Dodici

La camera è molto grande, una junior suite. Appena entrati si toglie la giacca del tailleur e la appoggia su una sedia. C’è un divanetto in un angolo, con un tavolino basso, ma lei non mi chiede di accomodarmi. Prende una cartella sullo scrittoio antico, col piano di vetro, e va a sedersi sul letto. “Vieni,” mi dice, battendo piano la mano sul materasso, accanto a sé, “ti faccio vedere…”

C’è qualcosa che non va, tutto il suo atteggiamento è ambiguo, anche se non posso credere che… insomma, cristo, non ci vediamo da dieci anni, sua figlia è scomparsa da nove giorni, fino a stamattina in questa camera c’è stato suo marito… E poi non si è mai creato un particolare feeling tra noi, in passato. Non in quel senso, almeno.

Cerco di convincermi che è tutto regolare. Vuole condividere con me le foto di sua figlia perché in questo modo può sentirla più vicina. Sono un vecchio amico, un poliziotto al quale si è rivolta per un aiuto. Mi siedo accanto a lei, sul bordo del letto king size. La sua camicetta, ora, lascia intravedere un décolleté ancora più generoso. Accavalla le gambe lasciando apparire la coscia coperta da calze velate molto leggere, color carne. Quel profumo… Mi viene in mente che non faccio l’amore con mia moglie da almeno un mese. Forse da quasi due.

“Ecco, vedi,” dice sfogliando un album a fogli trasparenti con le foto di Giulia, “questo è il servizio fotografico completo.”

All’inizio mi mostra tutti primi piani. Riconosco quello che era nel dossier e glielo indico. Poi si passa a una serie di ritratti a figura intera. Giulia è vestita in maniera molto provocante, durante il servizio si è cambiata d’abito più volte. Pantacollant neri con scarpe dal tacco vertiginoso, top di paillettes che lascia scoperte abbondanti porzioni del seno prosperoso. Pose ammiccanti con trucco molto elaborato, soprattutto negli ombretti colorati che sottolineano la perfezione degli occhi. Le ultime foto sono in costume. Dei mini bikini alla brasiliana che le lasciano quasi del tutto scoperte le natiche, con sfondi che raffigurano spiagge caraibiche con sabbia bianca e mare cristallino. Provo imbarazzo nel guardare quelle immagini, ma Flavia pare non curarsene affatto. I suoi occhi adoranti mi dicono che vive gran parte della sua esistenza in funzione della figlia e della sua disturbante bellezza.

“Tieni,” mi dice dopo avermi mostrato l’ultima foto e aver richiuso l’album. “Tienile tu, possono esserti utili per le indagini. Io ne ho altre copie.”

Le indagini. Come se fossi io quello che sta indagando sulla scomparsa di sua figlia.

“Grazie,” le dico. Non me la sento di contraddirla, anche se ad afferrare quell’album mi sembra quasi di ustionarmi le mani. Giulia Tanzi, finora, era rimasta la bambina cicciottella e cordiale di dieci anni fa. Queste immagini patinate, invece, testimoniano che si è trasformata in una giovane donna provocante e sensuale che potrebbe far girare la testa a qualsiasi uomo. Ripenso alla frase della mia collega Laura Damiani: “Era una bella ragazza, qualcuno può averla notata”. Sono certo che Flavia abbia mostrato quelle foto anche a lei.

A questo punto mi alzo dal letto, sperando che anche Flavia faccia lo stesso. Voglio congedarmi in fretta e mettere fine a questa giornata, senza ritrovarmi nei guai. Invece lei resta seduta e mi prende la mano. “Aspetta, Luca, resta ancora un po’, parliamo. Se te ne vai ora, sono sicura che mi metterò a piangere e andrò avanti tutta la notte…”

Mi risiedo al suo fianco.

“Non fare così,” le dico turbato da quel contatto, “se ti lasci andare, non aiuti Giulia in nessun modo. Potrebbero esserci novità in qualsiasi momento e tu devi essere pronta ad affrontarle, buone o meno buone che siano.”

Non so più nemmeno che cazzate sto dicendo. Il reggiseno che si scorge dalla scollatura della camicetta… Le sue gambe e quelle scarpe col tacco alto.

Restiamo in silenzio, lei mi fissa e continua a tenermi la mano. Nella mia testa sento discutere le classiche due voci. La prima mi dice di alzarmi all’istante e lasciare questa camera senza nemmeno salutarla, se non voglio provocare danni irreparabili. L’altra sostiene che ormai nella mia vita resta ben poco da riparare.

Il silenzio si prolunga troppo, devo uscirne, dirle qualcosa. Ovviamente dico quella sbagliata: “Hai un profumo incredibile”.

“Si chiama ‘Acqua di sale’, è fatto artigianalmente. Ti piace?” mi dice scoprendosi un po’ la spalla e avvicinandosi col collo al mio naso. Intanto mi stringe la mano più forte.

Due mesi, anche qualcosa di più. Non faccio l’amore con mia moglie da una vita. Non vado a prostitute, non più. E la terapia di coppia è stata solo una perdita di tempo e soldi, sono certo che lei finga l’orgasmo per tagliar corto ed evitare di doverci andare ancora. È probabile anche che mi metta le corna con qualche suo collega di lavoro. Quei broker del cazzo sempre abbronzati e palestrati. Appoggio le mie labbra al collo di Flavia e glielo bacio dolcemente. Spero che mi respinga, che mi dia una sberla, che mi cacci via dalla sua camera. Lei, invece, geme. Mi accarezza una guancia.

“Scusa, Flavia,” biascico arretrando di qualche centimetro ,“non so che mi ha preso…”

“No,” mi dice afferrandomi anche l’altra mano, “ti prego. Non mi sento più una donna da tanto tempo, con Fausto le cose… Luca, non te ne andare, resta qui con me.”

Fanculo Elisa. Fanculo Fausto. Fanculo tutto il mondo. Le accarezzo i capelli e avvicino le mie labbra alle sue. Ci baciamo, con impeto, quasi con rabbia. Le accarezzo il seno, lei non ci pensa nemmeno un attimo e inizia a slacciarsi la camicetta. Mentre è impegnata nell’operazione le infilo una mano nel reggiseno e le prendo il capezzolo tra il pollice e l’indice. Lei allunga le mani verso la mia cinta, tentando di slacciarla. Mi alzo in piedi per facilitarle il compito e intanto mi tolgo la camicia senza nemmeno sbottonarla, me la sfilo come fosse una t-shirt. Poi è la volta dei pantaloni, mentre lei si toglie la gonna. Cristo, non sono collant ma calze autoreggenti. Ora è in biancheria intima con calze e scarpe col tacco. Ci abbracciamo e cominciamo a baciarci, leccarci, esplorarci avidamente rotolando sul letto. “Spegni la luce,” mi dice.

“No, voglio vederti, sei bellissima.” Mi passano cose incredibili per la testa, tipo che questo sia l’inizio di una storia d’amore, che vivremo felici e contenti indipendentemente da suo marito, mia moglie, sua figlia scomparsa e la mia che sarà comprensiva e affettuosa riguardo a questa nuova situazione. Ma la cosa assurda è che tutte queste cazzate le prendo per buone. Un altro degli inspiegabili comportamenti umani: continuare a ignorare che la forte eccitazione sessuale ci mandi in tilt i neuroni e ci faccia pensare, fare, dire le peggiori stronzate. Come se non lo sapessimo che subito dopo aver eiaculato tutto torna alla normalità.

“Aspetta,” mi dice mentre le lecco l’ombelico dirigendomi verso un punto ben preciso, “scopami. Scopami subito.” Si sfila le mutandine e mi afferra le spalle infilandosi sotto di me. “Mettimelo dentro… scopami, ti prego.”

La mia erezione è talmente forte da essere dolorosa. Le allargo le gambe e indirizzo, con la mano, il mio sesso dentro di lei. La trovo quasi del tutto asciutta. Allora mi ritraggo, provo a chinarmi verso il suo inguine per leccarla e facilitare l’operazione. “No,” mi dissuade lei, “scopami, Luca. Voglio che mi scopi ora!” mi dice graffiandomi le spalle.

Non me lo faccio ripetere, lo spingo dentro con forza arcuando la schiena e facendomi strada senza troppi complimenti. Lei geme forte, non so se si tratti di dolore o di piacere. Mi muovo ritmicamente, afferrandole il collo e ficcandole la lingua in bocca per sentire il suo respiro affannato e i suoi gemiti dentro la mia. Vengo dopo pochi minuti, sul suo ventre, dopo essere uscito da lei nell’ultimo secondo utile.

Le bacio le labbra e mi rovescio sul letto, tenendola abbracciata per non mostrare di provare già disinteresse per lei e per il suo corpo. Insomma, per non mostrarle la verità. Mi sforzo anche di parlare, di dire qualcosa di confortante: “Non vorrei averti fatto male…”.

Per fortuna lei mi rassicura, ma la sua è già una voce diversa, distante, che ha perso interesse, voluttà. Desiderio. Stesse sensazioni che hanno abbandonato anche il sottoscritto.

Continuiamo un po’ a fingere di coccolarci, come se fossimo due veri amanti, due che si vogliono bene. Ma più passano i minuti e più provo una sensazione orribile: come se il danno fatto fosse irreparabile. Sono a disagio, ho scopato con una donna che si era rivolta a me per avere aiuto e comprensione.

Dopo un tempo che non saprei calcolare, forse un quarto d’ora, Flavia afferra la sua camicetta coprendosi il seno. Poi raccoglie il resto dei suoi vestiti dal pavimento e si riveste in pochi secondi. Mi sento come se fossi nudo davanti a un convento di novizie. Raccatto anch’io i miei boxer e i pantaloni e li indosso in fretta.

“Scusa, Luca,” mi dice senza guardarmi, intenta a rassettare inutilmente il copriletto, “si è fatto tardi, ora ho bisogno di dormire.”

“Certo,” balbetto desiderando di sprofondare all’inferno pur di scomparire dalla sua vista e da questa situazione. “Sono molto stanco anch’io.”

Sulla porta le accarezzo una guancia: “Ti chiamo domani”.

“Domani vedo un’amica,” mi dice, “una vecchia compagna di università con la quale sono rimasta in contatto. Ti chiamo io in tarda mattinata.”

Non mi sono mai sentito una tale merda in tutta la mia vita.