Cinquanta

Magda Santiago viene scaricata davanti a una casa colonica, con i polsi legati dietro la schiena, gli occhi bendati e un bavaglio sulla bocca. Luca riparte a gran velocità sperando, ancora una volta, che nessuno abbia fatto in tempo a prendere il numero di targa della Renault blu.

Nel corso dell’interrogatorio condotto da Tanzi è saltato fuori che il vero nome della donna è Vincenzina Pezzotta e che nel 1984 era sposata con tale Renzo Salani. È stato lui a dirigere e produrre Le Porno Schiave. Pochi anni dopo, i due hanno divorziato e la Pezzotta ha continuato, per qualche tempo, a interpretare pellicole hard di infima qualità, fino al ritiro dalle scene, intorno ai primi anni novanta.

Con un nuovo compagno si è trasferita a Trento e insieme hanno aperto un bar, fallito dopo soli due anni. Alla gestione di quella attività ne sono seguite diverse altre, tutte conclusesi con gravi dissesti finanziari, fino a quando, spinti dal bisogno, hanno avuto l’idea di provare a riciclare l’immagine della pornostar anni ottanta per un circuito di gerontofili incalliti venuti alla luce grazie al potere di aggregazione di internet. Oggi i fan della donna sono quasi tutti ragazzi, poco più che maggiorenni. Grazie a loro, da oltre un anno, Vincenzina Pezzotta, in arte Magda Santiago, e il suo compagno-manager riescono a sbarcare il lunario con la vendita diretta di film amatoriali e le esibizioni nei locali di provincia.

Quella di Viterbo è la zona più battuta dalla coppia, anche perché in città hanno mantenuto la proprietà di un mini appartamento nel quale fanno base.

I rapporti fra la Pezzotta e Salani, l’ex marito, in pratica sono nulli. Ai tempi del divorzio lui versava in una situazione economica molto precaria e il mini appartamento a Viterbo è stato tutto quello che la moglie è riuscita a ottenere come liquidazione definitiva della loro relazione.

A differenza della ex moglie, col passare degli anni Renzo Salani si è rimesso in sesto dal punto di vista finanziario. Ora si fa chiamare ingegnere, benché in realtà non abbia frequentato nemmeno le scuole medie. Organizza serate di gala e ricevimenti presso la sua villa, che nel frattempo ha riacquistato dai creditori. Pare possa vantare un’affezionata clientela di personaggi influenti e molto facoltosi. Ma sulle serate organizzate dall’ex marito, la Pezzotta-Santiago è stata vaga. Nonostante la pressione psicologica della pistola di Marco.

I due ex colleghi impiegano un’ora per raggiungere la villa. È un fabbricato di inizio secolo, in stile liberty, circondato da un parco molto curato e da un’alta recinzione in muratura. Si trova a sei chilometri di distanza dal centro di Tarquinia, in una zona rurale, poco trafficata, raggiungibile tramite una strada provinciale. Passando davanti al cancello principale, Betti e Tanzi riescono a scorgere il viale lastricato, circondato da alti cipressi, che conduce in un piazzale dove parcheggiate ci sono almeno una decina di auto. Al centro dell’area, illuminata a giorno da potenti fari alogeni, una doppia scalinata elicoidale fa da ingresso alla villa.

Il perimetro della proprietà è controllato da un moderno impianto di telecamere a circuito chiuso e il muro di cinta è protetto da barriere ottiche anti-intrusione.

“Che ne dici?” chiede Betti, riprendendo la velocità normale, dopo aver rallentato, per l’ennesima volta, davanti al grande cancello della villa.

“Che voglio dare un’occhiata da vicino.”

“E se chiamassimo i colleghi? Insomma, sì, la polizia…”

“Diamo prima un’occhiata.”

“Li hai visti quei tizi all’interno del cancello? Sembrano professionisti. Sono sbucati fuori come ombre, si sono accorti di noi al secondo passaggio, segno che tengono d’occhio tutte le macchine che transitano davanti alla casa. Sono certo che abbiano annotato anche il numero di targa.”

“Me ne sbatto. Io entro, tu fai come vuoi.”

“Ehi, frena, adesso cominci a rompermi i coglioni!” dice Betti. “Se sei qui lo devi anche a me. Anzi, lo devi soprattutto a me. E poi, non ricordi quali erano i patti? Si fa a modo mio!”

“Dovresti saperlo bene che non li rispetto mai, i patti.”

“Be’, cazzo, invece questa volta li rispetterai! Ma ragiona, è l’una di notte passata, se ci beccano a entrare e ci denunciano, che scusa potremmo inventarci? Viceversa, se concordiamo una versione da raccontare ai colleghi, magari che abbiamo ricevuto una segnalazione anonima o qualcosa del genere, piomberanno qui a decine per ispezionare ogni angolo di questo posto. Sai bene che abbiamo molta fretta. Farci beccare adesso potrebbe significare perdere del tempo prezioso. Tempo che Giulia potrebbe non avere. Oltre al fatto che li metteremmo sul chi vive.”

“Mi dispiace, Luca. Tu fai come vuoi, ma se c’è anche solo una possibilità che mia figlia sia lì dentro, non sono disposto ad aspettare nemmeno un minuto.”

Alla fine i due decidono di scavalcare il muro di recinzione nel punto più distante dal cancello, quello diametralmente opposto all’accesso della villa. Hanno lasciato l’auto a un paio di centinaia di metri di distanza e sono stati costretti ad attraversare un terreno coltivato, sprofondando più volte nella terra soffice.

“Occhio alle telecamere, sembrano a infrarossi,” dice Betti, “se almeno ci fossimo procurati dei passamontagna…”

Tanzi non risponde. Si dà lo slancio con una gamba appoggiando il piede sulle mani giunte del suo ex collega e, con un balzo, si aggrappa al bordo della muratura, arrampicandosi in pochi secondi. Poi si distende sul bordo del muro, fissandosi saldamente con una mano e tendendo l’altra a Betti per aiutarlo a salire. Il poliziotto la afferra e si tira su con qualche difficoltà, imprecando fra sé per l’assurda situazione nella quale sta andando a cacciarsi.

Una volta in cima, i due si guardano intorno. Nessuna guardia all’orizzonte. Saltano all’interno e percorrono acquattati, l’uno dietro l’altro, una cinquantina di metri, spostandosi di albero in albero per ripararsi dalla vista di eventuali occhi elettronici.

Giunti a ridosso del muro della villa, Luca batte una mano sulla spalla del collega, gli fa segno di fermarsi e gli indica il terreno per invitarlo a stare giù. I due si stendono a terra e Luca punta l’indice verso qualcosa, in lontananza. Un uomo si sta avvicinando, percorrendo il vialetto piastrellato che costeggia la casa. Ha qualcosa in mano, una ricetrasmittente. Betti e Tanzi se ne accorgono quando il tizio la alza stancamente, pronunciando qualcosa nel microfono.

“Aspettiamo che passi,” sussurra Luca, “questo dovrebbe darci qualche minuto di vantaggio.”

Per tutta risposta, non appena l’uomo con la ricetrasmittente supera in linea d’aria la loro posizione, Tanzi si alza e camminando col busto piegato in avanti gli si avvicina rapidamente alle spalle.

“Ma porca…” impreca Betti spalancando gli occhi. Poi si alza a sua volta e si appoggia contro un albero, estraendo la sua Beretta 9 millimetri. La punta verso il sorvegliante e prende la mira, augurandosi vivamente di non essere costretto a usarla.

Tanzi, intanto, ha raggiunto l’uomo, riuscendo a muoversi senza fare rumore. Quando questi si accorge della sua presenza si volta di scatto, ma è ormai troppo tardi. Un calcio nello stomaco lo costringe a piegarsi per il dolore e a lasciar cadere la radio. Una gomitata nella nuca, sferrata dall’alto al basso, lo manda definitivamente ko.

Tanzi si volta verso il suo ex collega e gli fa segno di avvicinarsi. Mentre Betti lo raggiunge, un ringhio sinistro si diffonde nell’aria.

“Oh, cazzo!” esclama Luca girando su se stesso per individuarne la provenienza. Che non tarda a palesarsi, sotto forma di due giganteschi dobermann che si avvicinano rapidamente, pregustando il sapore del sangue. Tanzi non si scompone, estrae la pistola col silenziatore e prende la mira a due mani. Due colpi e i cani crollano a terra.

Betti osserva la scena a bocca aperta. “Cristo… se prima rischiavamo di essere scoperti, ormai è solo questione di tempo!”

“Andiamo,” è la risposta di Tanzi.

Dopo aver costeggiato per alcuni metri il muro perimetrale della villa, si fermano accanto a una specie di grata metallica, realizzata per arieggiare il piano interrato. Con qualche difficoltà riescono a sollevarla e spostarla, scoprendo uno spazio sufficiente in cui infilarsi.

Il primo a scendere è Marco, che atterra sul pavimento con un tonfo sordo. Luca lo segue e deve trattenere un gemito per una fitta di dolore alla caviglia, appoggiata in modo innaturale nell’atterraggio.

I due sussultano sentendo improvvisamente una voce gracchiare nella ricetrasmittente che hanno sottratto al sorvegliante tramortito.

Settore quattro, rapporto.

Betti e Tanzi si voltano a guardarsi, nonostante l’oscurità quasi totale. Poi quest’ultimo preme il pulsante sul lato della radio e risponde: “Tutto regolare. Proseguo il giro”.

Ricevuto,” replica la voce metallica.

I due cercano di orientarsi dentro alla stanza, che pare di grandi dimensioni. Betti accende il display del suo Blackberry, la flebile luce è sufficiente a illuminare una scaffalatura metallica che contiene dei faldoni cartacei. Ne prende uno a caso: contiene una specie di dossier con delle foto. Il poliziotto afferra qualche foglio a casaccio e lo ripiega, infilandoselo in tasca. Poi rimette il faldone al suo posto. “Allora?” chiede Tanzi.

“Non lo so, non vedo un cazzo! Penso che ci convenga…”

In quel momento una luce abbagliante si diffonde nella stanza. Tutte le plafoniere a soffitto si sono accese contemporaneamente, accecando i due uomini, ormai abituati all’oscurità. Bastano pochi secondi per riprendersi, ma quando riescono a riaprire gli occhi li aspetta una brutta sorpresa.

Tre tizi armati di fucili a pompa li tengono sotto tiro mentre un quarto, più anziano, in smoking, con lunghi capelli grigi e baffi sottili, li osserva con le mani intrecciate dietro la schiena.

“Buonasera, signori,” dice Renzo Salani, il proprietario della villa. “Se cercate qualcosa, forse possiamo aiutarvi.”