Dieci

Leo Massacese è un ex poliziotto sessantenne, di origini pugliesi. Un paio d’anni fa ha ottenuto il pensionamento anticipato ed è stato assunto da una società del gruppo Carrera, che si occupa dello sviluppo di progetti per componenti elettronici. Si tratta di parti di macchinari destinati all’industria estrattiva petrolifera, prototipi di grande valore che vanno protetti con un massiccio dispendio di uomini e tecnologia dai tentativi di furto e di spionaggio industriale. Massacese è passato dallo stipendio di ispettore della polizia di Stato, pari a circa duemiladuecento euro mensili netti, a quello quattro volte superiore di responsabile della sicurezza dell’azienda hi-tech.

Con i soldi della liquidazione ha versato l’acconto per un appartamento a Cologno Monzese che ha intestato a suo figlio Antonio, impiegato precario con moglie e un figlio di tre anni a carico. Col suo stipendio gli paga le rate del mutuo e l’asilo nido del bambino. Ha anche saldato tutti i debiti di gioco di sua moglie Rosa, e le ha comprato dei mobili nuovi per il loro appartamento a San Donato Milanese. Il suo stile di vita e il suo aspetto, invece, sono rimasti gli stessi di sempre. Sovrappeso, folta capigliatura ancora quasi del tutto nera, pettinata come quella di un cantante melodico anni sessanta. Gli occhi celati da anacronistici occhiali da miope con una pesante montatura in tartaruga, è vestito sempre allo stesso modo: giacca di panno, polo di lana e pantaloni neri d’inverno, giacca di cotone, polo di cotone e pantaloni grigi d’estate.

L’automobile gliela fornisce la ditta, altrimenti girerebbe ancora sulla sua vecchia Twingo. Ora, invece, guida una Bmw X5 nera, una specie di mostro da duecento cavalli e quattro ruote motrici, con interni in pelle.

La parcheggia sotto casa, come ha sempre fatto con la sua vecchia auto (che ha regalato alla nuora). L’unica differenza è che adesso rientra a casa in orari decenti.

Nonostante abbia cambiato lavoro, Leo Massacese non ha perso il vecchio istinto di sbirro, e nel tragitto dal parcheggio al portone di casa si accorge subito di qualcosa che non quadra.

C’è un uomo seduto su un muretto a venti metri dal suo palazzo e sta fissando proprio lui. È enorme, sarà alto quasi due metri, indossa una divisa verde da infermiere e degli zoccoli bianchi con un giaccone scuro troppo piccolo per la sua taglia. Ha i capelli lunghi, spettinati, e la barba.

Massacese ricambia lo sguardo, cercando di capire che intenzioni abbia quel tipo. Nota che c’è qualcosa di famigliare nel suo volto, qualcosa che lo inquieta. Gli occhi. Sono quegli occhi incredibilmente chiari. È certo che quello sguardo appartenga a qualcuno che conosce, anche se non riesce a ricordare chi.

L’ex poliziotto rimette in tasca le chiavi del portone e cambia direzione avvicinandosi a quello strano individuo. È pronto ad agire. A dispetto del suo fisico appesantito, ha ancora ottimi riflessi ed è capace di estrarre la sua pistola dalla fondina fissata alla cintola e puntarla alla testa di quell’uomo in meno di un secondo. Ma giunto a un paio di metri di distanza capisce che non ce ne sarà bisogno. Lo ha riconosciuto, ed è come se qualcuno gli avesse versato dei cubetti di ghiaccio nel colletto della giacca.

Cap’ di cazz… Marco Tanzi! Da dove minchia esci fuori? E che ci fai seduto nel cortile di casa mia vestito da carnevale? Mi sa che sei scappato da qualche manicomio.”

“Li hanno chiusi da parecchi anni i manicomi,” risponde Tanzi.

“Eh, bella cazzata hanno fatto. E pure tu ne hai fatte troppe di cazzate, lo sai, sì?”

“Leo, non sono qui per parlare di questo.”

“Ah, no? E per che cosa allora? Mi dispiace, guagliò, ma io e te non c’abbiamo più niente da dirci.”

“Una volta ti ho fatto un favore,” dice Marco Tanzi. “Sono venuto a chiederti di restituirmelo.”

“Ah, davvero? Be’, ti informo che quella è una regola che vale solo fra colleghi,” risponde Massacese. “O tra ex colleghi. Tu hai sputato su tutto quello che c’avevi, amici, famiglia, lavoro. Hai smerdato tutta la polizia di ’sta città. Non ti devo più niente, nessuno ti deve più niente. Sei tu che sei in debito con me. Sei in debito con tutti.”

“Mia figlia è scomparsa.”

“Lo so, e parecchi poliziotti onesti la stanno cercando. Non penso proprio che in queste condizioni potrai fare qualcosa per lei. Guarda, se vuoi dei soldi,” dice Massacese estraendo il portafoglio dalla tasca interna della giacca, “ti posso dare…”

“Leo,” lo interrompe Marco Tanzi, “anni fa ti ho salvato la vita. Mi sono beccato un proiettile al posto tuo e ho fatto fuori quello che ti voleva uccidere.”

“Porca puttana,” impreca Massacese. “Lo so. Lo so, cristo santo. E mo’? Dimmi che cazzo vorresti da me, avanti…”

“Voglio che mi porti dal vecchio.”

“Chi?” chiede Massacese con l’espressione sincera di chi cade dalle nuvole.

“Il vecchio. Tu lo sai dov’è. Voglio che mi porti da lui, dopodiché fra noi non ci saranno più conti in sospeso.”

“Il vecchio?” chiede Massacese, “ma che madonn ti vien’ in mente? So’ passati quasi vent’anni, e già allora ce n’aveva forse settanta… probabilmente è morto e sepolto.”

“Che sia vivo o morto, il nostro debito sarà saldato lo stesso. Tu portami da lui.”

“No, è escluso, levatelo dalla capa. Non so manco se sei ricercato, che cazzo d’altro hai combinato da quando sei uscito dal gabbio. Probabile che solo a parlare con te mi sto a mettere in un bel guaio.”

“Leo… Pure tu hai un figlio. Pensa a questo. Pensa a come mi sento io, adesso.”

“Se è per questo, c’ho pure un nipotino di tre anni…” risponde Massacese.

I due ex poliziotti restano per qualche secondo senza parlare. Quel nome, “il vecchio”, ha risvegliato in Leo Massacese ricordi lontani, sensazioni che aveva rimosso. L’ha riportato ai tempi del caso Baraldi, uno dei più strani di tutta la sua carriera.

“Insomma, cazzo! Lo sai che rischi di lasciarci le penne, sì?” dice bruscamente a Tanzi. “Perché vuoi fare ’na cazzata del genere? Per tua figlia?”

Marco Tanzi non risponde. Si limita a fissare il collega negli occhi.

“Va be’, va’, so’ capit… Mi pari Gesù cristo cu’ ssi’ capill e ssa’ barb… Iamm, andiamo di sopra. Vedo se trovo qualche vestito decente da metterti addosso.”