Cinquantasei

Il corridoio fuori dalla cella è deserto. Tanzi e Betti lo percorrono lentamente, armi alla mano, pronti a far fuoco. Piuttosto che recitare ancora il ruolo passivo di prigionieri, sono entrambi disposti a morire. Ma soprattutto a uccidere.

Da lontano giungono i suoni smorzati di armi automatiche, urla, rumore di vetri infranti.

“Che diavolo sta succedendo?” chiede Betti. “Sembra che la villa sia sotto attacco.”

“Già,” dice Tanzi, “pare anche a me. Occhi doppiamente aperti finché non siamo sicuri di chi siano i buoni. Ammesso e non concesso che ci siano, i buoni. Nel dubbio spariamo su tutto quello che si muove.”

Al termine del cunicolo, una rampa di scale.

“Questo posto ha più livelli sotterranei,” osserva Luca salendo i gradini. “Una vera e propria casa degli orrori.”

La rampa porta nello stesso archivio seminterrato nel quale si erano introdotti, molte ore prima, direttamente dal giardino. Fuori dalle finestre il cielo è nuovamente buio. La loro prigionia è durata più o meno ventiquattro ore.

Luca, per riflesso, porta la mano alla tasca esterna dei pantaloni. I fogli che aveva estratto dalla cartella, prima dell’arrivo di Salani e dei suoi scagnozzi, sembrano essere ancora al loro posto. La curiosità di vedere di cosa si tratta è tanta, ma il poliziotto non vuole rischiare di distrarsi proprio ora.

All’improvviso nel locale illuminato dalle luci di emergenza, si materializza una figura completamente vestita di nero. Passamontagna tattico, divisa da combattimento dei Gis, giubbotto antiproiettile in kevlar. Imbraccia un mitragliatore compatto MP5 col puntatore laser piazzato sul torace di Marco Tanzi.

Lui e Betti, con un gesto fulmineo, che pare sincronizzato, lo prendono di mira con le pistole.

“No!” urla una voce alle loro spalle. “Fermi!”

È una voce nota a entrambi, ma i due uomini faticano a riconoscerla perché è di qualcuno che dovrebbe trovarsi in tutt’altro posto.

Tanzi resta immobile, semiautomatica in presa a due mani, con la fronte dell’uomo in nero al centro del mirino. Betti ruota su se stesso, di centottanta gradi, e si trova faccia a faccia con quello che ha parlato. Anche lui ha la divisa dei Gruppi di intervento speciale dei carabinieri, ma ha una statura decisamente inusuale per essere un agente di quel corpo scelto.

“Sono io!” esclama, puntando a terra il suo mitragliatore e sfilandosi il passamontagna. “Sono Sandonato!”

“Questa poi!” dice Luca abbassando la pistola e scuotendo la testa incredulo. Tanzi resta immobile, gli occhi fissi in quelli dell’uomo in nero. Occhi scuri, magnetici. Occhi senza paura.

“Tanzi!” urla Sandonato. “Giù la pistola, è uno dei nostri.”

L’ex poliziotto, lentamente, obbedisce. Anche l’altro abbassa la sua arma.

“Mi spiega che cazzo sta succedendo?” chiede Betti all’anziano investigatore. “Che ci fa qui? E chi è questo?”

“Lui è un amico,” dice Sandonato, “è con due dei suoi uomini. Ci aiuteranno a fare pulizia di questa gente di merda e dei loro traffici. Definitivamente.”

“Hai un nome?” chiede Luca all’uomo col passamontagna.

“Puoi chiamarmi Capitano,” risponde lui. È della stessa stazza di Marco Tanzi. Spalle larghe e voce profonda.

“C’è mia figlia qui dentro!” dice Tanzi con rabbia. “La tengono prigioniera. Dobbiamo trovarla, subito!”

“Siamo qui per questo,” risponde il Capitano. “Pensi lei alle spiegazioni, colonnello,” dice poi rivolgendosi a Sandonato, “io vado a finire il lavoro.” Detto ciò, con la stessa velocità con cui è apparso, l’uomo sembra volatilizzarsi.

“Cristo,” esclama Betti, “si può sapere che diavolo succede?”

“Gliel’ho detto,” replica Sandonato, “sono amici. Amici di una persona che è qui per aiutarci.”

“Una persona? Quale persona? Di chi sta parlando?”

“Di me,” risponde Laura Damiani, appena apparsa alle spalle di Sandonato. Anche lei indossa la tuta nera dei Gis e imbraccia un fucile automatico a canna corta.

Betti guarda perplesso l’anziano investigatore. “Certo che lei è un uomo pieno di sorprese.”

“Io vado di sopra con loro,” esclama Marco Tanzi, “li ammazzo tutti quei figli di puttana che hanno preso Giulia!”

“Si accomodi pure,” dice Laura Damiani, “a patto che ne sia rimasto qualcuno ancora vivo.”

Marco Tanzi sale la gradinata, con la pistola puntata avanti e pronto a far fuoco. Luca Betti lo segue, cercando di guardare oltre il massiccio fisico del suo ex collega, per capire cosa li aspetta.

Giunti al piano, si trovano davanti tre uomini in uniforme tattica, tutti col volto coperto dal passamontagna. Qualche sguardo perplesso, poi quello che si fa chiamare Capitano provvede a delle veloci presentazioni. “Loro sono Tanzi e Betti. Questi sono i miei uomini, potete chiamarli Maresciallo e Brigadiere.” Poi si rivolge a quello che ha indicato come Maresciallo: “La situazione?”.

“Quattro eliminati. Ce ne dovrebbero essere altri sei. Si sono barricati dietro a quella porta, in una specie di panic room.”

“Dev’essere lì che tengono le ragazze,” esclama l’altro, il Brigadiere.

“Allora non possiamo rischiare di entrare con la forza,” osserva il Capitano. “Qualche idea?”

“Li potremmo stanare col gas…”

“Escluso. Rischiamo che abbiano il tempo di vendicarsi sugli ostaggi.”

Il capo della task-force si avvicina alla porta. Ha l’aspetto di un normale portoncino da appartamento, ma Luca è certo che dietro il pannello di legno si celi una blindatura capace di tener fuori anche un carro armato. Il cilindro della serratura è antiscasso con codice meccatronico, una barriera difficile da superare. L’ufficiale afferra la cornetta del videocitofono situato accanto alla porta.

“Ho una proposta da farvi. Se vi arrendete subito e liberate le ragazze, vi risparmierò la vita. Altrimenti, farete la fine dei vostri soci. Morti ammazzati.”

Nessuna risposta.

“Avete sessanta secondi di tempo per decidere,” insiste l’uomo in nero. “Dopodiché faremo irruzione e sapete che cosa significa.”

Il Capitano fa alcuni cenni con la mano ai suoi, per farli disporre in due precisi punti della grande stanza. Anche Tanzi, Betti e Sandonato, che nel frattempo ha raggiunto il gruppo, seguono le sue indicazioni.

Una voce metallica spezza il silenzio irreale che si è venuto a creare nella villa. Proviene dal videocitofono. “Che garanzie puoi darmi?”

La risposta non si fa attendere. “L’unica garanzia è che se non vi arrendete subito, ne pagherete le conseguenze. Aprite la porta e gettate le armi, prima di uscire con le mani sopra alla testa.”

Dopo alcuni secondi, uno scatto metallico sottolinea l’apertura del portoncino. Da uno spiraglio di una trentina di centimetri vengono lanciate a terra due pistole e quattro mitragliette Uzi, mentre i sei uomini più Laura Damiani continuano a tenere sotto tiro la porta.

“Bene,” esclama il Capitano, “ora iniziate a uscire. Lentamente.”

Uno dopo l’altro, i sei addetti alla sicurezza della villa superstiti escono dal rifugio con le mani intrecciate dietro alla testa. Gli uomini del Capitano li fanno inginocchiare continuando a tenerli sotto tiro. Dopo di loro è la volta di Renzo Salani.

“Bastardi vigliacchi…” sbraita l’uomo in direzione delle sue guardie, “con quello che vi pago avreste dovuto dare la vita prima di arrendervi!”

I gorilla tengono lo sguardo basso, nessuno si azzarda a rispondere. Hanno capito subito che combattere quegli uomini in nero è qualcosa che va oltre le loro possibilità. In caso di reazione avrebbero subìto la sorte dei loro colleghi che giacciono a terra, riversi nel sangue.

“Brutto figlio di puttana!” urla Tanzi scagliandosi contro il proprietario della villa. Gli afferra il collo con una mano e lo sbatte con violenza contro il muro. “Dov’è mia figlia?”

“È… è di là,” risponde l’uomo terrorizzato, indicando la porta corazzata dalla quale è appena uscito, “con le altre.”

Tanzi molla la presa su Salani ed entra nella stanza, subito seguito dal Capitano, mentre i suoi uomini tengono sotto controllo i prigionieri.

Il rifugio è un vero e proprio appartamento. Ci sono sei stanze e in ciascuna c’è un letto sopra al quale giace una ragazza, in biancheria intima, con polsi e caviglie assicurate da cinghie fissate alla struttura. Marco Tanzi riconosce sua figlia e si avvicina al letto, sciogliendo i legacci che la imprigionano.

Giulia ha gli occhi semichiusi ed è in evidente stato confusionale. Marco cerca di scuoterla, di destarla dal suo torpore. “Giulia, Giulia, mi senti? Sono io, sono…”

“Non può sentirti,” cerca di calmarlo Laura Damiani poggiandogli una mano sulla spalla, “è drogata. Dobbiamo portarla in ospedale. Ce ne sono altre cinque, dobbiamo sbrigarci.”

“Sì. Sì, hai ragione.” Marco Tanzi avvolge la ragazza nel lenzuolo e la prende in braccio.