandomi con sospetto.
“Se qualche volta… sì, insomma, se ti va di prendere un caffè insieme, magari facciamo quattro chiacchiere.”
“Perché no,” dice lei. “Se vuoi possiamo incontrarlo insieme questo Cozzi…”
Sono certo che me lo abbia proposto solo per valutare la mia reazione. Non se l’è bevuta la mia storiella, ha capito che c’è sotto qualcos’altro.
“Lo sai come sono questi giornalisti freelance,” le dico cercando di apparire il più disteso possibile, “quando sentono puzza di sbirro si chiudono a riccio. Incontrarne addirittura due potrebbe portarlo a restare abbottonato sulle domande che vorrei fargli. Facciamo così, cerco di fissare un appuntamento e ti faccio sapere, ok?”
“Certo,” dice lei per niente convinta, “perché no? Allora in bocca al lupo. E salutami tuo cugino…”
Devo insistere a lungo prima che il tipo, questo Cozzi, accetti di incontrarmi. Per convincerlo mi tocca dirgli la verità, ovvero che sono un poliziotto e che sto conducendo una indagine privata sul mercato dei porno clandestini.
Ci vediamo in un bar di corso Lodi, uno dei tipici posti milanesi da aperitivi. Alle tre del pomeriggio, per fortuna, è quasi deserto. Sono seduto a un tavolo davanti alla vetrina e, visto il ritardo del tizio, sto meditando di andarmene quando alla fine si presenta. Sulla quarantina, capelli radi e barba incolta, un metro e settanta al massimo, occhiali dal design antidiluviano. È vestito in modo trasandato, con scarpe da tennis e una borsa militare a tracolla. Molto studente sinistroide fuori corso degli anni settanta.
“È lei Betti?” mi chiede, guardandosi attorno con circospezione.
“Sì,” gli dico tendendogli la mano senza alzarmi. “Ciro Cozzi, giusto?”
Me la stringe un po’ titubante. La sua presa ha la stessa consistenza di un budino andato a male.
“Senta,” mi dice continuando a guardarsi intorno, “le dico subito che se ha intenzione di registrare questa conversazione nego il mio consenso. E di conseguenza, tutto quello che dirò sarà inutilizzabile in tribunale!”
“Si rilassi e si accomodi, Cozzi. Non ho nessun registratore addosso, sono qui in veste privata, solo per fare due chiacchiere.”
Alla fine si siede. “Per quale motivo le interessa il mercato dei porno illegali?”
“Perché forse c’è capitata in mezzo una persona che conosco e vorrei aiutarla.”
“Ah, sì? E chi sarebbe questa persona?”
“Non è necessario che lei lo sappia, per il momento.”
“No, no, no, mi dispiace,” risponde scuotendo la testa, “non ci siamo capiti. Se vuole che le dica quello che so, non devono esserci segreti. Altrimenti mi alzo e me ne vado. Subito.”
Avrei voglia di prenderlo a sberle ma, a questo punto, decido di fare il suo gioco. “La persona è Giulia Tanzi. Una ragazza scomparsa quasi cinque mesi fa.”
“Cazzo!” esclama. “La figlia dell’ex poliziotto! Aspetti un attimo…” mi dice squadrandomi da capo a piedi, “ora che ci penso… Betti, lei è il collega, quello che era stato accusato da Tanzi e che poi è stato scagionato.”
“Non so come faccia a sapere tutte queste cose. Sì, sono proprio io. Ora però è il suo turno di parlare, altrimenti potrei cominciare a incazzarmi.”
“Piano con le minacce, amico! È stato lei a chiamarmi, ricorda?”
Fatico parecchio, ma decido di mantenere la calma. “D’accordo. Ma ora che le ho detto di chi si tratta, tocca a lei dirmi quello che sa.”
“Quello che so? So che il porno illegale è una realtà, un giro da parecchi milioni di euro di fatturato all’anno. Centinaia tra ragazze e ragazzi imbottiti di droga e praticamente violentati al solo scopo di vendere quei filmati di merda a dei pervertiti, comodamente seduti davanti ai loro computer portatili. E questo, magari, mentre moglie e figli dormono beati al piano di sopra nelle loro villette a schiera del cazzo!”
“Lei ha delle prove di quello che sta dicendo?”
“Prove? Amico, io ho visto! Visto con questi occhi…”
Mi verrebbe da dirgli che non è l’unico, purtroppo. Ma mi astengo dall’interromperlo.
“Lei non immagina cosa si prova a vedere una ragazza che subisce uno stupro, sapendo che c’è gente che in quel momento si sta masturbando davanti a uno schermo. È stata l’esperienza più orribile della mia vita. E cosa ci ho guadagnato? Un licenziamento, solo perché non ho potuto riferire la mia fonte.”
“Perché non l’ha fatto? I suoi capi sarebbero stati comunque protetti dal segreto professionale. Nessuno avrebbe potuto obbligarli a rivelare le sue informazioni.”
“Nessuno? Non mi prenda in giro, lei è uno sbirro… Sa bene che il modo per far rivelare le fonti ai giornalisti si trova sempre. La promessa di qualche scoop, la rivelazione di qualche particolare inedito su un’inchiesta in corso. O, ancora meglio, un ufficio isolato acusticamente e un tubo di gomma.”
“Cozzi, lei ha visto troppi telefilm americani.”
“E lei crede di avere a che fare con uno sprovveduto. Le ho assaggiate le vostre botte, cosa crede. Ero alla Diaz durante il G8 di Genova, ho visto come ragionate. Prima menare, poi parlare…”
Sento l’esasperazione salirmi fin sopra la cima dei capelli.
“Ascolti, Cozzi. Ripartiamo da zero. C’è una ragazza scomparsa alla mercé di gente senza scrupoli e io vorrei fare qualcosa per salvarla. Lei è in grado di darmi qualche indizio? Un particolare, una pista da seguire… Io le do la mia parola che il suo nome non salterà mai fuori, in nessun caso.”
“Se la appendessero per i piedi e minacciassero di scuoiarla con un coltello da cucina, forse non ne sarebbe più tanto sicuro.”
“Lei è stato minacciato?”
“Sì, più di una volta. Per questo ora mi occupo d’altro. Mi dispiace ammetterlo, ma mi sono cagato addosso per la paura. Ho temuto di non farcela…”
“Posso proteggerla.”
“No, non può. Questa è gente senza volto e senza nome. In molti sono al corrente della loro esistenza, ma nessuno sa chi siano realmente, dove siano, come facciano a scegliere e a rapire le loro vittime. Mi creda, Betti, lei sta sprecando il suo tempo.”
“Lei come è arrivato a sapere del giro?”
“Una persona… me ne ha parlato. Il collaboratore di un personaggio in vista. Alla sua morte vennero rinvenuti sul suo portatile delle copie di filmati. E anche degli indirizzi, chiavi d’accesso, password. Venne messo tutto a tacere, quello era un pezzo da novanta.”
“Mi dica chi era.”
“Non posso. Metterei a repentaglio la mia vita e quella della mia fonte.”
“Cazzate!” urlo. Il cameriere e un paio di avventori si voltano a guardarmi. “L’unica vita che lei sta mettendo a repentaglio è quella di Giulia Tanzi. E ora mi farà quel nome, altrimenti…”
“Altrimenti mi spacca la faccia, vero? Cosa diceva poco fa a proposito dei telefilm americani?”
A questo punto non mi resta che pregarlo o prenderlo davvero a sberle. “Mi aiuti, perdio!” gli dico esasperato. “Mi aiuti, Cozzi, o quella ragazza subirà una sorte orribile, finirà drogata persa, a battere il marciapiede in qualche sperduta strada provinciale. Mi dia un nome, un indirizzo, qualcosa a cui aggrapparmi.”
Distoglie lo sguardo, sbuffa, muove nervosamente una gamba.
“Mi lasci fare qualche telefonata,” dice alla fine. “La contatto io entro ventiquattr’ore.”