4. Dove lo sfaccendato lettore percorrerà l’insignificante villaggio di Rancas.
A Rancas non si apprezzano i forestieri. Non fanno in tempo ad arrivare che un codazzo di monelli gli grida “Forestieri, forestieri!” Porte diffidenti si socchiudono. Il cencioso corriere della ragazzaglia avverte le autorità. Inevitabilmente, i viaggiatori s’imbatteranno nella Piazza d’Armi in un delegato della Personeria.
In altri tempi nessuno li guardava. “Prima è prima,” dice Remigio, “poi è poi.” Le riluttanze non si spiegano. Chi diamine andrebbe a visitare Rancas? Il sergente Cabrera, che in altra epoca ha servito come guardia, dice che “Rancas è il culo del mondo.” Rancas non ha duecento case. Sulla Piazza d’Armi, un quadrato di terra spruzzata di icchu,3 si annoiano i due unici edifici pubblici: il Municipio e la Scuola Pubblica. A cento metri, non lontano dalle colline, auree nei favolosi crepuscoli, pende una chiesa, dove sfolgorano solo le feste grandi. In altri tempi Padre Chasán veniva a visitare Rancas. I rancheni mettevano insieme cento soles per le messe. Il curatino Chasán è molto apprezzato in questi villaggi. Si sbornia con quelli della comunità e dorme tra le gambe di qualche parrocchiana. Al tempo dello spavento, Padre Chasán celebrava messa tutte le domeniche. Rancas dimostrò la sua devozione. Durante la Grande Paura, il confessionale formicolava di peccatori. Oggi il curatino non riuscirebbe nemmeno a procurarsi l’acqua benedetta. È vero, la maggior parte delle acque scendono avvelenate dagli scoli del rilavaggio.
A Rancas non accadde mai nulla.
Cento anni fa, piú di cento anni fa, in un mattino fangoso la nebbia sputò degli squadroni spossati. Era un esercito in ritirata, ma una truppa orgogliosa perché, per attraversare un miserevole villaggio dove era in attesa solo un benvenuto di cani scheletriti, gli ufficiali ordinarono ai cavalleggeri polverosi di allinearsi. La truppa si fermò per dar da bere ai cavalli, sfiancati da una marcia di dieci ore. Tre giorni dopo, in un mattino lavato in una luce rabbiosa, un altro esercito occupò Rancas. Soldati sudici si accamparono, comprarono patate e formaggio dai pastori sbigottiti: seimila uomini si accalcarono nella piazza. Un generale caracollò sul suo cavallo e scagliò qualche parola sotto il sole. I soldati risposero con un boato e sfilarono verso la pampa enorme. Non tornarono mai piú.
Tutti gli anni, nell’anniversario della Repubblica del Perú, dall’armi fondata in quella pampa, gli allievi del Collegio Daniel A. Carrión organizzano escursioni. Sono giorni attesi dai bottegai. Stormi di studenti insudiciano il villaggio, orinano nella piazza ed esauriscono le provviste di biscotti, di gassosa e di Kola Ambina. Nel pomeriggio, i professori recitano per loro ammaestramento il proclama inciso in lettere di bronzo sulla parete verdognola del Municipio: l’arringa che il Libertador Bolívar pronunciò, in quella stessa piazza, poco prima della battaglia di Junín, il 2 agosto 1824. Covate di giovinetti pallidi e mal vestiti ascoltano il proclama, annoiati, e poi se ne vanno. Rancas si accovaccia nella sua solitudine fino al prossimo anno.
A Rancas non accadde mai nulla. Cioè non accadde mai nulla finché arrivò un treno.