Quattordici
Cimbergo è un paese di cinquecento anime, in Val Camonica. Il suo abitato è un insieme scomposto di costruzioni moderne e vecchie case ristrutturate, distrattamente sparse alle pendici di un monte, il Pizzo Badile. La statale 88 lo attraversa tagliandolo a metà, quasi violentandolo, come a volerlo privare di ogni residua parvenza di borgo medievale, un tempo dominato dall’antico castello del quale, oggi, restano solo pochi ruderi.
Sono le sette di sera quando Leo Massacese arriva in centro con il suo suv, nella piazzetta deserta che altro non è se non un tratto di strada un po’ più largo, circondato da qualche esercizio commerciale.
L’ex poliziotto ferma l’auto col motore acceso guardandosi intorno. Per strada non c’è nessuno. Al suo fianco, sul sedile del passeggero, Marco Tanzi è assorto, come perso in un mondo parallelo dominato solo dai suoi pensieri. Ha addosso abiti recuperati a casa dell’ex collega. Una polo di cotone, una giacca a vento leggera, delle scarpe da tennis. I pantaloni sono sempre quelli verdi da infermiere, Leo Massacese non aveva nulla di nemmeno lontanamente adatto vista la differenza di altezza di trenta centimetri.
“Chi t’è mmuort… Non mi ricordo. Il paese è questo, ma non mi ricordo il posto.”
Tanzi non dice nulla. Continua a fissare il vuoto, davanti a sé.
“Fa ’na cos’,” dice Leo Massacese prendendo l’iniziativa “Statt’ aecch. Bada alla macchina, vado a chiedere informazioni.” Il corpulento ex poliziotto scende dal veicolo senza attendere risposta e si avvia verso un negozio dalla vetrina illuminata, forse un bar. Avvicinandosi resta abbastanza sorpreso nel realizzare che si tratta di un’agenzia di viaggi. È un tipo di attività che non si sarebbe aspettato di trovare nel piccolo paese di montagna. “Permesso?” chiede entrando.
“Prego,” risponde una donna sulla quarantina. È bionda, con i capelli corti, seduta dietro allo schermo di un computer.
“Senta, scusi, io sto cercando una persona che viveva da queste parti. È un uomo molto anziano, non so nemmeno se è ancora vivo… Aveva una casa, una specie di casa colonica, con un pozzo, una stalla. Molto isolata. Era un esperto… un esperto di erbe, una specie di magaro.”
“Di magaro?” chiede la donna scettica. “Che significa, scusi?”
“Be’, ecco… Significa mago, sensitivo… insomma non proprio… come le dicevo, era uno che faceva degli intrugli con le erbe.”
“Ah, una specie di medico omeopatico,” replica la donna. Massacese nota che è vestita in modo elegante e ha un bel fisico, snello. Nel complesso è molto attraente, a parte una certa durezza nello sguardo e nei modi.
“Be’, medico non proprio, non direi. Comunque ha presente di chi sto parlando? Così non le faccio perdere tempo…”
La donna ci riflette su qualche secondo. “Forse ho capito di chi potrebbe trattarsi, sa? Però la avverto che non è un tipo che accetta visite così…”
“Ah!” esclama stupito Leo Massacese. “Ha capito e le risulta che sia ancora vivo?”
“Per quel che ne so io, sì. Solo che, glielo ripeto, se fossi in lei starei alla larga da quel posto.”
“Signora, la ringrazio del consiglio,” replica l’uomo, “lei è gentile a preoccuparsi. E sarebbe ancora più gentile se mi desse qualche indicazione per raggiungere la casa di questo medico.”
La donna ci pensa su, come se stesse per confessare un segreto a un’amica ma avesse qualche remora. “Be’ io glielo dico,” risponde alla fine, “ma lei stia attento… Prosegua per Paspardo, deve percorrere almeno quattro o cinque chilometri da qui. A un certo punto, dopo una curva, sulla sinistra troverà un bivio che porta a una strada non asfaltata, che però è chiusa con una sbarra. Non c’è lucchetto, deve alzarla e proseguire per qualche centinaio di metri, in salita. Alla fine troverà la casa. Però, guardi, è proprietà privata, non so se è il caso…”
Massacese sorride. “Signora, mi scusi… Perché tutta questa paura?”
“Ma no, niente…” risponde la donna sulla difensiva, “è che, insomma… delle voci, sa?”
“No, non so. Me lo dica lei.”
“E lei mi dica prima perché vuole andarci.”
“Perché un amico vuole che ce lo accompagni.”
“Per quale motivo?”
“Dice che quel vecchio può aiutarlo.”
“Ah, ho capito. È un tipo forte il suo amico? Intendo fisicamente…”
“Abbastanza. Perché?”
“No, così.”
“Va bene, ma su quelle voci? Che mi può dire?”
“Mi dispiace ma sto per chiudere, se cortesemente…”
Massacese resta per qualche attimo interdetto. “Ma le pare,” dice poi, sorridendo alla donna. “La ringrazio per l’indicazione e per la chiacchierata.”
“Ecco, il bivio è questo,” dice l’ex poliziotto svoltando dalla provinciale. “Dobbiamo alzare la sbarra e proseguire in salita. Finalmente posso provare ’ste madonn di ruote motrici, che a Milano è tutta pianura.”
“Non c’è bisogno,” risponde Marco Tanzi. È la prima volta che apre bocca da quando sono partiti da Milano. Leo Massacese ha tentato di rivolgergli qualche domanda, durante il viaggio, ma lui si è chiuso nel suo mutismo.
“Come sarebbe non c’è bisogno?”
“Vado a piedi. Il tuo debito è pagato, Leo. Non mi devi più niente. Probabilmente non ci rivedremo mai più.”
“Guagliò, tu scherzi col fuoco. Che t’aspetti di trovare sopra a ’sta montagna? Tornatene a Milano, posso provare a farti entrare in una comunità che…”
Marco Tanzi apre lo sportello e scende dall’auto, interrompendo il discorso dell’ex collega. Scavalca la sbarra metallica arrugginita e si incammina in salita, senza voltarsi.
Massacese resta qualche minuto a guardarlo, con i fari dell’auto che illuminano il sentiero fino al punto in cui si perde all’interno del bosco. Per un attimo sussulta al pensiero di quelle tenebre che fra pochi secondi, senza la luce dei suoi fanali, inghiottiranno Marco Tanzi. Poi pensa che in realtà a quell’uomo non può accadere nulla a cui non sia già preparato. Perché le tenebre lo hanno già inghiottito una volta ed è successo molti anni fa.
Leo Massacese fa manovra con il suo suv per invertire il senso di marcia e riprende la provinciale in direzione della valle.