Cinquantatré
Le ore scorrono con estenuante lentezza nella cella angusta. L’aria stessa sembra essersi cristallizzata, le gocce di sudore che si fanno strada sui corpi stremati dei due ex colleghi scandiscono i tempi ossessivi della loro prigionia. Improvvisamente, un rumore di passi spezza il silenzio. Un volto scuro si materializza dietro allo spioncino della porta. Betti e Tanzi sembrano svenuti, immobili, con le braccia appese al muro e il capo reclinato verso terra.
Il catenaccio scorre e la porta si apre. I due uomini che entrano sono vestiti con completi scuri e sembrano essere appena usciti da un salone di barbiere. L’aroma del loro dopobarba si diffonde nell’aria, in contrasto con la puzza di sudore e di chiuso.
Uno dei due è una specie di gigante calvo, con un pizzetto molto curato e un orecchino di diamanti, e tiene in mano una pistola. L’altro è il capo della sicurezza di Salani, il palestrato con la mascella squadrata e i capelli radi. Ha con sé una grossa siringa, un laccio emostatico e due contenitori sterili, di quelli per le analisi delle urine.
“Buongiorno, signori, sveglia, è l’ora del prelievo!”
Betti e Tanzi si destano a fatica. Guardano stancamente l’uomo che ha parlato, ma sembrano non aver compreso ciò che ha detto.
“Abbiamo deciso,” continua il tizio, “che probabilmente è giunto il momento di eliminare un testimone scomodo. No, tranquilli, non sto parlando di uno di voi. A voi penseremo dopo. Per ora ci concentreremo su quella vecchia baldracca di Magda Santiago. E sapete una cosa? Spargeremo un po’ del vostro sangue sul luogo del delitto. Sarà una prova decisiva per chi indagherà sulla sua morte… L’idea è mia e devo dire che il capo l’ha trovata ottima. Voi che ne pensate?”
L’uomo sorride odiosamente, guardando i due prigionieri. Il suo socio lo imita. Poi si sposta di lato e incrocia le braccia, lasciando campo libero al suo capo.
“Bene,” dice, “iniziamo con questo bestione. Ora ti faccio un bel prelievo. Sotto le armi ho lavorato in infermeria, non ti preoccupare, ho una certa dimestichezza con questo genere di cose… Se non fai storie, ce la caviamo con poco. Altrimenti mi tocca darti una botta in testa per farti addormentare. E a quel punto potrei anche decidere di estrartelo da un occhio, il sangue. Non vuoi costringermi a fare una cosa del genere, vero?”
Marco Tanzi, con lo sguardo allucinato, scuote la testa in segno di resa.
L’uomo, allora, gli sorride facendogli l’occhiolino. Con un gesto brusco gli stringe il laccio di gomma intorno al bicipite e gli tasta l’incavo del braccio cercando la vena per il prelievo. Infine avvicina l’ago e lo infila senza troppi complimenti. Marco osserva la siringa riempirsi di liquido rosso. Terminata l’operazione, l’uomo la estrae e travasa il sangue dentro uno dei due contenitori. Poi, per richiuderlo con il tappo a tenuta stagna, appoggia a terra la siringa.
“Tieni,” esclama all’altro, porgendogli il recipiente sterile, “non vorrei che si rovesciasse a terra.”
Il tizio calvo si sporge per afferrarlo. È il momento che Marco Tanzi aspettava per agire. Con un potente strappo, rimuove l’anello metallico dal muro, tirandosi dietro il tassello, indebolito da ore e ore di sollecitazioni. Con un gesto fluido raccoglie la siringa da terra e la infilza nella nuca del capo della sicurezza, chinato accanto a lui. Quello non fa nemmeno in tempo a rendersi conto di cosa stia accadendo che sente una fitta gelida diramarsi lungo tutta la colonna vertebrale e si accascia a terra, paralizzato. Marco Tanzi si impossessa della sua pistola, una semiautomatica calibro 7,65. In un unico gesto, toglie la sicura col pollice, mira al calvo ancora in piedi e fa fuoco, augurandosi che il proiettile sia già in canna. Fortunatamente per lui, è così.
L’uomo, colpito a distanza così ravvicinata, viene scagliato contro il muro e crolla. Marco accosta la canna della pistola alla tempia dell’altro, ancora immobilizzato per l’ago conficcato fra le vertebre cervicali, e preme di nuovo il grilletto. Sangue, materia cerebrale e frammenti ossei vanno a disegnare un macabro murales sulla parete di cemento dalla parte opposta.
Marco perquisisce il cadavere del capo della sicurezza e trova le chiavi che cercava. Si libera la mano ancora bloccata, poi apre le manette del suo compagno. “Te lo avevo detto che non era finita,” gli dice.
“Avevi ragione,” risponde Luca Betti, impadronendosi dell’altra pistola. “Vediamo se hanno un telefono, dobbiamo avvertire subito Sandonato.”
Tanzi trova un cellulare nella tasca del pelato e lo passa al collega, che compone il numero dell’investigatore. Segreteria telefonica.
“Cristo,” dice Luca, “forse è già troppo tardi.”
Un boato improvviso fa trasalire i due uomini provocando un immediato blackout. Il chiarore flebile delle lampade di emergenza si diffonde lungo il corridoio, al di là della porta. Tanzi e Betti si guardano stupiti. Poi, con molta cautela, si affacciano nel corridoio, pistole alla mano.