Sedici

“Come sarebbe è andato via ieri? Cristo, vi avevo chiesto di avvertirmi subito se gli fosse accaduto qualcosa!” Luca Betti non riesce a capacitarsi. Il giovane medico del San Raffaele Turro gli ha appena riferito che Marco Tanzi è scappato da oltre ventiquattro ore.

“Si calmi, signor Betti, pensavo che lei non fosse reperibile… è quello che mi ha detto sua moglie.”

“Mia moglie?” esclama Betti esterrefatto. “Mi sta dicendo che mia moglie è stata qui?”

“Esatto, ieri mattina. È venuta a chiedere notizie in sua vece, ha voluto vedere il paziente per qualche minuto e poi è andata via.”

“Ma non lo avevate immobilizzato? Insomma, come ha fatto a scappare?”

“Guardi, ce lo chiediamo anche noi. Evidentemente deve essere riuscito a slacciare una delle cinghie. Non era mai successo prima, in effetti siamo rimasti tutti molto stupiti.”

“Ha portato via qualcosa?”

“Come scusi? A chi si riferisce?”

“A Marco Tanzi, perdio!” Il poliziotto, ora, alza la voce, è visibilmente alterato e non si sforza di nasconderlo. “Mi risponda e basta, ha portato via qualcosa dall’ospedale? Soldi, medicine?”

“No, lui… insomma, sembra che abbia preso solo una divisa da infermiere e una giacca a vento. Nient’altro.”

Luca Betti riflette. Il suo ex collega non può essere andato molto lontano in abiti da paramedico e senza un soldo.

“Adesso mi ascolti, voglio sapere quanto tempo dopo la visita di mia moglie vi siete accorti che Tanzi non c’era più.”

“Ah, be’…” il dottore cerca di ricostruire temporalmente gli eventi della giornata precedente, “diciamo un paio d’ore. Tre, forse.”

Per il poliziotto è chiaro che è stata Elisa, sua moglie, a liberare Marco Tanzi dalle cinghie che lo tenevano bloccato. Non riesce a spiegarsi il perché di quel gesto e la cosa lo turba.

“Comunque guardi,” dice il giovane medico cercando di darsi un contegno, “è inaccettabile che lei venga qui a dettare ordini e che alzi la voce. Noi siamo professionisti che svolgono il loro lavoro con competenza e che non possono…”

“Ma falla finita, idiota!” tuona Betti, prima di abbandonare il reparto, lasciando il dottore a bocca aperta.

Dopo mezz’ora, il poliziotto entra in Questura, nell’open space sede della Sezione investigativa. È quasi mezzogiorno ed è stravolto dalla stanchezza per essere partito da Roma alle prime luci dell’alba dopo l’ennesima notte insonne. Siede alla sua scrivania dopo aver salutato distrattamente un paio di colleghi e cerca di raccogliere le idee mettendo ordine nel solito caos di fascicoli che ricoprono la sua postazione di lavoro.

“Ah, Luca, sei tornato!” L’ispettore Carlo Martini lo saluta con una manata sulla spalla facendolo riemergere dal vortice di pensieri nel quale era immerso.

“Carlo! Sì, sono partito presto… infatti sono stanco morto.”

“Novità sulla ragazza? I colleghi di Roma hanno qualche idea?”

“No, niente di che. Comunque stanno lavorando bene, ho parlato con la responsabile delle indagini, una tipa tosta, una che sa come muoversi. Possiamo solo aspettare e sperare.”

“Già, già… comunque, senti, ho fatto quelle ricerche che mi hai chiesto.”

“Ricerche? Di che cosa…” All’improvviso Luca Betti ricorda di aver chiesto al collega delle notizie sul caso Baraldi, quello di cui parlava Marco Tanzi nel suo delirio. “Che hai scoperto?”

“Be’,” dice Carlo Martini afferrando una sedia con le ruote e sedendosi accanto al collega, “non è stato facile. Capirai, col casino che c’è in archivio, ho passato tutto il pomeriggio fra le scartoffie. Comunque, si tratta di un caso di diciannove anni fa. Dina Baraldi era una prostituta originaria di Modena, ritrovata morta vicino ai Navigli, picchiata a sangue dopo essere stata torturata. Bruciature di sigarette, tagli, frustate…”

“Continua,” dice Betti concentrandosi sul racconto e mettendo in standby i suoi pensieri.

“Be’, durante le indagini spunta un testimone, un tale Rino Salvi, senzatetto e alcolizzato. Dormiva in un angolo buio, sotto a un cartone, vede un uomo scaricare il cadavere dal bagagliaio di un’automobile e si segna sulla mano alcuni numeri della targa. In fase investigativa salta fuori che il sospettato è il rampollo di una famiglia bene, i Lanfranchi. Tipo Milano da bere e cazzate del genere. Ventiquattro anni, incensurato, padre commercialista dei vip e madre ereditiera, proprietaria di un paio di boutique in centro. Il loro avvocato impiega tipo mezz’ora a smontare la tesi accusatoria dimostrando che il testimone era inattendibile in quanto etilista cronico.”

“Vai avanti,” lo esorta Betti.

“Ebbene, vista la scarsa credibilità dell’unica testimonianza, il bastardo viene rilasciato in attesa del processo. L’ubriacone, nel frattempo, non si dà pace. È un ex professore universitario caduto in disgrazia per debiti di gioco. Quella testimonianza, per lui, diventa una questione di vita o di morte, l’occasione che aspettava per riscattarsi e riacquistare una sua dignità. Per alcuni mesi scompare, se ne perdono le tracce. Quindici giorni prima dell’udienza, quando il pubblico ministero è ormai rassegnato al fallimento, il tizio si ripresenta. Sbarbato, ripulito, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Si sottopone a una serie di analisi che attestano il calo drastico della quantità di alcol presente nel suo sangue. Insomma, per farla breve, in tribunale rende una testimonianza impeccabile, circostanziata e senza sbavature. Identifica il sospettato in un confronto all’americana e risponde al fuoco incrociato di domande dell’avvocato della difesa senza mostrare alcun tentennamento. Morale della favola: Lanfranchi in galera e l’ex ubriacone, riabilitato, inizia a lavorare come inserviente in un centro per anziani.”

Betti è perplesso dal racconto. Gli pare di ricordare vagamente qualcosa a proposito del caso, ma solo per sentito dire. “E il vecchio? Chi sarebbe? E che c’entra con questa storia?”

“Ora ci arrivo,” risponde Martini. “Interrogato dal collega che seguiva il caso, il testimone dichiara di essere riuscito a disintossicarsi in così breve tempo grazie a una specie di esperto di erbe, un ex medico che ha vissuto in Oriente per molti anni, dopo essere stato radiato dall’ordine per aver sperimentato cure alternative non autorizzate. Messo alle strette, Salvi rivela anche che le cure sarebbero pericolose. Al punto che la percentuale di sopravvivenza risulterebbe inferiore al cinquanta per cento. Il collega è un cocciuto e vuole vederci chiaro, quindi si mette a indagare. Riesce ad arrivare fino al vecchio, che pare abitasse in montagna, in provincia di Brescia. Cerca in tutti i modi di saperne di più, ma si scontra con l’omertà totale della gente del luogo. Una cosa che ti aspetti di trovare in Sicilia, non certo in Val Camonica…”

“Chi era il collega che ha seguito il caso?”

“Leo Massacese. Indagò per qualche settimana, senza approdare a nulla. Alla fine mollò la presa, anche perché in assenza di riscontri non c’erano i presupposti per continuare. Lo stesso Salvi, dopo le iniziali rivelazioni, si chiuse in un mutismo totale negando quanto affermato in precedenza.”

“Già,” dice Betti. “E immagino pure che a qualche giudice non andasse a genio la possibilità di far riaprire il caso, col rischio che un principe del foro trovasse un cavillo legale per rimettere il Lanfranchi a piede libero.”

“Giusto. Comunque, in Questura, di quella storia si continuò a parlare per qualche tempo. E, dopo pochi mesi, a Massacese venne affiancato un giovane ispettore al suo primo incarico. Indovina chi era?”

“Marco Tanzi.”

“Bingo! Ecco come il tuo ex collega può entrarci qualcosa. Magari Massacese gliene avrà parlato.”

Luca Betti riflette. “Nel fascicolo c’è l’indirizzo del vecchio?”

“No, l’indagine su di lui fu un’iniziativa privata di Massacese, le notizie che ti sto riferendo le ho ricostruite da alcuni suoi appunti dimenticati nella pratica del caso Baraldi e grazie ai ricordi di un paio di colleghi anziani. Leo Massacese, come sai, è andato in pensione dopo lo scioglimento della squadra speciale di Gherardi.”

“Hai provato a parlarci, per caso?”

“Sì, ieri, ma non l’ho trovato. A casa non c’era e la moglie non ha voluto darmi il numero di cellulare.”

“E Rino Salvi, il testimone? Che ne è stato di lui?”

“Deceduto cinque anni fa per tumore al colon.”

“Cristo. Va bene, Carlo, hai fatto un ottimo lavoro. Proverò a contattare Massacese. Andrea Gherardi dovrebbe avere i suoi recapiti, sono molto amici. O almeno lo erano.”