Quarantasette

Marco Tanzi. Teramo, carcere di Castrogno, due anni fa.

Sei anni, undici mesi e quattro giorni. Ho scontato la mia pena detentiva per intero, senza scorciatoie. Non ne ho cercate, né tanto meno qualcuno si è sognato di propormele. Del resto sono un ex sbirro corrotto, una fonte di imbarazzo per le istituzioni. Gli episodi di violenza al mio attivo, durante la prigionia, mi sono costati tre trasferimenti in altrettante galere in giro per l’Italia, una più pidocchiosa dell’altra. E poco importa se ho dovuto combattere per salvare la vita a un tizio o per evitare che i criminali che avevo sbattuto dentro mi facessero la pelle. Per il sistema carcerario sono stato solo una rogna, e forse è questo l’unico motivo per cui non ho subìto altre condanne.

Ora che finalmente ho varcato questi cancelli, dovrei sentirmi libero, se non fosse per il fatto che libertà ormai per me è una parola senza significato. Dell’uomo che sono stato, prima di entrare qui, non sopravvive nulla, neanche un pallido ricordo.

Le parti peggiori di me, persino la predisposizione alla violenza, la tendenza all’eccesso, sono scivolate via, trasportate da un torrente che mi ha lavato l’anima. Ormai sono come una pietra di fiume. Le mie resistenze, il mio orgoglio, sono stati levigati, smussati, fino a rendermi il guscio vuoto che sono oggi.

Eppure, un tempo ero diverso.

Una persona come tante, una di quelle che hanno un lavoro, una vita, degli amici. Una famiglia, persino. Ma per riuscire a essere tutto questo, devi attingere a qualcosa che parte da dentro. Amore, senso del dovere, dignità. Tutte parole che oggi non hanno più alcun senso. Non per me, almeno.

Per un attimo mi sfiora l’idea di compiere un tentativo, provare a tornare a essere quello di prima. Chissà che faccia farebbe la mia ex moglie se mi presentassi a casa sua, di punto in bianco. Conciato così, con la barba lunga e gli abiti da quattro soldi che mi hanno dato in prigione. So che Flavia si è risposata, era scritto nella lettera dell’avvocato, quella che mi informava di aver perso qualsiasi diritto su mia figlia. Del resto sono stato io a non volerla più vedere da quando mi hanno sbattuto dentro. Né lei, né sua madre. Oggi Giulia dovrebbe avere quindici… no, sedici anni. Chiunque sia il suo nuovo padre, sono certo che nel cambio ci abbia guadagnato. Cercarla significherebbe solo farle altro male.

Poi ci sarebbe Luca, il mio collega, il mio migliore amico. Quello a cui ho fregato la carriera e a cui ho pure scopato la moglie. Senza contare che ho cercato di coinvolgerlo nei miei casini, per ottenere uno sconto di pena.

È sempre stato un bravo poliziotto, una persona seria, sono certo che sarà riuscito a superare tutto. Me e tutto lo schifo che ho portato nella sua vita.

No, niente da fare, non si torna indietro. Non io.

Guardo i due uomini appena usciti insieme a me. Uno abbraccia una moglie obesa e una manciata di marmocchi che gli zampettano intorno, neanche fosse Babbo Natale. L’altro sale su una macchina da centomila euro, probabilmente dell’avvocato che lo ha tirato fuori a suon di parcelle a quattro zeri. Forse è un imprenditore che ha frodato il fisco, o magari il boss di una rete di spaccio. Ormai le due categorie si distinguono a fatica. Stando dentro ho notato che, negli ultimi tempi, il look di chi delinque si è abbastanza uniformato. Abiti costosi e accessori di pregio.

I due se ne vanno, ognuno per la sua strada, e io resto da solo, in questo piazzale asfaltato. La città è a un paio di chilometri, l’aria è frizzante ma c’è il sole. Intorno neanche un’anima. A parte un cane, vicino a dei bidoni della spazzatura, un randagio tutt’ossa in cerca di avanzi di cibo. È bianco, o almeno lo è stato un tempo, con chiazze marroni sul muso e sul corpo. Mi guarda di traverso, giusto un secondo, poi torna a farsi gli affari suoi. La caccia agli avanzi non sortisce risultati apprezzabili, allora decide di cambiare aria, di proseguire per la sua strada. Rifletto su come debba sentirsi. Solo, senza legami, con l’unico obbligo di provvedere al proprio sostentamento. Uno così non corre mai il rischio di provocare la sofferenza negli altri.

Sì, ho deciso. È questo che sarò anch’io, d’ora in poi: un cane randagio.