Cinquantanove

L’agenzia di moda Fashion Lifestyle è in via di Vigna Stelluti, una traversa di corso Francia a Roma. La strada si sviluppa in salita, in direzione della Cassia, e attraversa una zona residenziale piena di negozi, mercatini, e altre attività commerciali. Trovarvi parcheggio è un’impresa quasi disperata, anche per la presenza nelle vicinanze di una clinica privata molto frequentata dai romani.

È ormai tarda mattinata quando Sandonato ferma il suo Range Rover in doppia fila, di fronte a una palazzina con i balconi dai bizzarri parapetti in vetro colorato.

“Dovrebbe essere qui,” dice Luca Betti, “almeno secondo quanto mi ha detto Flavia.”

La telefonata con la madre di Giulia Tanzi è stata breve. Luca non ha potuto riferirle della liberazione della ragazza. C’è la possibilità, per quanto remota, che la polizia tenga sotto controllo il telefono della donna, e il fatto che lui sia in possesso di informazioni non ancora di pubblico dominio potrebbe metterlo nei guai. Si è limitato a chiedere a Flavia di trovare sull’album del book fotografico di Giulia l’indirizzo dell’agenzia che lo aveva realizzato.

Lo sfondo dell’immagine in bikini della ragazza, quella sottratta all’archivio della villa, è lo stesso che aveva notato in una foto di Giulia: una spiaggia caraibica con una vela in lontananza.

È stato difficile eludere la raffica di domande che l’ex moglie di Marco Tanzi gli ha rivolto, ma Luca è riuscito a frenarla promettendole di spiegarle tutto in un prossimo, imminente incontro a Milano.

“Come ci muoviamo?” chiede Sandonato.

“Andiamo noi,” dice Marco Tanzi, “lei resta qui a fare da palo. Se vede movimenti strani, gente sospetta che entra nel palazzo, ci avverte al cellulare.”

Lui e Luca si sono cambiati, in macchina, con gli abiti recuperati dall’auto a noleggio riconsegnata a Viterbo. Il poliziotto indossa jeans e una Lacoste nera, il suo ex collega una tuta sportiva e scarpe da ginnastica. I segni delle percosse subite e della stanchezza sono parzialmente celati da occhiali neri, acquistati in un autogrill del Raccordo anulare.

“Cercate di non fare casini,” dice Sandonato, “a quest’ora la villa sarà già piena di polizia, magistrati, giornalisti… Riuscire a non finire tutti in gattabuia appena mettiamo piede a Milano sarebbe un miracolo. Abbiamo bisogno di tenere un profilo basso.”

“Sì, va bene,” dice Luca aprendo lo sportello. “Profilo basso. Ci conti.”

“Ah, e fate in fretta! Ricordatevi degli ospiti nel mio congelatore, ho bisogno che mi aiutiate a disfarmene!”

Al campanello dell’agenzia non risponde nessuno. Luca Betti e Marco Tanzi fingono di chiacchierare, accanto al portone, e approfittano di un’anziana signora che esce col carrellino della spesa per tenerle la porta aperta e introdursi nel palazzo.

Al quarto piano, una delle tre porte ha affissa una targa col nome dell’agenzia. Luca suona il campanello e bussa. Nessuna risposta. Il poliziotto si guarda intorno, controlla il tipo di serratura. Niente da fare, cilindro di sicurezza su portoncino blindato. Neanche con dei buoni grimaldelli riuscirebbe ad aprirla.

Si volta verso Marco, ma non lo trova più al suo fianco. La finestra sulle scale è aperta e lui è sul cornicione.

“Ma, cristo, sei impazzito?” dice Luca, sporgendosi dal davanzale per controllare se qualche vicino abbia notato la manovra del suo ex collega.

Marco Tanzi si puntella con un piede e sferra una forte gomitata al vetro, rompendolo. Senza troppa cautela inserisce una mano all’interno e apre la finestra dell’appartamento accanto, per poi introdurvisi.

A Luca sembra di vedere una tenda richiudersi al piano di sopra. Marco, intanto, gli apre la porta: ha una mano sporca di sangue, probabilmente si è ferito col vetro della finestra. “Ti hanno visto!” gli dice Luca, preoccupato. “Dobbiamo andarcene, e subito!”

Marco non risponde neanche e inizia a guardarsi intorno. Affacciate sulla sala d’attesa ci sono due stanze, più un corridoio, con altre porte chiuse. Una delle due è un ufficio, con un paio di scrivanie, computer e un armadio metallico. L’altra è un soggiorno trasformato in una sorta di set fotografico, con uno sfondo bianco, luci e apparecchiature montate su cavalletti.

Appoggiati a un muro, Luca nota una serie di pannelli illustrati che ritraggono sfondi diversi. Si avvicina per controllarli meglio: una veduta delle piramidi, un prato fiorito, una spiaggia di sabbia bianca con il mare cristallino e una vela all’orizzonte. È l’immagine che ha riconosciuto nella foto di Giulia e in quella dell’altra ragazza.

“Do un’occhiata alle altre stanze,” lo avverte Marco Tanzi. Ma non fa in tempo a muoversi che una figura enorme si staglia sulla porta bloccandogli l’uscita.

“Mani in alto!”

I due si voltano contemporaneamente. L’uomo che li minaccia tenendoli sotto tiro con una rivoltella ha la stessa altezza di Tanzi, ma almeno dieci chili in più, tutti concentrati sull’addome. È vestito con un completo grigio e una camicia bianca, senza cravatta. Ha radi capelli biondi, pettinati all’indietro, e occhi chiari. Occhi che Luca riconosce subito. Sono quelli dell’incappucciato col frustino. Quello del video con Giulia Tanzi. “Violazione di domicilio a scopo di furto! Posso ammazzarvi tutti e due senza farmi nemmeno un giorno di galera!”

“Sta arrivando la polizia,” dice Luca alzando entrambe le mani. “Qualcuno ci ha visto entrare, ti conviene non fare cazzate. Siamo qui solo per qualche domanda.”

“Che arrivino pure gli sbirri, così non dovrò chiamarli io.”

“Lo sai cosa è successo alla villa. Non siamo soli: se ci accade qualcosa, i nostri amici ti piomberanno addosso e ti faranno a pezzi. Con noi hai la possibilità di rimanere vivo. In galera, ma vivo. Rifletti.”

“Ci ho già riflettuto, stronzo! Ho appena cancellato tutti i file e distrutto l’archivio cartaceo, sono pulito come un neonato. Voi due, invece, siete già morti. E, per la cronaca,” dice voltandosi verso Marco Tanzi, “è stato bello farsi tua figlia!”

In quell’istante Luca Betti afferra un cavalletto con una macchina fotografica fissata sull’estremità e glielo scaglia contro. L’uomo lo schiva e gli spara due volte. Uno dei proiettili raggiunge il poliziotto che si accascia portandosi una mano alla spalla insanguinata.

L’uomo si volta verso Marco per sparare anche a lui, ma questi gli è già addosso e con una mano gli serra saldamente il polso che stringe la rivoltella. Luca intanto è fuori combattimento. Cerca di tamponare l’emorragia continuando a premere sulla ferita.

Marco lotta con furia e viene centrato da una ginocchiata allo stomaco che rischia di fargli mollare la presa. Il suo avversario ha una forza incredibile, ma lui non molla, stringe i denti e passa al contrattacco. Sfruttando la sua stazza riesce a sbatterlo al tappeto, ma l’altro non si dà per vinto. Rotola su un fianco riuscendo a rialzarsi ma, nella foga, perde la rivoltella. Prova a chinarsi per raccoglierla, ma Marco è più veloce e lo colpisce con un calcio rotante in piena faccia. Il colpo è violento, il biondo viene proiettato contro il muro. Marco si avvicina, lo colpisce ancora con una serie di ganci al corpo, per concludere con un montante in pieno volto. L’uomo sputa due denti e si accascia a terra, privo di sensi.

L’ex poliziotto si toglie la giacca della tuta e si avvicina a Luca. “È grave?”

“No. Il proiettile è uscito. Però fa un male cane.”

“Tieni, premici contro questa. Ancora un secondo e ti porto via da qui.”

Marco Tanzi si avvicina a una finestra che affaccia sulla strada principale e la apre. Poi si carica sulle spalle il corpo dell’avversario, lo trasporta davanti alla finestra e si ferma un attimo per scuoterlo fino a fargli riprendere i sensi. Il volto insanguinato dell’uomo è stravolto dalla sofferenza. Riapre gli occhi senza capire dove si trovi.

“Questo viaggetto,” dice Tanzi, “te lo offre mia figlia, pezzo di merda. Con tanti saluti.” Poi, bruscamente, si piega in avanti e molla la presa, lasciando precipitare il corpo dal quarto piano. Dopo un volo di pochi secondi, accompagnato da un urlo di terrore, l’uomo si sfracella sul marciapiede, fra le grida dei passanti.

Sandonato scende dall’auto ancora parcheggiata in doppia fila e si mischia a una piccola folla di curiosi per controllare l’identità del morto. Per fortuna non è nessuno dei suoi due soci. Nel caos generale si guarda intorno, indeciso sul da farsi. Si avvicina all’ingresso del palazzo, con l’intenzione di entrare, ma vede Marco Tanzi uscire dal portone sorreggendo Luca Betti. Il poliziotto è pallido in volto e tiene un braccio stretto al corpo. I due si allontanano in direzione opposta rispetto all’auto di Sandonato e, dopo pochi metri, scompaiono in una traversa. Senza fretta, l’anziano investigatore torna al suo Range Rover e riparte. Percorsi alcuni metri, approfitta di una rotonda per fare inversione di marcia senza dare nell’occhio e imboccare la traversa nella quale hanno svoltato i due uomini. In lontananza si sente l’eco delle sirene delle volanti che corrono sul luogo dell’incidente.

Betti e Tanzi sono fermi a un angolo, in attesa di essere recuperati.

“È grave?” chiede Sandonato, mentre Betti si sistema, a fatica, sul sedile posteriore.

“No,” risponde lui, “allontaniamoci da qui e troviamo una farmacia. Ci penserà Marco a disinfettarmi la ferita e a fasciarla.”

“È sicuro? Non…”

“Tranquillo, ce la faccio. Ci porti via di qui.”

“Va bene!” dice Sandonato che nel frattempo percorre un intricato dedalo di stradine laterali per poi immettersi nuovamente su corso Francia. “Ah, comunque complimenti. A tutti e due. Era esattamente quello che intendevo quando vi ho chiesto di mantenere un profilo basso. Non bastava la merda in cui eravamo prima, bisognava proprio avere un altro bell’omicidio sul groppone.”

“Guardi il lato positivo,” interviene Tanzi, “quell’uomo non violenterà più nessuno.”

“Era lui? Era il tizio dei video?”

“Già.”

Sandonato non replica. Ne ha viste tante nella sua carriera, ma l’immagine di quelle ragazze drogate e abusate riesce ancora a turbarlo.

Luca guarda fuori dal finestrino, mentre tiene premuta sulla spalla la giacca della tuta di Marco. Vorrebbe provare soddisfazione, rallegrarsi per il fatto che giustizia è stata fatta, ma non ci riesce. Riesce solo a provare un’infinita tristezza, che teme possa accompagnarlo per il resto dei suoi giorni.