Quarantadue
Il risveglio di Luca Betti è a dir poco traumatico. Un secchio d’acqua gelata in faccia lo costringe a gettare la testa all’indietro e a tossire, sputacchiando in maniera convulsa, per non inalare liquido nei polmoni. Il compito gli è reso più difficile dal fatto che si ritrova seduto su una sedia di legno, con le mani legate dietro alla schiena.
Il poliziotto non fa in tempo a rendersi conto della sua situazione che una mano guantata gli afferra i capelli e un’altra gli piazza un rasoio sotto la giugulare, provocandogli una sottile ferita che inizia lentamente a sanguinare.
“Una parola, amico, e tu muore dissanguato!”
Luca ricaccia indietro un conato di vomito, colpa del violento dolore alla testa. Cerca di recuperare lucidità e di fare il punto della situazione. Il luogo è il soggiorno dell’appartamento in via Settembrini. Senza muovere la testa, cerca di volgere lo sguardo sull’uomo che lo ha appena minacciato. Trent’anni, jeans e camicia nera, abbondantemente aperta sul petto villoso, adornato da due pesanti catene d’oro. Occhi chiari, capelli biondi cortissimi. Dall’aspetto e dall’accento si direbbe uno slavo. Di fronte a Luca c’è Ciro Cozzi. Anche lui immobilizzato su una sedia, imbavagliato e con una specie di pallina di gomma infilata in bocca.
I suoi occhi riflettono un terrore assoluto, senza speranza.
Accanto al giornalista c’è un altro uomo, più corpulento e più anziano dello slavo. Ha i capelli neri e indossa un giubbotto di pelle, nonostante il caldo dell’estate. Nella mano destra stringe delle grosse cesoie da giardiniere.
“Allora, caro signor sbirro, ficcanaso del cazzo… A quanto sembra tu cerchi notizie da nostro amico giornalista,” dice il biondo ostentando un sorriso diabolico.
“Ascolta,” tenta di rispondere Luca, “pensaci bene prima di…”
Un manrovescio gli spacca il labbro, costringendolo a sputare sangue.
“Stai zitto, sbirro del cazzo! Parli solo se io ti interrogo!” Luca impreca mentalmente cercando di non lasciarsi sopraffare dallo sconforto e di escogitare in fretta un modo per tirarsi fuori da quella situazione. La diplomazia non sembra essere una opzione praticabile. Ha le gambe libere, se il biondo fosse solo potrebbe provare a caricarlo con la testa e mandarlo al tappeto, per poi tramortirlo con un calcio in faccia. Ma gli uomini sono in due e la manovra, già di per sé disperata, in questo caso risulta impossibile.
“Tuo amico giornalista ha detto cose interessanti. E così tu cerchi puttanella di Roma. La figlia di altro tuo amico… è vero?”
Luca annuisce muovendo la testa.
“Tu ora ci dici tutto quello che sai. Come hai scoperto video di puttanella. Ma prima noi fare vedere cosa succede se tu non rispondi.” Il biondo fa un cenno all’altro uomo che, senza parlare, si avvicina a Cozzi, ormai in piena crisi di panico. Il giornalista allunga il collo per allontanarsi dal suo carnefice, mentre spasmi di puro terrore lo scuotono vistosamente.
“Un momento!” dice Luca, “non c’è bisogno di…”
Un nuovo manrovescio, più violento del precedente, colpisce il poliziotto nello stesso punto di prima. Il dolore che prova è lancinante, tanto da fargli lacrimare gli occhi. La sua bocca ora è completamente insanguinata.
L’uomo col giubbotto di pelle avvicina le cesoie all’orecchio sinistro del giornalista e, in due rapidi e decisi gesti, glielo trancia di netto, gettandoselo alle spalle come si trattasse di un nocciolo di albicocca. Il volto di Cozzi diventa paonazzo, gli occhi sembrano volergli uscire dalle orbite e dalla bocca, imbavagliata e occlusa dalla pallina di gomma, esce uno spaventoso grugnito, simile al verso che emettono i maiali prima della macellazione. Il suo aguzzino, senza scomporsi, si sposta sull’altro lato della sedia e l’altro orecchio del giornalista subisce, in pochi secondi, la stessa sorte. Da entrambi i lati della testa, ora, scendono dei copiosi rivoli di sangue che colano sulle spalle imbrattandogli completamente la camicia. Luca, di fronte a un tale orrore, non può fare a meno di urlare. “Basta, cristo! Vi dico tutto quello che so, ma fermatevi!” Per tutta risposta riceve un pugno alla tempia che gli fa quasi perdere i sensi. Il biondo sta per colpirlo di nuovo, quando l’altro uomo gli dice qualcosa in una lingua che a Luca pare albanese.
I due discutono animatamente, quello col giubbotto indica Ciro Cozzi il cui volto, ora, è completamente congestionato. Dai lati della bocca cola del vomito. Probabilmente non riesce a respirare e il rigurgito lo sta soffocando. A Luca sembra di capire che il biondo stia ordinando all’altro uomo di togliergli il bavaglio, ma quello si rifiuta, forse per non sporcarsi il giubbotto. Dopo pochi secondi, Cozzi collassa. I suoi occhi si ribaltano per l’asfissia provocata dall’occlusione delle vie respiratorie e lui si accascia in avanti. Lentamente, come in una tragica scena in slow motion, lo sbilanciamento fa rovesciare la sua sedia, e Ciro Cozzi crolla a terra con il volto deformato dalla sofferenza.
Luca sente di non avere più scelta. Approfittando dei due che stanno ancora discutendo, balza in piedi deciso a tentare il tutto per tutto. Col massimo slancio che riesce a darsi, colpisce di testa, sulla schiena, il biondo. L’uomo, colto di sorpresa, finisce addosso all’altro, che riesce però a rimanere in piedi e a trattenerlo. Sorte diversa per il poliziotto, che inciampa nel corpo senza vita di Cozzi e finisce a terra rovinando dolorosamente su un fianco. Il biondo gli è addosso e lo blocca a terra col suo peso, mentre l’altro uomo, che finora si era tenuto in disparte, si avvicina guardingo brandendo le cesoie insanguinate. “È finita,” pensa Luca.
In quello stesso istante la porta dell’appartamento sembra esplodere. E Marco Tanzi irrompe nel soggiorno, brandendo un lungo bastone di legno fra le mani.
Il biondo è sorpreso. Si butta immediatamente sulla sua giacca, ordinatamente ripiegata su una poltrona, ed estrae dalla tasca una pistola con silenziatore, per puntarla contro il nuovo arrivato. Troppo tardi. Un colpo di bastone gli frattura il polso con un rumore secco di ramo spezzato. La pistola cade a terra e il biondo urla stringendosi l’avambraccio con la mano sinistra, nel tentativo di arginare il dolore. L’altro uomo, intanto, si getta su Tanzi brandendo le cesoie. L’ex poliziotto gli blocca il braccio con entrambe le mani, poi lo costringe a piegarlo conficcandogli le lame appuntite sotto il mento e tranciandogli in un solo colpo trachea e giugulare. L’uomo spalanca gli occhi e si porta le mani alla gola trafitta, emettendo un rantolo animalesco prima di stramazzare a terra a contorcersi nel suo stesso sangue. Il biondo si guarda intorno alla ricerca di una via di fuga, ma Tanzi gli è già addosso. “Non ucciderlo!” urla Betti da terra. “Ci serve vivo!”
Un pugno in pieno volto e per il biondo la luce si spegne.
Marco Tanzi raccoglie il rasoio da terra e libera Betti dai legacci che lo bloccano. Luca si rialza, massaggiandosi la nuca e sputando sangue.
“Scusa se non ti ho obbedito,” gli dice l’ex poliziotto.
“Che cazzo è quello?” chiede Betti indicando il bastone per terra.
“È un manico di piccone. Lo trovi a tre euro, in ogni ferramenta. Legno stagionato, lunghezza perfetta, un’arma davvero notevole. Visto che non hai voluto darmi una pistola…”
Luca lo guarda perplesso. Poi si avvicina al muro e raccoglie la semiautomatica silenziata del biondo. Una Sig Sauer P210, calibro 7,65. Inserisce la sicura e la lancia a Marco Tanzi che la afferra al volo e la infila nella cintola, dietro alla schiena, coprendola con la polo blu che indossa.
“Diamo una ripulita alle impronte,” ordina Betti. “Poi facciamo quattro chiacchiere con questo bastardo.”