Ventisei
Marco Tanzi. Milano, nove anni fa.
Sono seduto in questa stanza del Palazzo di giustizia da più di due ore. Sembra uno degli sgabuzzini per gli interrogatori che usiamo in Questura, con le sedie di ferro, il tavolo da quattro soldi e la telecamera. C’è pure la porta metallica con lo spioncino e la lampadina che penzola nuda dal soffitto. Manca solo la parete col finto specchio per i confronti all’americana, per completare il quadro. Ho le ossa a pezzi, non riesco a trovare una posizione decente per stare seduto. Ho sete, fame, voglia di farmi di coca. Ancora dieci minuti qui dentro e rischio di impazzire.
Alla fine, quando sto per dare di matto, arriva. Apre la porta ed entra senza salutarmi, si siede davanti a me evitando di incrociare il mio sguardo e sbatte sul tavolo in modo plateale una cartella gialla che contiene dei fascicoli.
“Allora, Tanzi. Eccoci qua.” Enrico Salvemini, pubblico ministero. Quarantasei anni, capelli rossi tagliati quasi a spazzola, barbetta curata e abiti eleganti. E due occhi gelidi da duro figlio di puttana.
“Buongiorno,” dico cercando di decifrare il suo sguardo che, finalmente, si è degnato di posarsi su di me.
“Ho letto la memoria del suo nuovo avvocato, quel… come si chiama?” dice infilando degli occhialini senza montatura, mentre apre la cartella. “Ah, sì, Fulgenzi. Proprio un bel soggetto, non c’è che dire. Sembra che vada a sceglierseli nelle fogne i suoi legali di fiducia.”
Questo commento mi sorprende. Non è costume di Salvemini mostrare in maniera plateale ciò che pensa, di solito preferisce sottili allusioni. Non lo prendo come un segno negativo, può darsi che si senta frustrato per aver dovuto accettare la mia proposta.
“Dunque,” mi dice scorrendo le pagine del suo dossier, “in pratica lei propone una transazione. Ovvero, che le vengano riconosciuti uno sconto della pena con attenuanti e condizionale, in cambio di alcune rivelazioni, chiamiamole così, su una storia di corruzione interna alla Questura. Fa i nomi di parecchi dei suoi colleghi, compreso Luca Betti, il suo ex compagno. Giusto?” mi chiede con un sorrisetto stampato sulla sua odiosa faccia.
Mi limito ad annuire muovendo il capo.
“Bene.” Continua a sfogliare le pagine e a seguire i capoversi col dito, come se leggesse a mente. “Tutte le sue ‘rivelazioni’, che ovviamente ha omesso di firmare in attesa di un accoglimento della sua proposta, si basano su ricordi di casi che ha seguito in prima persona e nell’ambito dei quali, lei afferma, si sarebbero verificati episodi di corruzione, richiesta di denaro, occultamento di droga e di contanti sequestrati e via di seguito. Lei specifica anche che sarebbe difficile ottenere riscontri dai malviventi implicati in quanto, se confermassero le sue dichiarazioni, si autoaccuserebbero di reato di corruzione e, in alcuni casi, falsa testimonianza. Giusto?”
Faccio di nuovo sì con la testa.
“D’accordo. Diciamo, quindi, che tutto il castello di accuse che mi ha presentato si basa esclusivamente sulla sua testimonianza. Una testimonianza tardiva, resa allo scopo di evitare una pena detentiva di parecchi anni per possesso e spaccio di droga.”
Ci fissiamo per qualche secondo senza parlare. Sembra che il disprezzo lotti per fuoriuscire dai suoi occhi e perforarmi la testa, riducendo il mio cervello in brandelli. Ma ho superato da tempo la fase in cui mi preoccupavo ancora di queste cose.
“Bene, Tanzi, immagino che lei ora si aspetti una risposta a questa specie di proposta di scambio. Avrà di certo pensato che, per un tipo ambizioso come me, l’idea di scoperchiare una storia di corruzione e malaffare interna alla Questura sarebbe stata una valida opportunità per mettersi in mostra e balzare agli onori della cronaca. Molto meglio che sbattere dentro un singolo ex sbirro drogato e spacciatore. Ebbene, se oggi ho voluto vederla da solo, senza quel buffone del suo avvocato, è perché ho deciso di essere molto franco e sincero con lei e dirle esattamente cosa penso. Anche se, come ben sa, non è mio costume lasciarmi coinvolgere in maniera così personale dalle vicende professionali.”
“La ascolto.”
“Questo dossier,” dice alzando la cartella di qualche centimetro dal tavolo per poi farla ricadere aprendo la mano, “è solo merda.”
Resto immobile, come pietrificato, a fissarlo, in attesa che vada avanti.
“Conosco Luca Betti. È un buon poliziotto, un uomo onesto. Lei, non contento di averlo tradito professionalmente e umanamente, andando a letto con sua moglie…”
“Cosa?”
“Si chiede come faccio a saperlo? Conosco questa storia, Tanzi. Ricorda quando Betti l’ha scoperta a casa sua, sul divano, a scoparsi la sua signora? Mi risulta che poi ci sia stata una colluttazione tra voi, Betti l’ha picchiata e l’ha cacciata di casa, giusto?”
Annuisco in silenzio.
“So anche che lei è un esperto di boxe. Fisicamente sovrasta il suo collega di almeno una decina di centimetri… Presumo che non abbia reagito alla sua aggressione perché sapeva di meritarsele, quelle botte. Se lo avesse fatto, forse avrebbe ucciso anche lui.”
Non rispondo. Cerco di capire dove vuole arrivare.
“Come vede, so parecchie cose, Tanzi. Quello che invece non sa lei è che, subito dopo la vostra colluttazione, Betti si è presentato dal questore per rassegnare le dimissioni. Il questore le ha rifiutate e ha ritenuto doveroso avvertirmi dell’accaduto, visto che sapeva che stavo indagando su di lei. Ma torniamo al discorso che le facevo poc’anzi: ora, non contento di aver deluso e tradito il suo amico in tutti i modi possibili, vorrebbe infangarlo con queste false accuse, trascinarlo nella melma dove è sprofondato lei, usandolo come merce di scambio per evitare la galera. Be’, caro Tanzi, le comunico ufficialmente che io non lo permetterò.” Appoggia i gomiti sul tavolo incrociando le dita, si sporge verso di me ostentando un sorriso esagerato. Una chiara espressione di sfida. Addirittura mi viene il dubbio che cerchi la rissa, che mi stia provocando per farsi mettere le mani addosso e potermi accusare anche di aggressione a pubblico ufficiale. Ora mi spiego il perché di questa messinscena, l’attesa snervante, la stanza isolata con la telecamera, l’assenza degli agenti di scorta.
“Tanzi,” continua il bastardo dopo aver registrato la mia assoluta assenza di reazione. “L’anno scorso lei ha rischiato di finire in galera per la strage dell’autodemolizione. Perché è di strage che si è trattato. Se è riuscito a cavarsela con la condanna per eccesso di legittima difesa e la pena sospesa con la condizionale, oltre all’espulsione dalla polizia, è stato solo grazie a Betti. Il suo ex collega ha speso tutto se stesso nel cercare di difenderla, arrivando ad autoaccusarsi, a minacciare ripercussioni, rivelazioni ai media, sommosse del sindacato di polizia. Insomma, molto probabilmente si è giocato la carriera per lei e ha talmente rotto i coglioni a tutti col fatto che lei fosse un grande uomo, un grande poliziotto e che bisognava difenderla a tutti i costi, da riuscire a convincere i suoi capi e i miei colleghi che l’hanno giudicata ad allentare la presa. Altrimenti ora lei sarebbe già in galera.”
Restiamo di nuovo in silenzio, per un tempo che mi pare infinito, ma in realtà non più di due minuti.
“Se non ha altro da dirmi, signore…”
“Solo un’ultima cosa. Chiederò dieci anni di galera per lei, e stavolta non ci sarà nessuno a difenderla. Lo sa perché? Perché io farò in modo che tutti vengano a sapere di questo,” dice, mentre mi mostra la sua cartella alzandola a mezz’aria. “Farò in modo che tutti sappiano che ha tentato di salvarsi il culo accusandoli. Voglio che i suoi ex colleghi sappiano quanto è caduto in basso, devono avere chiara l’idea di che razza di uomo sia, Tanzi. Farò di questa rivelazione una vera e propria missione, mi creda.”
“Posso andare, ora, signore?”
“Certo.” Mi dice tirandosi indietro e appoggiandosi allo schienale della sedia di ferro. “Si goda questi ultimi giorni di libertà passando un po’ di tempo all’aria aperta. Dovrà farne a meno per un bel pezzo, mi creda.”